Torri Gemelle, un ingegnere di Desenzano diresse i lavori

Nella triste ricorrenza dell’anniversario dell’attacco alle Torri Gemelle l’inaspettato odierno recupero di materiale archivistico inedito sulla costruzione delle fondamenta di questi giganteschi edifici ci permette un approfondimento storico legato anche al nostro territorio. Con i «due gemelli» – per lungo tempo considerati i più alti del mondo con i loro 110 piani e 412 metri di altezza – i bresciani hanno qualcosa da spartire.

Risale al 1960 il progetto dell’Ente autonomo del porto di New York (la Port Authority) volto a costruire sulla punta occidentale di Manhattan, nel quartiere sacro agli affari, un Centro mondiale degli scambi (il World Trade Center): una «specie di Onu del commercio – riportavano con enfasi le brochure pubblicitarie del cantiere – in cui gli operatori economici di tutto il mondo saranno in continuo contatto tra loro. Invece di volare intere giornate per incontrarsi basterà attraversare il corridoio. Qui si potranno fare immediatamente le operazioni doganali, consolari e amministrative di ogni genere».

Cantiere immenso

Il cantiere investe un’area complessiva di 65.000 metri quadrati. Oltre alle due torri consta di quattro palazzi e di una piazza (ampia circa 20.000 metri quadrati e circondata da una galleria di vetrine per esposizioni), sotto la quale – in un’altrettanta immensa aerea – è previsto che saranno smistati i pedoni in arrivo da tutta la rete metropolitana della Grande Mela e dalle linee di comunicazione che uniscono Manhattan all’altra riva dello Hudson. La popolazione permanente dell’intero complesso è stimata come quella di una città di media grandezza: cinquantamila «inquilini». Ottantamila saranno invece le persone che ogni giorno verranno al Centro per sbrigare i loro affari. Tra le ditte titolari degli appalti spicca la Icanda Limited of Montreal associata alla Icos (Impresa Costruzioni Opere Specializzate) di Milano. È qui che spunta la presenza di un bresciano. È alla ditta lombarda, coordinata tra gli altri dall’ingegnere desenzanese Francesco Brunner, che è affidata la progettazione e la direzione tecnica degli scavi e della costruzione delle fondazioni. Non solo i tecnici sono italiani, ma – stando agli articoli editi in quegli anni sul quotidiano statunitense «Il progresso italo-americano» – sulla riva dell’Hudson la maestranza, composta da circa 200 operai edili, è in larga parte italiana.

Maestranze italiane

E perché mai la Port Authority di New York si è rivolta al Bel Paese per scavare e impiantare le fondazioni? Perché la Icos è all’avanguardia nel mondo per la costruzione di fondamenta su terreni, come quello in riva allo Hudson, acquitrinosi. C’è da scavare quindi fino al livello della roccia «un’enorme fossa lunga 300 metri, larga 200 e profonda una ventina» in una vera e propria «palude», tanto che le due linee della metropolitana che attraversano questa vasta area corrono in due grandi tubi metallici attorno cui preme l’acqua. Perciò è necessario un intervento innovativo che assicuri la tenuta delle fondamenta dalla corrosione dell’acqua. La soluzione che viene adottata per l’isolamento è il «Milan Method», il «Metodo Milano», una tecnica allora considerata rivoluzionaria. La cerimonia d’inizio lavori è fissata il 23 settembre 1966. «The New York Times» titola: «Coin Ceremony starts World Trade Center». Alla prima colata di calcestruzzo, mescolate al cemento, vengono buttate con cerimonia propiziatoria (la cosiddetta «Coin Ceremony») delle monete di diversi Stati anche per sottolineare il carattere internazionale del futuro Trade Center. Si gettano un dollaro d’argento, un vecchio cinque franchi francese, un penny britannico e un cento lire italiano. Quella moneta da cento lire ha resistito al crollo di vent’anni fa e resta lì a testimoniare l’inventiva di un bresciano di cui dobbiamo andare fieri.

La particolarità

È l’ingegnere di Desenzano Francesco Brunner (1918-1999) a progettare e a dirigere i lavori di scavo e di costruzione delle fondazioni (il cosiddetto «Metodo Milano») delle Torri Gemelle di New York. Qual è la soluzione italiana al problema americano? C’era la necessità di costruire «nella profondità del terreno, lungo tutto il perimetro della zona da scavare, un muro di calcestruzzo largo 90 centimetri e profondo dai 15 ai 20 metri che dalla superficie doveva scendere fino ad ancorarsi allo strato roccioso. Questo muro solidissimo avrebbe fatto da diaframma, da riparo impermeabile contro l’acqua che preme da ogni parte, impedendone le infiltrazioni. Quando la zona – si legge nei documenti – sarà così isolata, si potrà iniziare tranquillamente, al riparo del muro perimetrale, lo scavo per le fondazioni degli edifici». 
Come procedono gli italiani nel lavoro di isolamento? Prima scavano una trincea, che viene riempita man mano che lo scavo procede di una «speciale materia, una specie di fango», la bentonite, che «resiste alle pressioni e regge le pareti dello scavo mentre lo scavo procede». Scavata la trincea, «per mezzo di lunghi tubi, si pompa calcestruzzo in fondo allo scavo, sotto la bentonite che, incalzata e spinta su, esce dalla trincea lasciando il posto al nuovo ospite», il calcestruzzo, che indurendo forma un muro compatto.
Per ricostruire questo lavoro delicato rivoluzionario della Icos ma già allora ampiamente sperimentato e la figura di Brunner – oltre ai già noti lavori locali del giornalista Tonino Zana (quale l’intervista del 2001 alla figlia dell’ingegner Brunner, Fulvia) e del poliedrico studioso Rolando Giambelli (come il libro «Twin Towers Forever» del 2001) – abbiamo ora a disposizione questa inedita ghiotta documentazione storica (articoli, decine di fotografie, dossier tecnici, ecc.) consultabile presso l’Archivio del Centro Studi Rsi di Salò (info: biblioteca@centrorsi.it, http://www.centrorsi.it).

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