Chi sostiene l’impellenza del ricorso alle urne in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale che ha bocciato il lodo Alfano fa un grave errore. Perché attribuisce a un fatto giuridico (con possibili conseguenze giudiziarie) una valenza politica. Accreditando in questo modo l’idea che esiste una battaglia politica contro il presidente Berlusconi condotta con mezzi giudiziari.
E’ invece fondamentale per la tenuta democratica del Paese che le questioni politiche si dibattano in Parlamento, quelle giudiziarie nei tribunali.
Fintanto che il presidente del Consiglio avrà una maggioranza parlamentare, invocarne dalla piazza le dimissioni come un atto dovuto sarebbe arrogante e pretenzioso. Nel frattempo la Corte Costituzionale ha ribadito che – finché è in vigore l’attuale Costituzione – il presidente del Consiglio è un cittadino come gli altri e come tale potrà essere sottoposto al giudizio della magistratura.
Peraltro, anche qualora si arrivasse a celebrare i processi e questi si concludessero con una condanna definitiva, non ci si illuda che Silvio Berlusconi esca sconfitto dalle urne. In democrazia vince chi conquista il consenso degli elettori, e non mi pare che ci sia una diffusa sensibilità alla casella giuziaria dei candidati. Così è la democrazia “semplice”, e questi sono i risultati laddove una nazione non riesca a costruire meccanismi di selezione della classe dirigente rigorosi, capaci di fare emergere talenti e virtù.
Se esiste un’alternativa politica all’attuale maggioranza, dovrebbe occuparsi anche di questo. Intanto mi sembra una fortuna che qualcuno si stia ponendo il problema di come vogliamo l’Italia futura, con un orizzonte a cinque anni.