Se un musicista ti consiglia l’ascolto di un certo tipo di musica o ti suggerisce una discografia, la cosa sembra ovvia, ma se un musicista come Carlo Boccadoro ti propone una serie di brani letterari che hanno per tema la musica, la cosa è meno scontata.
Ho letto velocemente la sua proposta di Racconti Musicali, grazie anche alla forma propria della raccolta per cui alcuni pezzi sono dei camei e i brani più lunghi non durano nemmeno una sinfonia.
Un paio di racconti sono davvero belli e coinvolgenti ma questo mi sembra relativo, quello che mi interessa è cercare di capire cosa vorrebbe dirci Carlo, la sua idea della musica espressa con altri strumenti.
Di tutto il libro quello che infatti mi ha più colpito è la sua introduzione quando dice che la gente fa fatica ad accettare la musica come un fatto a sé stante e la deve sempre associare a immagini o a visualizzazioni, quasi che la forza della musica sia difficile da sorreggere da sola.
Nel suo Lunario della Musica, racconta, spiega, caldeggia le sue scelte ed è come se, seduti a tavola, cercasse di invogliarti ad assaggiare un piatto che non conosci facendotene pregustare il sapore o l’esclusività.
Nei Racconti Musicali, il suo atteggiamento è molto più discreto, presenta un’orchestra di racconti di cui non è il direttore e dopo l’introduzione si ritira dietro le quinte: i brani li ha scelti lui, certamente, ma tutto dipende dall’incontro tra musicisti e pubblico e quando alla fine c’è l’applauso lui non torna in scena con un epilogo o con un commento per prendere l’applauso che gli spetterebbe, rimane a bearsi del successo altrui.
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