A noi che ricordavamo visite di presidenti americani fra ali di folla festante, ha fatto un po’ specie vedere Obama aggirarsi nel deserto creato dalla polizia romana, segno di un evidente calo di popolarità fra gli italiani.
Va bene che, a parte “yes we can” e altre formule assortite di minor rango, la funzione del presidente americano questa volta era quella di venire in Europa col cappello in mano con un compito che stava a metà tra il vu-cumprà e il tira orecchie. Evidentemente aveva dovuto intraprendere questo viaggio con la massima velocità per evitare che qualche nazione “amica” scivolasse verso la simpatia alla Russia di Putin. Così è venuto a offrire collaborazione, F35 e soprattutto, adesso che con lo shale gas l’America sta raggiungendo l’autonomia delle fonti energetiche, anche gas al posto di quello che fino a ora è stato fornito dalla Russia.
Ma il nostro “si noi possiamo” (yes we can), fino ad ora in politica internazionale non ne ha imbroccata una. Diamo un’occhiata al quadro generale: in Afghanistan la situazione è assai lontana dall’essere soddisfacente; difatti stante il ritiro delle truppe degli Stati Uniti, il presidente Karzai ha pensato bene di interpellare i Russi che, cacciati ai tempi dell’ Unione Sovietica, rischiano di tornare richiamati dal governo. In Pakistan si sono stabilmente insediati i talebani e lo Stato è in una situazione di tragici contrasti religiosi con un florilegio di attentati. Quando ha messo il naso nel Mediterraneo, dando ascolto a quell’altro pirla di Sarkozy, si è visto il disastro combinato. In Egitto probabilmente saranno i militari a salvare la situazione rispetto alla gloriosa “primavera araba”.
In Siria l’insediamento di tagliagole islamici è stato evitato grazie all’azione combinata di Papa Francesco e (ancor più) del diktat di Putin. L’ultimo sbaglio lo ha fatto con l’Ucraina. E qui, immemore del sostegno da sempre strombazzato al volere dei popoli, si è dimenticato che la Crimea era ucraina soltanto da sessant’anni, era abitata in larghissima maggioranza da Russi e che nella storia era sempre stata la perla dell’impero degli zar e la loro riviera, costellata di palazzi degli imperatori e dei maggiori nobili russi. In tempo di rivoluzione sovietica il principe Felix Yussupov, quello che aveva ammazzato Rasputin, era riuscito a vivere a Parigi vendendo delle tele di grandi pittori del Rinascimento italiano che aveva nel suo palazzo in Crimea e che tolse dalle cornici e arrotolò in un grosso rotolo trasportabile nella fuga.
Oggi la penisola è la sede della flotta russa del sud; quella che con la base di Tartus concessa dalla Siria permette alla flotta di operare nel settore meridionale. Alla fine in queste condizioni, chiunque avrebbe potuto capire due cose: che la Russia non avrebbe mai abbandonato la Crimea e che avrebbe fatto tutto il possibile, con l’appoggio della popolazione locale, per riavere il controllo totale sull’importantissima penisola.
Un altro fatto: come noto il gasdotto South Stream passa sotto il Mar Nero e dalla Crimea si può controllare dalla superficie il suo percorso. Putin ha vinto la corsa fra i due gasdotti; South Stream sostenuto dalla Russia e Nabucco caldeggiato dagli Stati Uniti, anche con l’aiuto di Berlusconi al quale l’ appoggio alla Russia deve essere costata la poltrona.
Sta di fatto che Putin si è rivelato un uomo di Stato assai più accorto e deciso di Obama, che ha in pratica perso la sconsiderata battaglia di Crimea, nella quale per fortuna non è riuscito a coinvolgere le nazioni europee che hanno tirato fuori un sacco di parole, ma sinora nessun fatto.
Il suo motto dovrebbe cambiare, in italiano: “Sì, noi possiamo… combinare innumerevoli pasticci”.
Calibano
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