Tag: Riflessioni

Duri&Puri

Se c’è una cosa che non mi è mai andata a genio è l’atteggiamento da duro e puro, tipico di certe categorie.
Faccio qualche esempio:

  • (anni ’60-70) Non voto PCI perchè non è abbastanza di sinistra
  • Non uso Ubuntu perchè non è abbastanza GNU/Linux
  • Non considero Wired perchè è troppo commerciale

Si potrebbero trovare molte altre affermazioni del genere. Tutte legittime per carità, quello che non mi piace è l’atteggiamento di strafottenza, sentirsi superiori, non alla massa (quello è tipico di tutti), ma ai propri “pari”.
Anche io sono un po’ snob, del resto avere un po’ di autostima è importante, ma c’è un limite a tutto, altrimenti ri rischia di diventare ridicoli…
Attenzione: la mia critica non è rivolta alle affermazioni in se! Ma al modo e all’atteggiamento con cui vengono fatte.
Ad esempio, non ti piace Ubuntu perchè adori smanettare e personalizzare? Benissimo!
Ti atteggi a guru dell’informatica perchè sei così bravo e figo che Ubuntu lo consideri troppo facile e chi lo usa non è un vero utente Linux ma un principiante? Tamarro!

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://filisetti.blogspot.com/2010/10/duri.html

L’arte del catalogo online

Ieri sera mi sono detto: “Faccio un confronto online di prezzi, promozioni e prodotti, così domani so esattamente se andare da Sportland, Sport Specialist o se aspettare di essere a Bolzano e andare da Sportler”.Online di Sportland (che è quello che …

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http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/yR0mwneBhpM/larte-del-catalogo-online.html

L’arte del catalogo online

Ieri sera mi sono detto: “Faccio un confronto online di prezzi, promozioni e prodotti, così domani so esattamente se andare da Sportland, Sport Specialist o se aspettare di essere a Bolzano e andare da Sportler”.Online di Sportland (che è quello che …

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L’arte del catalogo online

Ieri sera mi sono detto: “Faccio un confronto online di prezzi, promozioni e prodotti, così domani so esattamente se andare da Sportland, Sport Specialist o se aspettare di essere a Bolzano e andare da Sportler”.Online di Sportland (che è quello che …

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Flipboard e il declino della democrazia?

Non ho ancora un iPad (se mai l’avrò) e dunque non ho potuto provare in maniera diretta Flipboard. Eppure leggendo i molti commenti sbocciati sui blog di chi ne parla, me ne sono fatto un’idea. In pratica si tratta di un’applicazione che raccoglie le …

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http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/gpJUFVBxIzc/flipboard-e-il-declino-della-democrazia.html

Flipboard e il declino della democrazia?

Non ho ancora un iPad (se mai l’avrò) e dunque non ho potuto provare in maniera diretta Flipboard. Eppure leggendo i molti commenti sbocciati sui blog di chi ne parla, me ne sono fatto un’idea. In pratica si tratta di un’applicazione che raccoglie le …

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Flipboard e il declino della democrazia?

Non ho ancora un iPad (se mai l’avrò) e dunque non ho potuto provare in maniera diretta Flipboard. Eppure leggendo i molti commenti sbocciati sui blog di chi ne parla, me ne sono fatto un’idea. In pratica si tratta di un’applicazione che raccoglie le …

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Cristiani bellicosi

Una cosa che non mi è mai piaciuta sono le associazioni cristiane con nomi molto poco cristiani, come Militia Christi, Legionari di Cristo e company.Che relazione hanno nomi bellici con il cristianesimo? Queste persone hanno mai letto i vangeli?E’ com…

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http://filisetti.blogspot.com/2010/07/cristiani-bellicosi.html

Sicurezza informatica e responsabilità personale

Qualche tempo fa stavo lavorando alla Biblioteca di Sirmione, quando un signore mi ha chiesto se i dati d’accesso alla sua mail restassero salvati sui Pc, che sono pubblici, e quindi accessibili ad altri.Aveva infatti provato a chiudere e riaprire il b…

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http://filisetti.blogspot.com/2010/06/sicurezza-informatica-e-responsabilita.html

Tanto noi cresciamo lo stesso

Kuno Prey diceva che nell’uni in cui ha insegnato a Weimar c’era uno spazio comune in cui gli studenti si ritrovavano e dove avevano sede tutte le organizzazione studentesche dell’uni. La loro era una scrivania unica e condivisa: la più lunga della Germania. Gli studenti hanno avuto modo di strutturare, partecipare e sporcarsi le mani in questa uni per crescere non solo sul piano accademico ma anche umano. Collaboravano, erano propositivi, di lanciavano in nuove imprese. Avevano pure creato un baretto in un minivan della Volkswagen in cui si faceva il caffè buono (vi sfido a trovare in Germania un posto in cui si sappia fare del caffè decente).

A Bolzano, invece, nonostante si dica che per gli studenti si fa spesso fin troppo, questo non c’è. In tutta Italia non c’è la possibilità di crescere umanamente per colpa del tre più due. (Ora manco più in Germania dunque, né in tutta Europa)

Ma a noi giovani è chiesta la crescita umana? Non è che le imprese, più sei lobotomizzato e più ti apprezzano? Pensate a cosa tutti quei laureati, sfruttati come muli a contratti da sei mesi ciascuno, sottopagati e presi in giro, potrebbero fare se fossero uomini veri con le palle. Ce lo lascerebbero fare? Non è mica più comodo per tutti continuare a mantenere bambina questa nuova generazione, così da evitare che sbattano in faccia alla vecchia tutti i suoi errori? Tenerli sempre alle prime armi. Che quando in terza media potevi fare gite da tre giorni (perché eri tra i grandi della scuola), poi in prima superiore tornavi bambino con uscite di massimo una giornata. Che dopo la maturità torni matricola e poi di nuovo, con una laurea triennale, devi di nuovo ripartire in una nuova città come l’ultimo arrivato. E poi ancora, sei solo uno stagista. E poi sei stagista da un’altra parte.

Ma in realtà noi continuiamo a crescere umanamente. Di un’umanità diversa da quella della generazione passata. Che crede di averci tarpato le ali. Noi non ci lamenteremo, ma appena ne abbiamo la possibilità ce ne andiamo all’estero. Neanche ha idea questa vecchia e appassita generazione della direzione in cui (spero) stiamo crescendo. Noi comunichiamo su canali che non conoscono. Ci spostiamo a una velocità che non conoscono. Conosciamo così tante persone che manco si immaginano.

Non voglio neanche lamentarmi del tre più due come ha fatto Prey. Significa che sono quasi forzato a cambiare paese e di studiare in una città nuova. Ho la possibilità di affrontare due lauree, facendo due tesi, approfondendo ben due temi diversi. Posso cambiare indirizzo con una specializzazione ponderata con maggior cognizione di causa. Il tre più due, sotto certi aspetti, ci permette di crescere ulteriormente in quella direzione che ci permetterà di dimostrarci meglio degli adulti di oggi.

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Impegno e giovani

Perché gli studenti non partecipano più alla vita istituzionale? Non votano ne alle elezioni nazionali ne a quelle studentesche. Non vedono più il fascino nei ruoli dei rappresentanti, ma più dei compiti per gente che non capisce ancora in che posto vive. Perché tanta disaffezione nei confronti dell’unico strumento che ci è dato per partecipare e contribuire al miglioramento del nostro ambiente?

Parlo da giovane che più volte ha fatto il rappresentante di classe dalle elementari alle superiori. Caporedattore dell’unico giornalino universitario dell’uni e coinvolto in molte associazioni più o meno utili.

Io stesso se riesco me ne sbatto. Io stesso devo fare un enorme sforzo per fingere a me stesso che di tutti questi problemi me ne sbatte qualcosa (perdonate il francesismo). Il fatto è che a molti non è che non interessi in assoluto di quello che succede nel mondo per pura pigrizia (anche se una buona dose di pigrizia c’è) e pura ignoranza socio-politica (anch’essa in buona parte responsabilità nostra, perché gli strumenti di comunicazione ci sarebbero). Non è un malanno che colpisce solo gli studenti (stasera alla tavola rotonda sono stati additati gli studenti universitari). È un problema della nostra società in toto, al quale sono particolarmente esposte le nuove generazioni perché non conoscono alternative.

Noi, noi giovani, siamo cresciuti in un mondo dettato dalla libera concorrenza. Un sistema liberale. “Libero” è il termine chiave. Sono libero di concorrere (come fornitore di servizi/prodotti) ma al contempo sono anche libero di scegliere quale servizi/prodotto scegliere. E qui sta il punto. Abbiamo università private e pubbliche. Io addirittura sono finito in una che si dice “Libera Università di Bolzano” che non è ne privata ne pubblica (parrebbe).
Ci sono dei grandi problemi strutturali nella mia università? Beh, ne scelgo un’altra. O “meglio” (leggi “peggio”) ancora, stringo i denti per uno o due anni (ora che mi accorgo degli inghippi in genere almeno un anno è passato, che se fossero stati manifesti, manco la sceglievo quell’uni) che poi mi laureo e passo a una specialistica altrove. Magari nei tre anni del bachelor mi sono pure fatto un semestre all’estero. E chi li sente i problemi in questo contesto?

Due sono i fattori dunque (che non ci siamo scelti noi giovani ventenni) che influiscono su questa nostra indifferenza:

  1. l’abitudine a poter scegliere (filosofia usa-e-getta della roba rotta, in contrasto ad un approccio di “riparazione”) e
  2. la brevità della sofferenza (s-fortunatamente troppo corta per accorgerci dei guai o abbastanza corta per sopportarli).

Siamo dunque veramente una razza inferiore ai nostri nonni che sì, forse stavano peggio, ma a loro detta erano anche mille volte più fighi?

Al contrario. Mi permetto di dire che noi (giovani europei) non siamo solo molto meglio dei nostri nonni, ma anche dei nostri genitori. Siamo una generazione di gente che prende l’aereo e si vede il mondo. Che si impegna a parlare almeno due lingue. Che deve affrontare precarietà professionale, concorrenze dall’estero, uno stato assente e corrotto, un ambiente minacciato da inquinamento e surriscaldamento, precarietà famigliare con genitori separati e con prospettive personali non tanto più rosee, stando alle statistiche. Una generazione maledetta da un fardello pensionistico da far tremare le ginocchia. Eppure non ci siamo fatti (ancora) prendere dal panico. La paura c’è e stiamo imparando da soli come affrontarla, perché i nostri problemi la generazione che ci sputa in testa neanche se li immagina.

Sì, non ci impegniamo più in politica, ma il fatto che non siamo dove voi eravate 50 anni fa non significa che ce ne stiamo a casa a metterci lo smalto sulle unghie. Che poi il mondo che ci circonda non ce lo siamo fatti noi. Viviamo nella vostra eredità!

[La foto l’ho scattata a Yellowstone. Ritrae una generazione nuova di alberi che cresce in mezzo a un bosco distrutto dall’incendio.]

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Partiti nelle università? No, grazie

No. Non serve la politica nelle università. O meglio, non servono i partiti. Già ho dei forti dubbi sull’utilità assoluta al giorno d’oggi dei partiti come li si intendevano 50 anni fa e come qualche nostalgico anacronista vuole intenderli ancora oggi. Per semplificare possiamo ancora parlare di partiti di destra, di sinistra e di centro, ma le distanze dal centro si accorciano sempre di più. O almeno così vorrebbe il buon senso. Questa dimensione orizzontale perde di giorno in giorno il suo valore. Ed è un bene. Perché non possiamo sperare di affrontare i problemi di oggi con gli strumenti di ieri.

Riconosco però che a livello nazionale il buon senso non basta. Non posso sperare che 60 milioni di italiani, imbevuti di televisione fino al collo, con giornali che parlano di questioni superflue e di battibecchi futili e superficiali e che dimenticano insieme ai nostri politici la programmazione a lungo termine prendano criticamente in analisi programmi elettorali. Gente che nei casi di virtuosismo nel mantenersi aggiornata di quello che succede nel mondo impara a memoria annali di formazioni di squadre calcistiche.

La politica basata sui partiti permette di legittimare la scelta di pochi informati e coinvolti con i voti dei molti, che spesso neanche sanno cosa fanno.

Ora, però, non parliamo più di una nazione, ma di un’università. Un ambiente con poche migliaia di studenti. Servono i partiti?
Senz’altro servono persone che hanno a cuore il miglioramento dell’ambiente in cui stanno. Che rappresentino gli studenti, che li abbiano eletti o meno, nelle questioni più importanti. Che comunichino in due direzioni: dalla gente alle istituzioni, dalle istituzioni alla gente. E perché mi soffermo sulle università? Perché i rappresentanti, studenti come tutti, nel giro di qualche anno, appassionati o meno al loro ruolo semi-politico, se ne vanno. Se sono nella posizione di rappresentante non lo fanno certo per il potere, i benefit e per tenersi una poltrona comoda e calda. Lo fanno perché è nella loro indole impegnarsi a nome di tutti.

Non servono partiti per fare ciò. Non servono ideologie archeologiche per i problemi di un’università. Serve buon senso e pragmaticità. L’idealismo serve solo perché quella dozzina di studenti candidati decidano di perdere del tempo non solo per il bene proprio, ma di tutta la categoria che rappresentano.

Io sono contento che a Bolzano i rappresentanti studenteschi siano apolitici. Lo vedo come un passo verso l’apertura mentale.

E nelle università dove i colori politici svettano con orgoglio dalle mani di studenti incravattati e ammuffiti? Beh, mi spiace per loro. Mi spiace per quegli studenti che sono manipolati da una classe politica che proprio in questi tempi nel nostro Paese sta facendo una figura sempre più meschina su tutti gli schieramenti e su ogni fronte.

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Scelte di evoluzione

Stasera si è tenuta in università la presentazione dell’ultimo libro del prof. Sergio Ortino “La struttura delle rivoluzioni economiche“. Mi aspettavo una cosa molto diversa partendo dal titolo dell’incontro a livello di contenuti, anche se non voglio entrare nel merito di questo in quanto non essendo documentato prima dell’incontro era ovvio che mi aspettavano sorprese. Si è rivelato nonostante ciò una presentazione ricca di spunti. In particolare mi vorrei allacciare al concetto di scelta che il prof. Ortino ha citato senza entrare nei dettagli, cosa che immagino faccia il suo libro.

Egli ha detto che l’uomo, l’ominide a voler essere precisi, ha scelto di abbandonare gli alberi. E nel tempo ha scelto più volte di cambiare paradigmi in concomitanza di crisi. Questo almeno quello che io ho colto nella mia ignoranza sull’argomento. A prescindere dal fatto che io abbia compreso bene o meno, mi viene da fare la seguente considerazione: l’uomo, in quanto specie umana, sceglie? Esistono scelte collettive? L’evoluzione si basa su scelte?
Pensiamo anche solo a queste due settimane, a fronte delle numerose crisi, finanziarie, ambientali e politiche che siano, possiamo dire che stiamo facendo delle scelte? Che la nostre classe politica stia facendo delle scelte?

Il mio parere è che non possiamo osservare delle vere e proprie scelte quando siamo ad un livello macroscopico. Anzi, non esistono scelte se non a livello personale.

Intendo dire che ogni volta che sono avvenuti grandi o piccoli adattamenti, riforme di qualsivoglia genere, rivoluzioni politiche e sociali, non parliamo di scelte collettive, quanto più di manovre di adattamento che una società mette in atto sotto la guida della sua classe dirigente e/o in base alle convinzioni più o meno condivise all’interno di questa società che si diffondono come una moda nelle teste dei suoi membri.
Quando ad esempio in questi giorni si dice che l’UE ha deciso di salvare la Grecia, non si intende che mezzo miliardo di persone in comune accordo ha scelto di aiutare un paese. Semplicemente il cancelliere tedesco e il presidente francese, valutando i fatti, hanno deciso che è la cosa più sensata agire in questa maniera.
Un altro caso, la BCE o la Federal Reserve a fronte della grande crisi finanziaria non hanno fatto delle scelte. Hanno applicato schemi di adattamento a un cambio di condizioni ambientali.
La gente non investe nel privato? Abbassiamo i tassi dei BOT.
L’atmosfera si scalda? Imponiamo leggi e educhiamo le nuove generazioni allo scopo di contrastare e prevenire futuri peggioramenti.
Le auto si schiantano in curva? Abbassiamo i limiti di velocità.

Non sono scelte. Sono adattamenti volti alla sopravvivenza. Sopravvivenza in termini assoluti di vita o di morte, o anche in termini relativi al mantenimento del potere e dell’ordine (politico, economico, sociale…).

L’uomo non ha mai compiuto scelte nella sua storia evolutiva. Ha effettuato adattamenti secondo necessità e istinto. E qui Darwin resta attuale. Smith pure.

Il Cogito ergo sum di Cartesio vale solo per l’individuo. Cartesio non ha detto “Cogitamus ergo sumus”. Il suo assioma vale solo riferito a sé. Tutto il resto, quello che riguarda la collettività, è un adeguamento più o meno guidato da raziocinio che qualunque macchina evoluta in grado di saper percepire e valutare l’ambiente sarebbe in grado di fare. Tanto che appunto è notizia recente quella della creazione di un computer intelligente. Una massa di persone, nelle dinamiche esterne si differenzia appena da un

Una pluralità di persone può condividere una scelta solo se si raggruppa in base a questa a posteriori, dopo che gli individui si sono comunicati le proprie posizioni (vedi partiti, comunità religiose…). Quando osserviamo grandi cambi di mentalità in un popolo nel corso del tempo, non è che un nonno ha fatto una scelta e di generazione in generazione questa si diffonde tra i suoi nipoti moltiplicandosi in un fenomeno di massa. (Se anche così fosse i discendenti non starebbero già più scegliendo, ma assorbendo idee altrui in maniera inconsapevole. E già non parliamo più di scelta.)

L’unica cosa che può mettere d’accordo un popolo intero, una tribù, un gruppo, sono stimoli esterni che impongono un adeguamento individuale omogeneo a quello altrui, che risulta in un cambio di rotta complessivo di massa.
Quando tra il VIII e il VII secolo a.C. i Greci hanno deciso di espandersi nel Mediterraneo, dando inizio alla formazione a quella che oggi definiamo Magna Grecia, non l’hanno fatto mica per scelta. Non è a qualche centinaio di marinai è venuto, sulla base di ponderazioni personali indipendenti le une dalle altre, il desiderio di colonizzare nuovi lidi così di punto in bianco. Alla base di questo fenomeno migratorio (come in ogni altro caso) vi erano contingenze esterne: scarsità di terra, cibo e di risorse in genere. Quello che accomunava tutti gli individui che vi hanno preso parte alla migrazione è stato il comune istinto naturale di allontanarsi da una situazione sgradevole. Nessuna scelta, ma una pura reazione omogenea quanto è omogenea l’umanità al suo interno.

Per concludere, dunque, la mai posizione è che non ha senso parlare di scelte evolutive, ma
o di scelte personali,
o di adattamenti evolutivi.

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Il perché delle fondazioni

Questo post è l’anticipo di un discorso politico più elaborato che avevo in mente da un po’ di tempo e che desideravo condividere, magari raccogliendo pareri preziosi.Per sviluppare questa analisi bisogna partire dal presupposto che la crisi dei part…

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http://iltempiodelmoralizzatore.blogspot.com/2010/04/il-perche-delle-fondazioni.html

Il perché delle fondazioni

Questo post è l’anticipo di un discorso politico più elaborato che avevo in mente da un po’ di tempo e che desideravo condividere, magari raccogliendo pareri preziosi.
Per sviluppare questa analisi bisogna partire dal presupposto che la crisi dei partiti politici è un dato di fatto ormai da tempo e che le strategie messe in atto sono state sostanzialmente di due tipi:

– cambiamento di prospettiva politica con l’adozione l’evoluzione bipolarismo-bipartitismo (almeno formale) da parte dei partiti maggiori

– costituzione di fondazioni politiche

Nel prossimo post cercherò di analizzare brevemente la prima modalità, mettendone in luce pregi e difetti, per poi passare alla seconda, che poi è l’argomento di questa riflessione.

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