Dopo aver scritto al Sindaco chiedendogli di modificare lo statuto comunale ho scritto ai consiglieri comunali di minoranza proponendo di presentare in Consiglio Comunale una mozione (di cui ho inviato loro una copia) che chieda di prendere posizione contro la recente privatizzazione dell’acqua messa in atto dal Governo e che si proceda a modificare lo Statuto Comunale con un articolo che sancisca il riconoscimento dell’acqua come “un bene comune e un diritto umano universale” e che il servizio idrico è “un servizio privo di rilevanza economica” da gestire in forma pubblica e con la partecipazione delle comunità locali.
Ho scritto a tutti i componenti della Commissione Statuto affinchè chiedano al Sindaco di convocare la commisione per procedere alla modifica dello Statuto.
Anche il Comitato Benaco Acqua, l’Associazione San Felice più Felice e l’Associazione Tuteliamo l’ambiente ed il territorio hanno ricevuto una mia lettera in cui chiedo loro di sollecitare il Sindaco a procedere con la modifica dello statuto.
E’ importante continuare… dobbiamo fermare la privatizzazione dell’acqua!
Questo il testo della lettera inviato al Comitato e alle associazioni citate:
Egr. Presidente,
Le invio questa mia lunga lettera in quanto ritengo fondamentale richiedere il Suo impegno in una azione che miri a garantire un diritto universale: Acqua come bene comune.
So di chiederle uno sforzo, ma La invito a leggere tutta la lettera in quanto solo così potrà comprendere a fondo l’importanza di quanto Le sto per chiedere.
Le vicende che San Felice ha vissuto per l’acqua erogata dall’acquedotto nel mese di Giugno ovviamente Le sono note.
Ritegno che parte di quello che è accaduto sia addebitabile al passaggio forzato dell’acquedotto al gestore unico individuato dall’AATO. Il servizio, prima gestito dal comune, fino ad allora non aveva avuto nessun tipo di problema in ordine di qualità dell’acqua. Forse è un caso, ma questa è una cosa inconfutabile.
L’attuale maggioranza Parlamentare ha posizionato un ulteriore tassello verso una privatizzazione sempre più spinta. Credo invece sia necessario percorrere la strada opposta e riportare l’acquedotto verso un controllo pubblico, trasparente e garantista.
Come già saprà il recente art. 15 del D.L. 135/09 – approvato definitivamente dalla Camera dei Deputati il 19 Novembre 2009 – introduce alcune modifiche all’art. 23 bis della Legge 133/08 e muove passi ancora più decisi verso la privatizzazione dei servizi idrici e degli altri servizi pubblici locali, prevedendo l’obbligo di affidare la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica o, in alternativa a società a partecipazione mista pubblica e privata con capitale privato non inferiore al 40%.
Tale provvedimento sottrarrà ai cittadini ed alla sovranità delle Regioni e dei Comuni l’acqua potabile di rubinetto, il bene più prezioso, per consegnarlo, a partire dal 2011, agli interessi delle grandi multinazionali e farne un nuovo business per i privati.
Questo è un epilogo da scongiurare, sia per un concetto inviolabile che annovera l’acqua come un diritto universale e non come merce, ma anche per le ripercussioni disastrose che una privatizzazione potrebbe generare sui cittadini in funzione della crescita delle tariffe.
Anche in presenza dell’art. 15 del D.L. 135/09, rimane possibile dar vita ad una gestione pubblica del SII che si realizza pienamente attraverso l’affidamento diretto ad un Ente di diritto pubblico, strumentale dell’Ente Locale (Consorzio tra Comuni, Azienda speciale, Azienda speciale consortile).
La strada per arrivare a tale risultato, in particolare per costruire un Azienda speciale consortile, è sostanzialmente la seguente:
Tale strada passa attraverso l’inserimento negli Statuti Comunali dei Comuni dell’ATO di una specifica formulazione che definisca il servizio idrico integrato quale servizio pubblico locale privo di rilevanza economica. Ciò è pienamente legittimo, in quanto l’Unione Europea demanda ai singoli Stati membri il fatto di definire quali siano i servizi a rilevanza economica e quali privi di rilevanza economica e la normativa del nostro Paese non si è mai pronunciata esplicitamente in questa direzione. L’unico riferimento esistente in proposito risale al comma 16 dell’art.35 della legge 448/2001 (legge Finanziaria 2002), con il quale il governo era impegnato, nell’arco di tempo di 6 mesi, ad emanare un regolamento per definire i servizi pubblici locali da considerarsi “a rilevanza industriale”. Regolamento che non è mai stato presentato.
Ho inviato al Sindaco la richiesta di inserimento nello Statuto dei Comuni di un articolo che enuncia un principio fondamentale: l’acqua è un bene comune naturale finito, indispensabile all’esistenza di tutti gli esseri viventi. Dunque per l’esigenza di tutelare il pubblico interesse allo svolgimento di un servizio essenziale, con situazione di monopolio naturale, si considera il servizio idrico integrato come un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica.
Ho inviato ai Consiglieri Comunali una bozza di mozione da presentare per impegnare il Sindaco ad attuare la modifica.
Perché chiedere la modifica?
Perché con tale operazione, i Comuni dell’ATO hanno la potestà di decidere quale forma gestionale intendono adottare per la gestione del servizio idrico in quanto servizio privo di rilevanza economica, e, quindi, scegliere di affidarlo direttamente ad un’Azienda speciale consortile da essi costituita. Infatti, con la sentenza n. 272 del 27 luglio 2004 la Corte Costituzionale è intervenuta nell’ambito della normativa che disciplina i servizi pubblici locali. Con tale sentenza la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 14, comma 1 e 2, del D.L. 269/2003 (“Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici”) in quanto tali norme determinavano un’illegittima compressione dell’autonomia regionale e locale in materia di servizi pubblici locali. La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, tra le norme abrogate, anche dell’art. 113 bis del D.Lgs. 276/2000 (TUEL), cioè di quell’articolo che disciplinava i servizi pubblici locali privi di rilevanza economica.
Secondo la Sentenza citata, infatti, “il titolo di legittimazione per gli interventi del legislatore statale costituito dalla tutela della concorrenza non è applicabile a questo tipo di servizi, proprio perché in riferimento ad essi non esiste un mercato concorrenziale”.
Il legislatore statale, quindi, in materia di servizi può legiferare soltanto in riferimento al tema della “tutela della concorrenza”, tutto il resto è demandato al livello locale.
A questo punto per l’Ente Locale è possibile il ricorso all’articolo 114 (azienda speciale) del TUEL, che, combinato con l’art. 31 dello stesso TUEL, porta a dar vita ad un’Azienda speciale consortile;
Infine, mi preme sottolineare, sia pure in modo sintetico, i motivi per i quali penso che la scelta dell’affidamento ad un’Azienda speciale consortile sia quella realmente rispondente ad una gestione pubblica del servizio idrico, a differenza dell’affidamento ad una SpA “in house” . Le ragioni sono sostanzialmente due: la prima è relativa al fatto che, a seguito dell’approvazione del decreto 135/09, le gestioni affidate conformemente ai princìpi comunitari a società “in house” cessano, improrogabilmente e senza necessità di deliberazione da parte dell’ente affidante, alla data del 31 dicembre 2011 oppure esse cessano alla scadenza prevista dal contratto di servizio a condizione che entro il 31 dicembre 2011 le amministrazioni cedano almeno il 40 per cento del capitale.
La seconda ragione è decisamente più di sostanza, nel senso che un Ente pubblico si muove nell’ambito del diritto pubblico, mentre una SpA, anche se a totale capitale pubblico, rientra in quello del diritto privato. Ora, questa differenza non è affatto secondaria o puramente di principio, anche se questo piano non va assolutamente sottovalutato. Infatti, per quanto ci riguarda, quando parliamo di acqua, di un bene comune essenziale per la vita e di un diritto umano da garantire a tutti, le questioni di valore e di principio non possono essere facilmente eluse. Ma, per tornare al ragionamento, ci sembra importante sottolineare che stare nell’ambito del diritto pubblico o in quello privato non è assolutamente la stessa cosa in termini di conseguenze per chi usufruisce del servizio: essere azienda di diritto privato significa dover rispondere all’obiettivo di produrre utili, mentre un Ente pubblico assume come vincolo il pareggio di bilancio. Il che, per esempio, non è decisamente indifferente nella fissazione dell’andamento tariffario, a partire dal riconoscimento della remunerazione del capitale aziendale investito in una misura pari al 7%, e, più in generale, per l’insieme delle scelte gestionali che un’azienda deve assumere.
Per quanto sopra chiedo il Suo impegno e La esorto a contattare il Sindaco invitandolo ad attivarsi per la modifica dello Statuto Comunale inserendo il seguente articolo:
Art. ……
Il Comune di San Felice del Benaco dichiara di:
- riconoscere il Diritto umano all’acqua, ossia l’accesso all’acqua come diritto umano,universale, indivisibile, inalienabile e lo status dell’acqua come bene comune pubblico;
- confermare il principio della proprietà e gestione pubblica del servizio idrico integrato e che tutte le acque, superficiali e sotterranee, anche se non estratte dal sottosuolo, sono pubbliche e costituiscono una risorsa da utilizzare secondo criteri di solidarietà;
- riconoscere che la gestione del servizio idrico integrato è un servizio pubblico locale privo di rilevanza economica, in quanto servizio pubblico essenziale per garantire l’accesso all’acqua per tutti e pari dignità umana a tutti i cittadini, e quindi la cui gestione va attuata attraverso gli Artt. 31 e 114 del d.lgs n. 267/2000;
Conto sulla Sua collaborazione.
Non esiti a contattarmi. Sono a sua completa disposizione per ogni chiarimento necessario.
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