Sandro Pellegrini, dopo un anno un ricordo vivo

Un anno fa morì Sandro Pellegrini, per decenni voce delle imprese veliche compiute sul Benaco e non solo, firma del Giornale di Brescia e cronista appassionato per Teletutto.

Nel primo anniversario della scomparsa, il Circolo Velico di Gargnano lo ricorda con un evento speciale: la presentazione, domani alle 10.30, nella sede di via Bettoni 23 a Gargnano, del libro di Sandro Pellegrini «Il lago dentro di noi». Il volume sarà presentato da Lorenzo Tonini, presidente del Circolo Vela Gargnano, da Domenico Foschini, consigliere della Federazione italiana Vela, da Gialuigi Nobili, coordinatore dell’associazione onlus Hyak, Piero Vantini, curatore del libro e dal giornalista Enzo Gallotta.

Le righe che seguono, invece, sono un ricordo personale del cognato di Pellegrini, Paolo Casadio.

Il ricordo

I cognati non si scelgono, ma càpitano. Più o meno pensai questo quando conobbi Sandro Pellegrini nel lontano 1985, all’aeroporto di Olbia: io turista già sull’isola, lui arrivato per lavoro. E il suo lavoro, negli anni successivi, avrebbe dettato i nostri incontri, per ritrovarsi nella casetta Marcolini dei genitori, a Maderno. Non ci misi molto a capire l’incredibile causticità del suo carattere, quei soprannomi sempre azzeccati con cui battezzava chiunque: il labbro d’oro, il negriero, il saputello, e via andare in un inesausto e ironico florilegio. Poi facemmo vacanze insieme e m’accorsi di quanto bene volesse alla sorella Anna, la sorellacchia.

E poi Sandro, insofferente ai cartellini da timbrare ma soprattutto all’imbecillità di chi vuol comandare senza saper comandare, ritornò sul suo lago per restarvi. Sul lago s’inventò il lavoro, del lago scrisse e raccontò le pieghe più riposte, nel lago si rifugiò come nell’utero materno poiché sì, per lui il Garda era casa, salotto, vela e cucina: e amici. Soprattutto amici, pochi, fidati e compagni di giochi verbali come la famosa fabbrica di gelati in Groenlandia. Viveva il lago a modo suo, scanzonato e irriverente delle forme, come quel vestire in giacca, braghini corti e infradito in occasione delle sue memorabili interviste dal Circolo Vela di Gargnano: tanto in tivù si vede solo il busto, diceva sorridendo.

Poi la vita si dipanò come si dipana per tutti e quel Sandro mordace e ironico svelò tratti fragili, d’una umanità dolente. Ricordo quando mamma Diamante ormai stesse spendendo gli ultimi giorni e Sandro, davanti all’ineluttabile, trascorse un pomeriggio in silenzio con la madre, nascondendo con gli occhiali da sole lo sguardo lucido. E ricordo le telefonate quotidiane con Anna al primo manifestarsi della malattia, il suo sminuire apposta la gravità della situazione sia a titolo scaramantico, sia per non spaventare la sorella.

Sandro serbava in sé una tenerezza bonaria e cortese raccolta sì dalla madre ma soprattutto da babbo Vittorio; una tenerezza che cercava di dissimulare dietro alle battute sagaci e agli appellativi pungenti. Sandro serbava in sé la grandezza delle persone buone, e il bene lo faceva impegnandosi in attività a favore di bambini malati e portatori di disabilità. Ho sempre, tra i ricordi, quell’ultima telefonata in cui ci disse di non preoccuparsi perché l’indomani sarebbe stato un giorno migliore, ed era il domani di cui non avrebbe visto la fine.

«God bless the clown» fu l’ultimo omaggio reso a Stan Laurel e Sandro, ineguagliato cantore del Garda, merita egual tributo.

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