La butto lì: ai democratici servirebbe un Brunetta. Sì, messa così sembra un provocazione, ma lo è solo in parte. Anche perché il ministro stesso si professa socialista e ritiene di fare cose “di sinistra”. E io penso che sia proprio così.
Non mi interessa la polemica sullo “stile” del ministro, sulle presunte strumentalizzazioni, sull’eventuale protagonismo, sull’ “effetto annuncio”. Può anche darsi che nelle motivazioni ci siano elementi che giustificano queste critiche. Che però continuano a riguardare il metodo e ignorare il merito, com’è nello stile del centrosinistra da molti anni a questa parte: l’integrazione degli immigrati è un fenomeno problematico? Quando lo si diceva si veniva tacciati di razzismo e il problema veniva negato. Così quelli che lo hanno affrontato (magari con ricette becere e feroci) hanno raccolto consenso, perché il problema esiste, non lo si può evitare ma lo si deve affrontare.
Così è con la pubblica amministrazione: eroga servizi insoddisfacenti e assorbe risorse molto superiori al risultato. Vogliamo affrontare il problema o ci accontentiamo di ricordare che la DC ha gonfiato gli organici degli enti pubblici durante lunghi anni di potere con l’unico scopo di costruire bacini elettorali? (come se il PCI non avesse mirato a prenderne il posto…)
Già scrivevo a ottobre dell’anno scorso che la polemica sui fannulloni era la punta un iceberg, che probabilmente il ministro brandiva per scuotere l’ambiente e preparare l’opinione pubblica allo sradicamento di un tabù. Adesso ho letto Rivoluzione in corso, e non è che ci si possa fare un’idea affidabile della qualità del vino chiedendone all’oste, però i ragionamenti di Renato Brunetta non fanno una piega. A partire dalla considerazione che una pubblica amministrazione più efficiente migliora la vita dei cittadini: soprattuto di quelli più deboli, quelli che non possono mandare altri a fare le file, che non possono andare negli uffici pubblic in taxi, che non sono ancora sufficientemente abili con il computer per ottenere risposte via Internet…
La cosa interessante è che l’ousider del PD Ignazio Marino ha toccato il tema della meritocrazia nell’ambito pubblico lasciando intravvedere la disponibilità e il coraggio di mettere mano a un nodo cruciale per il centrosinistra. Che perde consensi tra gli operai, non riesce a costruire un contatto con i ceti produttivi in generale, ma conferma una predilezione (seppur di strettissima misura) proprio tra i dipendenti pubblici.
Il PD dovrà decidere tra la “conservazione” nella pubblica amministrazione, per puro calcolo elettorale, cioè per il timore di perdere consensi presso l’unico ceto professionale in cui ancora prevale, e la rivoluzione dei servizi pubblici, per dare servizi soddisfacenti a tutti i cittadini. Forse solo un politico non professionista, un laico (nel senso di pragmatico non conformista) potrebbe avere la sfrontatezza di rinunciare a questo calcolo. Forse per questo Ignazio Marino ne ha parlato.