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THE BANKROBBER Questa sera live al Lochness

Questa sera al Lochness Pub di Riva del Garda tocca ai rivani  The Bankrobber, giovanissimi, età media diciassette anni, con il sacro fuoco del Rock che brucia dentro. Il combo si forma nell’estate del 2006, iniziando subito a comporre brani propri, con una serie di covers tratte dalle varie influenze personali: Clash, Doors, Beatles, Radiohead, […]

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http://www.gardablog.it/?p=707

fermate la macchina da presa, voglio scendere

Io trovo che il tanto vituperato balletto delle cifre sia interessante di sponda, nonostante tutto. Volete la mia cifra? dico 800mila, e lo faccio confrontando alcune immagini (grazie a Nonnesoabbastanza, che comunque ne stima la metà) e tenendo conto che qualcuno, o perlomeno io l’avrei fatto, può aver partecipato alla manifestazione pur senza sorbirsi il discorsone finale di Veltroni. Voglio dire, ascoltare la tiratona di un segretario che ha indetto una manifestazione quattro mesi prima per farla cascare a un anno esatto di distanza dalla fondazione del Partito Democratico? Qui non è Hollywood, come cantavano i Negrita. In soldoni: l’immaginario non lo si può sempre programmare in anticipo, e le connessioni simboliche (che ci sono sempre, insegna Eco, basta cercarle) sono più efficaci quando non suonano artefatte, fare politica non dovrebbe assomigliare allo scrivere un libro (anche se spesso può essere simile, se si capisce ciò che intendo).

Torniamo alle cifre: perchè 2 milioni e mezzo? 800.000 sono già un’enormità, si può arrotondare al milione per fare scena e si ha comunque già un numero pazzesco, difficile da ritrovare negli scorsi anni (dopo la manifestazione di Cofferati, che a dire il vero pure fu un po’ gonfiata). O si sta dando implicitamente credito ai 2 milioni che sparò Berlusconi un anno fa? leggere la cifra “ufficiale” in un ottica di “ce l’abbiamo più lungo di voi” è avvilente, ma in piccola parte almeno potrebbe essere la via giusta. Mi spiego meglio, e riprendo il “filone cinematografico”: Veltroni sa di dover dare al proprio “popolo” un immaginario, e sta provando a far vivere i suoi elettori nell’unico che conosce, ovvero quello del cinema americano. Fate due calcoli e vedrete che finora le immagini ricorrenti nei discorsi di Walter sono state le brave persone, quelli che lavorano e non arrivano a fine mese, il grande patto che lega assieme le persone di buona volontà che di fronte alla minaccia dell’ubercattivone si mettono assieme accantonando le proprie divergenze for a Greater Good. Il problema di Veltroni è che questa massa di persone va conquistata, e lui ora come ora non ce l’ha. Certo, c’è il “popolo delle primarie”, ma se da un lato si è sfilacciato in un anno di strada dissestata percorsa assieme, dall’altro non è mai stato proprio come Walter lo voleva, forse troppo variegato ed esigente. Forse per questo si sta abbandonando alla vecchia e disgraziata abitudine della sinistra italiana di parlare più col centro che con la sinistra? in fondo i cattolici sono molto più adatti a fare da comparse in un film yankee.

Da mesi uno dei chiodi fissi di Veltroni è la dimensione del suo partito, perchè non basta dimostrare di rappresentare una parte notevole del paese nonostante tutte le cazzate fatte e dette: quando si tratta di far scattare l’ora della riscossa si tratta di essere in più e più cazzuti del nemico. Per questo se ne esce con le frasi tipo “il più grande partito riformista”, “il partito che vuole unificare l’Italia” e con le sparate dei 2 milioni e mezzo, lui non vuole un partito d’opposizione o di governo, vuole sconfiggere le forze del Male (e poi da dell’antiberlusconiano a DiPietro). Vagli a spiegare che, per quanto potrebbe sembrare il contrario, le forze del Male hanno altro da fare che stare appresso all’Italia. Poi quando vai a vedere quello che dice ti stupisci che non faccia proposte, ma è chiaro che non fa proposte, gli imperi del male si sconfiggono forse con le proposte? no, qui ci vorrebbero un po’ di effetti speciali, qualche astronave e un finale romantico, altro che proposte.

Insomma, nel discorso politico costruire un immaginario è essenziale, ma l’azione politica non si può limitare a questo, altrimenti viene banalmente fuori sulla distanza la vacuità delle belle parole. Ammesso e non concesso che i possibili elettori del Pd vogliano sentirsi le “brave persone che lavorano”, si può andare oltre l’autocompiacimento? ci si può distinguere per le battaglie e gli ideali che si portano avanti? ecco, se purtroppo questa tendenza a sostituire i programmi politici con sceneggiature banali potrebbe essere più generale che italiana, e sicuramente è quello che fa Forza Italia da 15 anni (ma non è una buona idea andar dietro a loro), è dovere morale di elettori cercare di cambiare rotta. Anche se toccasse cambiare segretario.

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Paura

Vedere centinaia, addirittura migliaia di studenti in piazza, striscioni, slogan, cortei, professori che fanno lezione in piazza, scuole ed università occupate è impressionante.Alcuni temono di non avere a che fare con i cassonetti bruciati di Pianur…

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http://iltempiodelmoralizzatore.blogspot.com/2008/10/paura.html

Paura

Vedere centinaia, addirittura migliaia di studenti in piazza, striscioni, slogan, cortei, professori che fanno lezione in piazza, scuole ed università occupate è impressionante.
Alcuni temono di non avere a che fare con i cassonetti bruciati di Pianura e Chiaiano, che teme di non avere a che fare con la facile scusa di spaccio a Castel Volturno.
Sperano in qualche atto vandalico, in qualche pretesa di violenza per poter di nuovo sviare l’attenzione sul problema in sé, per poter di nuovo giustificare l’aspetto esteriore di una completa e precisa distruzione culturale e sociale.
Sperano che giunga la fatidica data del 30 e con questa, il decreto funebre pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Ma con tutte queste cose non riescono a non provare una cosa che pensavano di aver istillato solo nel popolo italiano: la paura.


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Paura

Vedere centinaia, addirittura migliaia di studenti in piazza, striscioni, slogan, cortei, professori che fanno lezione in piazza, scuole ed università occupate è impressionante.
Alcuni temono di non avere a che fare con i cassonetti bruciati di Pianura e Chiaiano, che teme di non avere a che fare con la facile scusa di spaccio a Castel Volturno.
Sperano in qualche atto vandalico, in qualche pretesa di violenza per poter di nuovo sviare l’attenzione sul problema in sé, per poter di nuovo giustificare l’aspetto esteriore di una completa e precisa distruzione culturale e sociale.
Sperano che giunga la fatidica data del 30 e con questa, il decreto funebre pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

Ma con tutte queste cose non riescono a non provare una cosa che pensavano di aver istillato solo nel popolo italiano: la paura.


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a Bologna tutti assieme contro la 133

Bologna, assemblea congiunta studenti-presidenza della facoltà di Lettere e Filosofia, 23/10/2008

Arrivare tardi alle assemblee ti costringe ad arrangiarti per trovare l’ultimo posto disponibile e a volte questo significa scoprire cose nuove, ad esempio che il posto giusto non è su uno dei banchi ma davanti alla cattedra, col viso rivolto al “lato sbagliato”: una marea di facce attente e interessate che non cambieranno espressione fino alla fine. Tanta gente che il “padrone di casa” esordisce chiedendo se per piacere si può uscire a fumare per evitare intossicazioni di massa, una folla eterogenea (tanto che un novello Lombroso, nel suo intervento, potrà dire di vedere rappresentata ogni tipologia ed estrazione politica di studente) che dopo una risata riesce quasi miracolosamente, visto il numero, a mantenere un clima di ascolto e a far scorrere via bene o male* lisci tutti gli interventi (rigorosamente aperti a chiunque si volesse prenotare).

Innanzitutto quello su cui sono tutti (ricercatori, docenti, preside e membri del consiglio di facoltà, studenti e rappresentanti degli studenti) daccordo: la riforma Gelmini è semplicemente inguardabile, a dire il vero non è nemmeno una riforma: solo una collezione di tagli. Chiaro, ognuno valuta più grave l’aspetto che sente più vicino, ma tutti in quell’aula erano concordi nel bocciare in toto la 133. Fa bene Tommaso del Vecchio, ricercatore e membro del consiglio di facoltà, a sottolineare come questa legge segni un punto di discontinuità persino con la famigerata riforma Moratti, poichè in questo caso non si sta decidendo una svolta culturale, non c’è un progetto, un’idea o anche solo una vera intenzione sotto la 133: soltanto la chiara decisione che la scuola non costituisce una priorità di spesa per questo governo (e per chi l’ha votato, data l’ottica populista con la quale governa Berlusconi). E sulla stessa linea è Grandi, un docente che parlando ancora più chiaro fa capire come la Scuola sia vista dal governo alla stregua di un serbatoio di tagli per recuperare soldi da smistare altrove: un progetto per un paese senza futuro, certo, ma questo paese ha deciso l’harakiri da tempo e non lo scopriamo oggi.

È il monito del preside Sassatelli, che spinge a fare autocritica e a modificare l’immagine che la gente ha dell’università e di chi la vive, da qualsiasi parte della cattedra egli si trovi, è il successo delle lezioni in piazza, momenti di trasparenza dell’università verso l’esterno oltre che di protesta simbolica (come ricorda Anna Borghi, docente e membra della rete “ricercatori precari”), è la necessita più volte ricordata dagli studenti di far vedere all’esterno, non solo nelle parole che ci si scambia tra compagni di viaggio, che il fronte è comune e che comprende, o dovrebbe comprendere, anche i cittadini. Uno dei punti più chiari è proprio questo: facciamoci capire dalla gente là fuori. Ed è su questo che le posizioni cominciano a divergere (ma meno di quanto sarebbe pericoloso per la lotta, a mio avviso).

Prima di andare più sullo specifico va segnalata un’altra cosa: l’università (nella misura in cui questo corso di laurea ne è indicazione) ha una gran voglia di cambiare. Ne hanno voglia gli studenti, che sognano spazi di autoformazione, maggiore libertà nella scelta del percorso di studi, ma soprattutto hanno la grande voglia di essere loro i motori di questo cambiamento, una riforma che possa finalmente partire dal basso. Ne hanno voglia anche professori e presidi, che sognano un’università che funzioni finalmente bene, che permetta di portare avanti seriamente sia la didattica che la ricerca senza gli sprechi e i clientelismi di cui anche la maggior parte di loro è spesso vittima. Ignorare questa voglia di cambiare e pensare alla rivolta come a una semplice difesa dei propri diritti o supposti privilegi di fronte a un taglio radicale dei fondi è un errore fatale, che non consente di leggere a fondo dentro la massa incredibile di persone che si sta muovendo in questi giorni.

Venendo alle proposte, i “fronti” si fanno contrapposti praticamente solo su un punto: la sospensione della didattica (sulle altre questioni le posizione sono più sfumate, vedremo dopo). Quello che molti studenti, ed è anche la posizione dei rappresentanti in quota “Rosso Malpelo” (componente di sinistra) ma non solo, vogliono non è certo un blocco ad oltranza fino alla revisione della legge ma bensì un’azione simbolica il cui significato sarebbe chiaro: anche il corpo docenti è dalla nostra parte, siamo tutti contro di te, Gelmini; è la necessita di far fronte comune in maniera visibile a spingere questa richiesta (che, ripeto, non si spingerebbe oltre i due giorni, da utilizzare per lezioni pubbliche e assemblee). Di contro, se pure chi vi si oppone riconosce la necessità del fronte comune, si ritiene che un’azione del genere sarebbe controproducente: un appiglio troppo semplice per screditare la lotta e un metodo veloce per perdere del tutto la possibilità che la gente là fuori possa appassionarsi alla nostra lotta; molto meglio organizzare assemblee serali per spiegare la riforma (e il professor Donati, docente a giurisprudenza, si è già detto disponibile) e continuare con le lezioni in pubblico, tenendo però separati i metodi di critica (in soldoni: la protesta più “aggressiva” è roba da studenti). In breve: una parte consistente degli studenti chiede ai professori di esporsi di più e una parte consistente dei professori (tra cui la maggioranza del consiglio di facoltà) risponde che non è esponendosi in questa maniera che si sistemeranno le cose, ma al contrario un’azione del genere potrebbe solo far naufragare il tutto. Non che sia una diatriba così importante: per quello che mi riguarda credo che si possa lasciar cadere (per ora ) questa richiesta, in fondo non è ancora così vitale, e se non si riescono a convincere i professori dubbiosi a prendere un provvedimento del genere allora tanto vale andare avanti senza questo tipo di protesta (che avrebbe avuto, è vero, un gran peso, ma di fatto avrebbe veramente esposto il movimento a delle critiche).

Un altro punto delicato è la questione (che poi è centrale nella mozione votata dal senato accademico) della valutazione e del conseguente finanziamento differenziale delle varie università. Intendiamoci, qui è una questione di enfasi: nell’ipotetica frase “No ai tagli previsti dalla 133, ma è giusto razionalizzare le spese e punire gli atenei che non riescono (o non vogliono) spendere entro i limiti” alcuni credono sia più importante la prima parte, gli altri la seconda (e capite da soli quali sono le parti in causa), ma nessuno si azzarda a negare la frase nel suo complesso. Non si può dire insomma, e qui torna il discorso di prima, che si voglia semplicemente salvare un’università che è colma di problemi non solo didattici ma anche economici, ma anzi che un cambiamento è necessario e deve passare per forza da una razionalizzazione delle spese che tenga ovviamente conto delle esigenze imprescindibili di un ateneo (e non, pertanto, da un taglio indiscriminato che servirebbe solo a distruggere gli ultimi sprazzi di buona università).

Per ora l’appuntamento è a martedì, quando i professori volenterosi saranno chiamati a decidere assieme agli studenti le prossime iniziative (lezioni in pubblico eccetera), ma l’impressione è che, pur chiarendo le reciproche posizioni su alcune questioni, si sia usciti da questa assemblea ancora compatti in un unico fronte di lotta. In attesa di altre lezioni pubbliche e delle prime assemblee serali.

In chiusura, vorrei linkare un illuminante pezzo di Calamandrei che una docente ha voluto leggere a tutti durante l’assemblea: lo trovate riportato qui.

* non è mio costume aggiungere delle note ai post, ma in questo caso voglio tenere ben distaccato dal resto l’unico episodio (al di là di qualche fischio) fastidioso della seduta. Quando uno dei rappresentanti di Student Office (diciamo la parte ciellina dei rappresentanti degli studenti, o comunque filodestrorsa), che peraltro potrei anche indicare come secondo episodio fastidioso della seduta, ha preso la parola per esprimere la sua opinione e, in coda, una piccola provocazione, si sono levati fischi e boati (prevalentemente da una parte dell’aula). Per scansare successive strumentalizzazioni preciso che, nonostante un paio di minuti di interruzione per far tornare il silenzio, il ragazzo ha potuto concludere il suo intervento.

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Ricordi dell’11

Forse l’11 è solo l’ennesima utopia di una sinistra che non riesce a riconoscersi.Ma l’amicizia ha il suo colore, la sua bandiera e il suo inno.E quelli non cambiano mai.Continua a leggere..

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http://iltempiodelmoralizzatore.blogspot.com/2008/10/ricordi-dell11.html

Ricordi dell’11

Forse l’11 è solo l’ennesima utopia di una sinistra che non riesce a riconoscersi.

Ma l’amicizia ha il suo colore, la sua bandiera e il suo inno.

E quelli non cambiano mai.


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Ricordi dell’11

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Ma l’amicizia ha il suo colore, la sua bandiera e il suo inno.

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Preoccupazioni da miope


Vi ricordo che la modifica che ho fatto al codice mi permette ora di lasciare solo la prima parte dell’articolo come introduzione, il resto é sotto “read more”.

Preoccupazioni da miope per i miopi


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Preoccupazioni da miope

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Preoccupazioni da miope per i miopi


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Come si chiama…


Come si chiama quando il parlamento viene esautorato dalle proprie funzioni? Quando decisioni importanti e strutturali per la vita politica, sociale ed economica del nostro paese vengono prese in 7 minuti da una ristretta cerchia di persone, senza consultazione alcuna? Come si chiama quando la personalità eminente al governo del paese possiede metà delle televisioni e nelle altre, per legge, la maggioranza delle quote e quindi delle nomine?

Come si chiama quando l’authority per la par condicio denuncia che lo squilibrio governo- altri é esponenzialmente enorme nella quasi totalità delle reti televisive? Come si chiama quando lo strumento dello sciopero viene posto sotto stretto controllo e di fatto “chiuso” da un referendum e dal dover dare i nominativi alle autorità competenti? Come si chiama quando viene decisa la distinzione tra classi di immigrati e classi di “italiani” all’interno del mondo scolastico?

Si tratta di semplici coincidenze, o meglio, di modi strutturali di dire: “il Paese ha bisogno di questo, è per il bene del Paese” o del sintomo contorto e rimodernato di una modalità ditattoriale?

Come diceva Montanelli, delle due l’una.

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http://iltempiodelmoralizzatore.blogspot.com/2008/10/come-si-chiama.html

Come si chiama…

Come si chiama quando il parlamento viene esautorato dalle proprie funzioni? Quando decisioni importanti e strutturali per la vita politica, sociale ed economica del nostro paese vengono prese in 7 minuti da una ristretta cerchia di persone, senza cons…

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Come si chiama quando il parlamento viene esautorato dalle proprie funzioni? Quando decisioni importanti e strutturali per la vita politica, sociale ed economica del nostro paese vengono prese in 7 minuti da una ristretta cerchia di persone, senza consultazione alcuna? Come si chiama quando la personalità eminente al governo del paese possiede metà delle televisioni e nelle altre, per legge, la maggioranza delle quote e quindi delle nomine?

Come si chiama quando l’authority per la par condicio denuncia che lo squilibrio governo- altri é esponenzialmente enorme nella quasi totalità delle reti televisive? Come si chiama quando lo strumento dello sciopero viene posto sotto stretto controllo e di fatto “chiuso” da un referendum e dal dover dare i nominativi alle autorità competenti? Come si chiama quando viene decisa la distinzione tra classi di immigrati e classi di “italiani” all’interno del mondo scolastico?

Si tratta di semplici coincidenze, o meglio, di modi strutturali di dire: “il Paese ha bisogno di questo, è per il bene del Paese” o del sintomo contorto e rimodernato di una modalità ditattoriale?

Come diceva Montanelli, delle due l’una.

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