Sto cominciando a fare ordine nei miei dischi esterni (musica 460gb, foto 100Gb, backup da viaggio 200Gb, vecchiVHS digitalizzati 80Gb, workarea per il montaggio video 80Gb) e con il disco interno da 320Gb del mio mac fanno 1,24 terabytes.
Ferma un attimo: oltre un tera per un uso, avanzato certamente, ma pur sempre nella sfera "personale". C’è da pensarci su.
Da Mediaworld dove ho comperato le cartucce della stampante prima di venire a Sesto, ho visto un disco da un tera a circa 100 euro e in rete ne ho trovato uno a 89 euro.
Con Damiano sto configurando una nuova macchina che rimpiazzi l’iMac che non è adeguato al lavoro sul video che ho in mente di fare e stiamo pensando a una macchina che parta con almeno 4 tera in RAID e possa arrivare fino a 16.
Ferma un attimo, 16 tera! Ma abbiamo idea di cosa vuol dire? Non tanto
per il costo che è diventato talmente basso che non ha senso continuare
con tutte le scatolotte che adesso mi porto dietro, ma cosa questa mole
incredibile di "artefatti digitali", "pezzi digitali della mia vita",
significhi in termini di gestione, organizzazione, tutela,
valorizzazione, patrimonio?
Nei laboratori di Pula una delle aree di ricerca ha come oggetto il DAM, ovvero il Digital Asset Management, la gestione del "patrimonio digitale" e il sistema rilasciato in OpenSource si chiama NotreDAM (bel nome!). Parlando con Maurizio Agelli che dirige il progetto, più volte abbiamo confrontato i nostri punti di vista: lui vede come obiettivo prioritario i grandi archivi digitali, le biblioteche, i musei, gli archivi fotografici delle agenzie, io insisto nel dire che l’evoluzione vertiginosa della digitalizzazione porta questo tema a livello di singoli individui.
Ma non solo, pensiamo alle aziende: quale dimensione assume il "patrimonio digitale" di un’azienda? Si è a lungo parlato degli "intangible assets" e cioè di quella parte del patrimonio aziendale che non si può facilmente materializzare e quindi iscrivere a bilancio (epserienza, conoscenza, persone, stili di lavoro).
E che dire allora del patrimonio digitale? Milioni di archivi, che a differenza di quelli cartacei o analogici sono un valore perchè referenziabili, ricollocabili, ricontestualizzabili, vera memoria delle imprese.
Come districarsi non tanto in dimensione degli archivi ma tra miliardi di files che si valorizano perchè entrano in relazione, grazie alla rete, con miliardi e miliardi di altri archivi analoghi.
Ed eccomi qua: l’ultimo backup del mio MacBook (solo il disco interno) diceva 936.418 files.
Uno dei temi che affronto nel mio discorso su Bach e la complessità è quello della "percezione" della complessità, della sua visualizzazione emotiva. Quando qualche biblovoro come me e Marina si aggira nelle stanze della propria casa e vede libri ovunque, scopre libri doppi e si ripete "accidenti devo decidermi a metterli in ordine", ha comunque la percezione materiale della grande quantità di "artefatti culturali" in cui siamo immersi.
Quando guardo uno dei dischi sul mio tavolo che potrebbe contenere tutto ciò che ho in casa e molto ma molto di più, la percezione si perde e con essa il rischio di perdere anche il senso di tutto ciò.
Per i progetti DAM e quelli televisivi ho guardato con attenzione il progetto della Sardegna Digital Library (un piccolo sorriso e un goccio di rimpianto pensando alla mia mediateca di tanto tempo fa che non sono riuscito a far comprendere) e vedo l’immenso potenziale di una intera cultura che trovi nel web e nella digitalizzazione un modo per essere, anche solo artificialmente, raccontata, fruita, condivisa, arricchita.
Discorsi fatti tanti anni fa con Liddy e il suo progetto di tutela culturale del patrimonio aborigeno o sul disastro dei bambini in Cambogia a cui Pol Pot ha distrutto il futuro distruggendo ogni eredità culturale quando ha bruciato le biblioteche e devastato i musei.
Discorsi che ho fatto riflettendo sulle conseguenze del terremoto in Abruzzo: una perdita doppia, oltre che il patrimonio fisico, si è persa la traccia non avendone una copia almeno in digitale, senza contare il danno non calcolabile della perdita di milioni di "artefatti digitali" persi nei computer rimasti sotto le macerie con le foto di famiglia, i filmini delle vacanze, la nascita del figlio tanto atteso.
Non ho risposte. Guardo i miei dischi e penso che la quantità di bit è indifferente, in bit o un milione di mega fa poca differenza. Il valore è nel fatto che la digitalizzazione del mio mondo culturale assume valore nella sua fruzione, nella sua condivisione, nella sua disponibilità, nel fatto che arricchisce e si arricchisce dello scambio con i miei famigliari e con gli amici.
E nel suo movimento acquisisce un valore non calcolabile.
Grazie ad Alfonso che mi ha invitato a scrivere sul tema.
Vai articolo originale: http://blog.gigitaly.it/2009/07/ragionamenti-tera-tera.html