pezzo originalmente pubblicato su PikaiaLe informazioni su come il nostro organismo debba “costruirsi” sono contenute nel nostro genoma, ma cosa poi faccia in vita dipende anche da un altro tipo di informazioni: quelle che ci vengono tramandate in vita dagli altri membri della nostra specie ovvero, per dirlo con una parola sola, dalla cultura. Questa definizione “in senso lato” di cultura come trasmissione non genetica di informazioni potrebbe stare un po’ stretta a chi è abituato ad associare il termine alle vette più alte della produzione intellettuale umana, ma da un punto di vista strettamente naturalistico ha il pregio di essere concisa ed efficace e, cosa ancora più interessante, permette di impostare un discorso evoluzionistico: la cultura in questo senso diventa un mezzo utilissimo che gli esemplari molte specie utilizzano per scambiarsi informazioni utili alla sopravvivenza attraverso le rapide vie orizzontali dell’apprendimento e dell’imitazione, invece che aspettare il lento procedere delle mutazioni genetiche che operano le loro modifiche solo generazione dopo generazione.Da quando questa visione “semplificata” di cultura ha preso piede tra gli studiosi del comportamento animale numerose altre specie oltre alla nostra hanno dimostrato di affidare una buona parte delle loro chances di sopravvivenza a questa impagabile capacità, e quelle che ne fanno l’uso più variegato sono quelle che somigliano di più all’uomo: le scimmie antropomorfe. Gli scimpanzé in particolare sono un interessante esempio di questa grande capacità culturale dei primati superiori, dato che le varie popolazioni africane variano molto per le tradizioni esibite, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di strumenti. Tecniche e strumenti esibiti da ognuna di esse non sono difatti ubiqui, e molte di loro ne hanno di esclusivi; esattamente quello che ci si aspetterebbe se fossero stati scoperti una volta e poi trasmessi, invece che far parte del repertorio “naturale” della specie. Nonostante l’ormai notevole messe di dati a disposizione, però, ancora non c’è consenso totale sull’opportunità di considerare “culture” i diversi insiemi di tecniche e strumenti, e i critici invocano solitamente le altre possibili cause di tali diversità: ecologiche (es. nella tal zona non si schiacciano le noci con le pietre perché non ci sono le noci) o legate alla differenziazione in tre diverse sottospecie degli scimpanzé africani. Per questi motivi il recente lavoro, pubblicato su Current Biology, di Zuberbühler e colleghi dell’università di scozzese St. Andrews, nel quale sono state comparate le popolazioni di scimpanzé residenti nelle foreste di Kibale e Budongo in Uganda è particolarmente utile per dirimere tali questioni.Per evitare le critiche classiche di cui si è detto sopra il gruppo di ricercatori ha analizzato due popolazioni appartenenti alla stessa sottospecie (Pan troglodytes schweinfurthii) e ha fornito ad entrambe lo stesso stimolo: del miele contenuto in buchi praticati su alcuni ceppi, che richiedevano pertanto di essere approcciati con un qualche tipo di strumento. Mentre gli scimpanzé di Kibale, però, sono già abitualmente usi ad estrarre il miele dagli alveari tramite di bastoncini, quelli di Budongo non hanno mai mostrato nessuna competenza tecnologica di questo tipo, anche se fanno largo e variegato uso di spugne ottenute da foglie masticate, principalmente per recuperare l’acqua dalle cavità degli alberi.
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