Il mio intervento di ieri a Verona su cultura e cambiamento è stato anche un'occasione per riflettere su questa campagna elettorale, sui temi che mi pare di cogliere, sulle tante suggestioni che ho raccolto. (si vede anche dallo sguardo fisso, ascolto Demetrio e penso a cosa significhino il suo e mio intervento in quel contesto).
A fronte di discorsi densi di "buoni sentimenti", mi pare ancora forte il distacco tra chi opera realmente quotidianamente per far funzionare le cose, per organizzare un'impresa o una cooperativa e ho la sensazione che la politica in generale faccia fatica a parlare di progetti reali.
Per assurdo mi pare che la politica sia stata travolta da una collettiva "sindrome del piagnisteo" in cui si parla solo di ciò che non va in questo paese e si esalta il senso di catastrofe imminente che alimenta i radicalismi grillini per cui è meglio radere al suolo il parlamento, in perfetta assonanza ideologica e di linguaggio con leghisti e fascisti.
La penso come Franco Battiato che non giusto parlare di "pericolo" Grillo quando ben più pericoloso è il mafioso ritorno di B che rischia di portarci al definitivo sfacelo, il grillismo è insopportabilmente ottuso (come lo era il leghismo dei primi giorni) animato da buoni motivi e che ha portato a guidare comuni e in parlamento qualche brava persona e un sacco di mezze tacche.
Non mi piace chi pensa alla politica come slogan in piazza, se ero a Verona a parlare, è perchè credo nel dialogo, se voto PD convinto non è per il male minore ma perchè non ho visto nessun altro movimento o partito, credere così fermamente nella democrazia, da giungere spesso all'autolesionismo.
Vedo i limiti, gli apparati duri ad andarsene, ma vedo anche la testardaggine del non rinunciare agli ideali di fondo di cercare di "tenere assieme" il sistema paese, di non puntare allo sfascio.
Ho l'impressione che con Renzi candidato oggi il PD avrebbe meno grattacapi ma è la forza della democrazia: è stata una scelta libera di chi ha votato e va rispettata e lo stesso Renzi sta dando una lezione di stile che altri dovrebbero prendere ad esempio.
C'è una forte domanda di discontinuità, di nuovi modi di fare le cose, di nuovi linguaggi, di aria nuova.
Mi pare significativo lo slogan di Ambrosoli se penso alla campagna che realizzammo per l'elezione del sindaco a Desenzano, la medesima forte promessa: il cambiamento.
In fondo vincere le elezioni è facile: basta avere un candidato onesto e credibile e impegnarsi a rispondere al bisogno profondo che si coglie negli animi di una collettività.
E' ovvio che se la promessa non verrà mantenuta davvero, con fatti concreti, la gente reagirà con veemenza e il conto da pagare sarà molto salato.
Ma è anche vero che se non si raccoglie la sfida del cambiamento, se non se ne comprende il potenziale di innovazione, poi non ci si deve sorprendere se un outsider arriva a superare il 20% dei voti.
So bene che un sindaco deve fare i conti con risorse limitate, che chi governa una regione tenere a bada pressioni e spinte, che un politico alla guida di un paese deve saper tessere alleanze e trovare compromessi accettabili pur di far progredire una legge, ma non mi pare una scusa sufficiente: c'è un'impellenza di segni di coraggio, di fiducia in un mondo diverso e possibile, di trasparenza di animi e non solo di procedimenti, di sguardi che progettano a lungo termine mentre risolvono l'emergenza dell'oggi.
Ho ascoltato storie di associazioni che leggono libri agli altri perchè l'ignoranza non prevalga, ho ascoltato il racconto di una gallerista che sopravvive in una città che ha chiuso il museo di arte moderna, ho raccontato la nostra avventura che accende il futuro con la musica, ho ascoltato il discorso appassionato di Simona Marchini che non si pente di aver sempre lottato, e pagato, per non vendere l'anima di ciò in cui si crede.
C'è molta gente che non smette di piantare semi per domani.
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