Come promesso un’altra terna di libri il cui argomento è la musica. Mi sono anche accorto che ci sono parecchi libri che ho letto gli anni scorsi sulla musica che sarebbe interessante rileggere adesso per vedere, a distanza di anni, cosa è successo. Uno tra tutti, con un titolo che è tutto un programma, è “Futuri Impensabili” di Brian Eno. Lo rileggero’ e vediamo che effetto mi fa oggi. Per il momento:
Luca Trambusti- CONSAPEVOLEZZA- gli Area, Demetrio Stratos e gli anni settanta – ARCANA 2009
La parola d’ordine?
“Abolire le differenze che ci sono tra musica e vita”. Per chi ha vissuto quegli anni è una frase conosciuta o quantomeno che racchiude concetti che si vivevano allora. E’ stata per me un’emozione farmi prendere per mano da Luca Trambusti e ripercorrere avvenimenti musicali e storici che quasi non ricordavo piu’. Si perchè questo libro ha parecchie letture: la principale è sicuramente quella che racconta tutta la carriera artistica degli Area, forse il piu’ importante gruppo rock, e non solo, che la cultura italiana abbia espresso, la seconda è l’incredibile esperienza, penso nuova per la discografia di allora (di adesso lasciamo stare), che la Cramps (
link 1 &
link 2), etichetta capitanata dal compianto Gianni Sassi costrui’ soprattutto assieme agli Area ; un concetto di musica totale, abolire, appunto, le differenze che ci sono tra musica e vita, l’arte come momento di consapevolezza sociale e politica. L’altra grande ed interessante lettura di questo libro (e qui si vede la grande preparazione di Trambusti) è quella storica rivivendo i vari avvenimenti
politici e sociali che hanno sconvolto gli anni settanta in Italia e combinando l’importanza che il Movimento (si con la M maiuscola) aveva sulla cultura giovanile e sulla musica di allora, le stragi di stato, le BR, passando attraverso i vari governi Andreotti. Con questa visione si puo’ attraversare il post sessantotto, il settantasette fino all’ingresso nell’ industria della musica degli Area (Ascolto/CGD) e la morte di Demetrio Stratos e sullo sfondo vedere cosa la società ha determinato nella musica di questo importante gruppo.
Nel 1978 ho avuto la fortuna di ascoltarli dal vivo a Mantova, al Palazzo della Ragione, con questo libro ho tolto la polvere dai ricordi.
Da leggere anche solo per rievocare uno dei momenti piu’ alti della musica italiana
Qui sotto una video/intervista in cui Luca Trambusti racconta il suo lavoro
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Hoover/Voyno (sarà il nome? sarà il cognome?) – THE NEW ROCKSTAR PHILOSOPHY – Nda Press 2011
La parola d’ordine? “Efficenza!”.
Cos’è tutta questa confusione? fare dischi, fare concerti, myspace, facebook, soundcloud, merchandising, qualche componente del gruppo non fa quello che dovrebbe? dagli una multa! il concetto di amicizia di facebook esteso al mondo reale. Un consiglio degli autori: fate amicizie, farà bene (al vostro gruppo) e al vostro karma.
Il lato buono di questo libro? Fotografa e organizza il mondo attuale della comunicazione attraverso i mezzi del web (tutti, nessuno escluso, vi dice anche quanti Tweet dovete fare al giorno!), da’ consigli su come organizzare una band (dividere le competenze, gestire il lato amministrativo, creare un band day per rafforzare la comunione d’intenti ecc..), abitua i musicisti ad una certa consapevolezza (niente a che vedere con il libro sopra pero’…) e insegna a creare strategie per acquisire fans/clienti.
Il lato cattivo? L’altra sera ho assitito ad una serata d’ascolto organizzata dalla
Scuola di musica del Garda su Frank Zappa. Relatore d’eccezione
Carlo Boccadoro, che, grande conoscitore dell’ opera di Zappa, ci ha intrattenuti per quasi due ore raccontando mille cose di questo grande autore del ‘900. Ora, dico questo cercando idealmente di immaginare cosa avrebbe pensato uno come Zappa di un manuale del genere che genera consigli per omologare la creatività: quando le invenzioni di uno diventano la prassi di molti la cosa non credo funzioni piu’. I tempi cambiano e cambiano i mezzi per arrivare dove il nostro sogno ci porta, e i nostri sogni cambiano di conseguenza in base ai mezzi che abbiamo. Spesso pensare alla musica diventa pensare ai social media, al video che dovremo produrre e quant’ altro. Niente di male naturalmente, purchè per far questo non ci dimentichiamo il vero motivo per cui tanto ci si da’ da fare. Un manuale in uno stile razionale per chi vuole capire come muoversi attraverso questa apparente moltitudine di possibilità. Resto un po’ perplesso dall’ introduzione che Manuel Agnelli (massimo rispetto) fa al libro. Da un intro del genere mi aspettavo un altro e piu’ alto contenuto. Scomodare Michelangelo, Leonardo e la loro committenza è forse un po’ troppo per arrivare a concludere che:
(…) se siamo sinceri, al di la’ dei credo e dell’ etica posticcia, se produciamo oggi un supporto o un servizio per venderlo a qualcuno, in qualsiasi ambito, APPARTENIAMO COMUNQUE AL SISTEMA DI PRODUZIONE CAPITALISTICO OCCIDENTALE (maiuscolo nel testo originale). Stiamo vendendo una merce. Non importa a chi e perchè. E’ sempre mercato.(…)
Non so, sono perplesso: ma se tutto è merce Frank Zappa è come Malgioglio?
Ho ancora una visione romantica della musica e malgrado i tempi siano cambiati penso non si debba mai dimenticare quale sia il nostro obiettivo principale. Vi invito a vedere questo frammento di Crazy Heart con il grande Jeff Bridges, la semplicità., spesso, ti riporta i piedi per terra:
Chissà perchè sulla copertina c’è un’ audiocassetta?
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Joe Boyd – LE BICICLETTE BIANCHE – Odoya 2010
Lascio per ultimo il libro che piu’ di tutti riesce a comunicare il grande senso di libertà, genio e perchè no anche sregolatezza che la musica e il mondo che le gira intorno puo’ generare. Se nel libro di Trambusti sugli Area, la sensazione che rimane è che quegli anni in Italia siano stati veramente duri dal punto di vista culturale e sociale, in cui il Movimento non eccelleva sicuramente per “leggerezza”, in questa scorribanda negli anni ’60 (ma anche ’70 e ’80) si percepisce in pieno la grande libertà e le infinite possibilità che la musica giovanile offriva e la formula narrativa di Boyd riesce a “dipingerti” un mondo molto chiaramente anche se spesso ci si ingarbuglia in un’infinità di personaggi e situazioni che per Boyd sono fondamentali per legare questo lungo racconto. Cosa sia stato esattamente Joe Boyd è difficile da definire: organizzatore di concerti, tour manager, produttore artistico e cinematografico, i rapporti di Boyd con la musica sono molteplici e in tutti i casi raccontano una storia lunga decenni e che tuttora
continua. Le otto pagine alla fine del libro con l’indice dei nomi delle persone citate dà un’idea delle sue frequentazioni, e per ognuno di questi nomi c’è una storia. Dai bluesman Lonnie Johnson e Sleepy John Estes (spassosi gli episodi in cui Joe, suo fratello e un amico, li scritturano improvvisandosi impresari) ai Pink Floyd (Boyd spiega anche da dove realmente viene questo nome…) dall’ Ufo Club, il locale centro della psichedelia londinese, ai Soft Machine attraverso la Hannibal Recors, la sua etichetta discografica fino ai Fairport Convention.
Conosco Joy Boyd per aver letto il suo nome sui dischi di Nick Drake nel cofanetto che usci’ nel 1979 (comprato allora, non la settimana scorsa su Ebay :-)) che conteneva i suoi tre dischi assieme, era (allora) l’unico mezzo per potersi ascoltare Drake. Sono usciti parecchi libri su questo musicista che raccontano i suoi inizi e la sua fine (tra i tanti segnalo ” Le provenienze dell’ amore” di Stefano Pistolini) e naturalmente Boyd riserva un capitolo in cui è evidente il tentativo di non lasciarsi troppo trasportare emotivamente dalle vicende di Drake ma cercando di dare un quadro esaustivo di quello che è accaduto, raccontando, con il sufficente distacco, il suo rapporto con questo autore cosi’ poco considerato in vita e cosi’ amato dopo la sua scomparsa. L’immagine e i racconti su Drake che Boyd dà in questo libro aggiungono non poco alla conoscenza di questo musicista, chi ama Drake non puo’ perdersi questo capitolo.
Mi ha molto divertito leggere gli appunti di Boyd sugli aspetti tecnici del fare musica. Rievoca i fasti degli studi Sound Techniques raccontando aneddoti e curiosità, con la collaborazione del fonico John Wood il cui motto era “i dischi hanno il suono che si meritano”. Di Wood il suono dei dischi di Drake che dopo aver lavorato a produzioni anche importanti negli anni ’70 si è ritirato in Scozia aprendo un albergo…
Il grande dibattito di questi anni sulle convenienze dell’analogico rispetto al digitale vengono ammazzate da una frase di Boyd in cui vede il problema per il passaggio dalla registrazione da 16 a 24 tracce:
(…) prima che io me ne andassi in California, inizio’ il declino: qualche furbacchione scopri’ come stringere ventiquattro piste in un nastro da due pollici che prima ne teneva sedici.(…) Il suono migliore di tutti, naturalmente, è quello direttamente stereofonico, senza missaggio, senza sovraincisioni, e non digitale.
…qualche furbacchione…
Libro da leggere se vogliamo avere qualcosa da dire sul fare musica.
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