In Italia il sistema di incentivi economici alla produzione di energie rinnovabili ha distorto a tal punto il mercato che è all’ordine del giorno fare delle vere e proprie follie come bruciare il mais per produrre energia (alla faccia di chi nel mondo mure di fame) e trasformare terreni agricoli in campi fotovoltaici, come se da noi mancassero i capannoni su cui installare i pannessi solari.
La provincia si muove, ma qualcosa potrebbero fare già i comuni, almeno secondo me.
Business fotovoltaico e biogas – La Provincia chiede un limite
Consumo del suolo per far spazio agli impianti e granoturco usato come combustibile: «Così non va, agricoltura penalizzata»
Una «santa alleanza» tra assessorati provinciali all’Ambiente e all’Agricoltura per porre un argine al proliferare dei grandi impianti fotovoltaici (superiori al megawatt) sui fertili campi della Bassa e per ridimensionare il business del biogas, che brucia oltre ai reflui anche il mais necessario alla nostra zootecnia.
Un’alleanza annunciata ieri dai due assessori competenti in Broletto, Stefano Dotti e Gianfranco Tomasoni, che lanciano un Sos alla Regione affinchè fissi con qualche paletto legislativo l’anarchia in materia di impianti rinnovabili. Una crociata tutt’altro che ideologica quella dei due assessori, ma fatta per tutelare quel che resta della campagna bresciana dal punto di vista ambientale ed economico.
Non sono affatto contrari al fotovoltaico realizzato sui tetti di case e industrie, così come non sono contrari al biogas funzionale alle vere esigenze di smaltimento reflui degli allevatori.
Il problema è che nel 2010 e nel primo mese del 2011 si stanno facendo avanti società interessate al business del fotovoltaico da mettere laddove oggi si coltiva il mais. Altre interessate a bruciare il mais prodotto (ad oggi il 17% della produzione complessiva) negli impianti biogas, per produrre energia. Posizione perfettamente in linea con quella espressa dalle maggiori associazioni agricole bresciane.
«Vista la pioggia di domande che stanno pervenendo al mio assessorato – taglia corto Dotti – sono convinto che servano linee guida che dettino regole precise per i grandi impianti, quelli superiori al megawatt (per i quali servono 3 piò, ndr). Vista la redditività degli incentivi ci troviamo di fronte a società che vogliono acquistare aziende agricole da 200 piò e riempirli di pannelli a terra. Siamo di fronte ad un sistema che non incentiva per nulla il piccolo agricoltore, che anzi rischia di vedersi sottratti dei fondi a lui destinati. Stessa cosa vale per il biogas: nulla in contrario se realizzato per le esigenze reali di smaltimento reflui degli allevatori; il problema è che ci troviamo di fronte ad aziende di pochi ettari che installano enormi impianti, solo per fare business. Impianti che vengono poi alimentati a mais. Se andiamo avanti così nel giro di due anni il 50% del mais prodotto in terra bresciana finirà nei digestori. Potrebbe essere un colpo mortale alla nostra zootecnia».
Dotti sottolinea un altro punto: con la crisi in atto del comparto suinicolo e il miserrimo prezzo del latte alla stalla ci saranno sempre meno allevamenti. Il rischio è quello di trovarsi tra qualche anno con un numero di impianti a biogas superiore alle necessità. Con cosa funzioneranno?
«Noi dobbiamo tutelare i nostri agricoltori e la nostra zootecnia – aggiunge Tomasoni – e per questo insieme agli assessorati all’Agricoltura delle altre province lombarde abbiamo chiesto una modifica alla commissione regionale Ambiente affinché si parametrino questi impianti sulla dimensioni effettive dell’azienda agricola e sul numero di capi, per evitare speculazioni». Per Tomasoni il fotovoltaico a terra inasprisce ancor più il problema del consumo di suolo, che nella nostra provincia vede sacrificare al cemento 2,16 ettari al giorno.di Pietro Gorlani – BresciaOggi del 26.02.2011
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