Sabato ero in riposo assoluto e ne ho approfittato per guardare i dieci DVD della collana De Agostini che non avevo nemmeno tolto dal cellophane.
Le presentazioni di Carlo sono sempre chiare e interessanti e seguendo le sue sottolineature, ho anche guardato qui e là spezzoni delle opere saltando da Ives allo Stabat Mater di Pergolesi, da Schumann a Bruckner.
Mi ha molto colpito il DVD con i concerti per pianoforte eseguiti da Pollini e diretti da Abbado: sono di qualche decennio fa e si vedono i due "grandi" ancora giovani (trent'anni? forse quaranta?) e lo stesso Carlo cambia, nello scorrere dei DVD (in uno si vede che è stato dal barbiere in alcune riprese e in altre no), che già sono il frutto di un anno di lavoro di ripresa.
Ore, anni, decenni, a confronto con una musica vecchia di secoli come lo Stabat Mater (Pergolesi la compone e muore poco dopo a soli 27 anni) e questo intreccio di tempi, tra il mio stare sul divano e la percezione concreta del passare del tempo come in un filmato mi fa pensare.
Nulla di preciso, intendiamoci, ma solo il "senso" del tempo in cui le diverse unità di misura si sovrappongono ma non cambiano davvero la sostanza: autori straordinari che dedicano la loro vita a comporre musica che li sopravviva, che per la fretta di una morte prematura imminente, chi, come Ives che aspetta cinquant'anni (!!!) prima di eseguire le sue sinfonie.
Mi telefona Marina per dirmi che c'è un bimbo appena nato e mi telefona mia mamma che ha 91 anni e lo spazio tra le due vite mi sembra così impossibile da misurare.
Quando riprendo in mano il violoncello mi dispero perchè non dedicandogli il tempo che serve è come se ogni volta ripartissi da capo e i cinque anni che sono passati mi sembrano troppi rispetto ai risultati che ottengo, poi il giorno dopo il suono esce e mi dico che non voglio fare il concertista ma solo suonare con gli amici e godere della piacevolezza del farlo e il tempo non conta.
E' tutto qui forse: conta contare il tempo?
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