Come funziona, come si frattura (soprattutto in età infantile) e come si ripara la clavicola.
La clavicola è un osso di forma sigmoide che agisce come unico collegamento osseo tra il cingolo scapolare (ovvero la spalla) ed il tronco (figura), agendo da stabilizzatore dell’articolazione gleno-omerale (rappresentata dalla testa omerale articolata con la glena della scapola) al fine di aumentare la forza del movimento nell’articolazione della spalla, specialmente durante l’abduzione (ovvero il sollevamento di lato del braccio). Nel contempo agisce anche da protettore dei vasi sanguigni e dei nervi che scorrono al di sotto di essa, quali ad esempio il plesso brachiale, la vena e l’arteria succlavia, così come l’apice del polmone. Medialmente (cioè verso lo sterno), la carotide e i vasi giugulari sono protetti in prossimità dell’articolazione sterno-claveare, che agisce da punto di articolazione stabile, tramite il quale la clavicola si eleva e ruota. Il suo movimento è interconnesso con il movimento del cingolo scapolare tramite l’articolazione che realizza con l’acromion della scapola. Infatti la clavicola può ruotare posteriormente da 30° a 50° circa, a spiegare l’origine del nome clavicola, ovvero “piccola chiave”.
A causa di questa particolare anatomia, sono stati riscontrati numerosi casi di danni neuro-vascolari conseguenti a fratture della clavicola. In proposito è stato anche dimostrato che l’abduzione della spalla a 90° ne aumenta la distanza dalle strutture neuro-vascolari. Da un punto di vista dinamico, a seguito di frattura, i muscoli che vi si inseriscono agiscono diversamente : mentre il muscolo sternocleidomastoideo traziona il capo di frattura mediale superiormente e posteriormente, il grande pettorale e il gran dorsale trazionano il capo di frattura laterale medialmente, portando così ad un accorciamento della clavicola. In particolare, il muscolo sternocleidomastoideo fornisce la deformazione maggiore forzando sul capo di frattura mediale, trazionandolo supero-medialmente, mentre il grande pettorale ed lo stesso peso del braccio forniscono la maggiore forza deformante sul capo di frattura laterale. La clavicola è l’osso che si frattura più frequentemente nei bambini, a seguito di contatto diretto di gioco oppure dopo caduta sulla mano tesa e, in considerazione del fatto che le fratture si verificano più spesso a carico delle fisi (zone di crescita ossee dei bambini dotate di elevato potenziale di guarigione), il trattamento conservativo con tutore è spesso da preferire. Tuttavia, sebbene il trattamento non operatorio possa essere il trattamento iniziale di scelta, la sintesi della frattura con placca e viti (o con fili di acciaio) nelle fratture scomposte della clavicola al terzo medio (ovvero localizzato alla metà dell’osso) può offrire risultati migliori, con un più rapido ritorno all’attività, soprattutto nei giovani e pazienti attivi, in quanto è il segmento più sottile della clavicola e non è stabilizzato dai legamenti, mentre sia il suo versante laterale, sia quello mediale sono stabilizzati da forti strutture legamentose e muscolari, quindi il terzo medio è relativamente più suscettibile alla frattura. La sintesi dei capi di frattura con placca e viti è il trattamento preferito per le fratture scomposte della clavicola, specialmente per quelle che risultano accorciate di oltre 2 cm (pari al 10% dell’originale lunghezza, ovvero 20 cm) o in caso di grave comminuzione. Infatti, studi clinici mostrano deficit nella funzione della spalla a seguito di una clavicola mal consolidata che esiti con l’accorciamento della stessa. Quando la clavicola si accorcia, l’intrarotazione e inclinazione anteriore della scapola risulta aumentata con sua conseguente discinesia (cambiamento nella posizione di riposo o di movimento della scapola) e perciò è molto importante ripristinarne la lunghezza, perchè il suo accorciamento può esitare con una diminuzione dell’elevazione, della flessione e dell’intrarotazione della spalla. La sensazione di anestesia che talvolta può essere avvertita nella sede di incisione chirurgica è una complicanza dovuta al coinvolgimento dei nervi sopraclaveari durante l’intervento. E’ necessario sapere che la procedura chirurgica non risulta priva di rischi, compresa l’intolleranza ai mezzi di sintesi, che può richiedere una successiva operazione di rimozione dopo alcuni mesi o anni.
dott.Andrea Salvi
Specialista in Ortopedia e Traumatologia
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