“Siamo figli del tutto o figli del niente.
Da una parte Dio, dall’altra il Caos”,
ha scritto Daniele Mencarelli.
La giovane desenzanese vince il primo premio assoluto al Concorso Internazionale «Rossini» per fagotto di Pesaro.
E se il dolore fosse una strada misteriosa per essere più umani, per imparare a mendicare, carpire una qualche fratellanza, scoprire la dismisura della realtà e la sovrabbondanza dell’amore? Domande che incrociano la storia di Sarah Carbonare, figlia del desenzanese Alessandro, per tre lustri primo clarinetto dell’Orchestre National de France e da vent’anni solista all’Orchestra Nazionale di Santa Cecilia. La giovane Sarah ha conseguito una doppia vittoria: contro un grave tumore del sangue, il primo premio assoluto al Concorso Internazionale «Rossini» per fagotto di Pesaro.
«45 partecipanti, da 16 nazioni, bravissimi colleghi che ammiro enormemente. Avevo prenotato l’albergo per una sola notte, perché non credevo nemmeno di arrivare in finale – spiega Sarah –. Ero appena uscita da una malattia che mi ha tenuta ferma per due anni. Ospedali, medici, isolamento, infusioni di chemioterapia lunghe 8 ore. Riuscivo ad ascoltare solo musica stupida, perché la bellezza della classica mi avrebbe uccisa dal dolore. Pensavo continuamente al mio futuro: potevo non farcela, ma in ogni istante il mio cuore gridava l’aspirazione a un avvenire pieno, bello, soddisfacente. Avevo fame di vivere, dovevo sbrigarmi, fare tutto il prima possibile. Ogni giorno mi chiedevo se ce l’avrei fatta: a laurearmi e a svegliarmi la mattina seguente. Avevo ideato un planning gigante della giornata. Lo tengo ancora attaccato alla porta della camera dove sono stata “segregata” a causa della malattia. Adesso, da due anni vivo a Barcellona, dove studio con la bravissima Maria José Rielo Blanco».
Perché ha scelto proprio il fagotto?
«Ho iniziato con il clarinetto, ma la presenza di mio padre era un po’ “ingombrante”. “Con il fagotto c’è molto lavoro”, mi ha suggerito la mamma. L’ascolto dei Concerti di Vivaldi per fagotto suonati da Sergio Azzolini e le prime lezioni con Francesco Bossone mi hanno conquistata. In realtà, di fagottisti ce ne sono più di quanto sembri, e lo strumento non è così facile come me l’avevano descritto».
Che rapporti ha con Desenzano?
«Sono nata a Parigi, ho studiato a Roma, in Germania, Spagna, Francia, ma quando chiudo gli occhi mi rivedo in riva al lago. Con un padre come il mio, sempre in tournée, l’appoggio dei miei nonni (e di una carissima zia, quasi una seconda madre) è stato fondamentale. Sono cresciuta a Desenzano; ricordo benissimo il giardinetto in cui io e mia sorella trascorrevamo le estati. Mio nonno è morto troppo velocemente, mi sarebbe piaciuto fargli sentire qualcosa con il fagotto. Mia nonna è una delle mie migliori amiche, una persona incredibilmente intelligente, appena posso passo da Desenzano per aggiornarla di tutto quanto».
Quali maestri l’hanno colpita particolarmente?
«Mio padre è sicuramente un punto di riferimento. Un altro grande è Alessio Allegrini, personalità limpidissima, idee folgoranti, incredibile interprete. La mia storia non è la solita fantasia cinematografica in cui l’arte salva il paziente e gli dà la forza di andare avanti, anzi, pensare a tutta la bellezza che mi stavo perdendo mi faceva arrabbiare di più. Con il poeta Camillo Sbarbaro ripeto: “Le case sono case, gli alberi son alberi”; e la musica è musica! Voglio tutto, niente mi basta, seguo il mio desiderio infinito»
ENRICO RAGGI
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