Truffa dei videogiochi vintage contraffatti: indagini Fbi sul Garda

I videogiochi sono stati venduti, a suon di migliaia di euro, come pezzi originali del passato. Ora risulterebbero però essere clamorosi falsi. Dalle copertine, rielaborate con Photoshop, passando per le cassette o i floppy disk appartenenti ad un mondo che non c’è più. E attorno al quale si generano aste tra collezionisti di tutto il mondo. I primi casi sono emersi negli Stati Uniti. Si parla di un giro da centinaia di migliaia di dollari. Per questo l’Fbi ha avviato un’indagine che ora coinvolge nove stati e che arriva anche in provincia di Brescia.

Risiede infatti sul Garda il 60enne che avrebbe architettato la clamorosa truffa che ha generato un terremoto nella comunità del retrogaming, gli appassionati dei videogiochi del passato, capaci anche di spendere fino a diecimila euro a pezzo. Dalla serie di Doom, lo sparatutto in voga negli anni Novanta a quella di Ultima, il gioco di ruolo di ambientazione fantasy.

EMBED [Il gioco al centro della truffa]

È stato l’amministratore di Sierra, tra le principali aziende al mondo che sviluppa videogiochi, a lanciare l’allarme e a far scattare l’inchiesta sul 60enne che ha casa sulla sponda bresciana del Garda e che ha contatti con sviluppatori della nostra provincia. È stato immediatamente escluso dalla comunità online Big Box PC Game Collectors, che raggruppa migliaia di utenti. Il 60enne dal 2015 avrebbe venduto come pezzi originali vintage, delle clamorose copie con false confezioni e false istruzioni.

La segnalazione che ha dato il via alle denunce è stata quella di un appassionato di informatica che aveva acquistato dal 60enne una copia di «Akalabeth 1979: Il regno della morte», un videogioco prodotto nel 1980 per uno dei primi computer Apple. Ad inchiodare il truffatore ci sarebbero una serie di prove che chi ha acquistato, accorgendosi in ritardo del raggiro, ha raggruppato in un file trasmesso prima alle forze dell’ordine e poi fatto circolare in rete.

Nel mondo del retrocomputing, il collezionismo ha portato ad avere dei costi di una certa importanza. In modo particolare il collezionismo del software proprio per la rarità del gioco. «Le prime edizioni erano realizzate in proprio con manuali creati e stampati in casa a volte con le correzioni fatte a mano all’ultimo. Si aggiunga la fragilità dei supporti su cui veniva memorizzato il software che spesso si rovinavano e si smagnetizzavano» spiegano i rappresentanti del gruppo bresciano Retrocampus.

«La persona finita al centro dell’indagine – proseguono – ha contattato anche noi come tante altre associazioni e appassionati italiani ed esteri per crearsi una credibilità fittizia. Retrocampus e gli associati nello specifico non hanno mai avuto evidenze dell’attività illecita e neppure hanno mai ricevuto denaro per le attività svolte su sua richiesta che riguardavano il recupero e la preservazione di titoli storici del videogioco. Attività – concludono da Retrocampus – che non ha nulla a che vedere con la falsificazione operata».

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