Perché il lago di Garda si sta riempiendo meno di altri laghi

Dal 14 febbraio la cessione di acqua del lago di Garda al fiume Mincio è stata ridotta per cercare di mantenere un livello accettabile del lago, che però a distanza di oltre un mese non ha ancora ricominciato a riempirsi come si sperava.

Esistono però delle ragioni che spiegano il basso livello di acqua nel lago di Garda che vanno oltre alla quantità di acqua rilasciata dalla diga di Salionze, che regola il deflusso verso il Mincio in provincia di Mantova, e che hanno a che fare con la morfologia del lago, con le condizioni meteorologiche di questi mesi e in generale con la grave siccità che sta vivendo tutto il nord Italia.

Dai dati diffusi ogni settimana dall’osservatorio Anbi, l’associazione nazionale dei consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue, emerge che in questo momento il lago di Garda sta soffrendo più degli altri grandi bacini naturali del nord Italia. Mentre i livelli degli altri laghi si stanno infatti alzando grazie allo scioglimento della neve, il Garda fatica a riempirsi e si ferma al 37,9% della sua capacità (dati di giovedì 23 marzo). Questa percentuale è vicina al minimo storico rilevato dal 1950, cioè da quando si prendono le misure che permettono di capire lo stato del lago: altezza idrometrica, portata erogata, afflussi al lago, volume.

Perché al lago di Garda manca acqua

EMBED [Leggi anche]Un primo motivo che spiega il livello ancora basso del lago di Garda è dovuto alla sua conformazione. «È il primo lago italiano per dimensione tra i laghi prealpini, però la superficie del suo bacino idrografico, cioè quella parte di lago in cui si raccoglie l’acqua dalla neve sciolta che confluisce attraverso il fiume Sarca dal Trentino, è molto più piccolo in termini di rapporto tra la superficie del lago e la superficie del bacino stesso – spiega Diego Balduzzi, agronomo del Consorzio di Bonifica Oglio Mella –. Di conseguenza il lago si riempie più lentamente». Balduzzi usa una metafora efficace per spiegare questo processo: «Immaginiamo il bacino idrografico come un imbuto: più è grande la parte alta dell’imbuto, più si riempie in fretta. Nel lago di Garda succede l’opposto». In più, lago di Como e lago Maggiore possono contare sulle riserve di neve normalmente più abbondanti della Valtellina e del Canton Ticino che hanno alle loro spalle.

Il secondo motivo ha a che fare con la carenza di pioggia di questi mesi. Se da una parte, spiega ancora Balduzzi, nella zona del lago di Como e del lago Maggiore piove e nevica storicamente di più rispetto che nell’area del Trentino e del Garda, negli ultimi anni l’assenza di precipitazioni si è aggravata. Per il Joint Research Centre della Commissione europea quest’inverno la neve sulle Alpi è stata il 30% in meno rispetto al 2022. A fine febbraio si è stimata una quantità di neve caduta pari a 2,9 miliardi di metri cubi a fronte di una media storia di 8,7 miliardi di metri cubi e dei 4 miliardi di metri cubi nello stesso periodo dell’anno scorso. La scarsità di neve si traduce automaticamente in una minore disponibilità di acqua per i laghi e i fiumi quando le temperature cominciano ad alzarsi.

Perché piove poco

EMBED [L’isola dei Conigli con il tratto di terra emerso per la siccità]

Ci sono diverse ragioni che spiegano la scarsità di precipitazioni e quella conseguente di scorte di acqua. La prima è meteorologica: «Nei mesi scorsi ha piovuto più al sud che al nord e quando piove al sud generalmente non piove al nord, e viceversa – spiega Giulio Betti, meteorologo del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dell’AMPRO, l’associazione dei meteorologi professionisti –. Nelle regioni del centro e del nord è mancato quasi sempre il flusso atlantico, da cui dipende la pioggia in queste zone, mentre nel meridione ci sono state masse d’aria nord orientali legate alla bassa pressione dal Tirreno meridionale e dal Mar Ionio che hanno portato piogge».

La seconda ragione è che storicamente le regioni del nord sono più impreparate rispetto a quelle del Sud a far fronte alla siccità. Nonostante abbia perdite della rete idrica maggiori, negli anni il sud ha sviluppato diverse strategie per affrontare periodi siccitosi, per esempio creando bacini artificiali per conservare l’acqua. «Al nord si è sempre contato sull’accumulo di neve sulle Alpi, anche per soddisfare il bisogno d’acqua delle industrie e dell’agricoltura, ma adesso non c’è più questa garanzia» prosegue Betti.

La siccità attuale

In sintesi quindi la siccità attuale è il risultato sia di condizioni meteorologiche sia di cambiamenti climatici previsti da oltre vent’anni dagli scienziati. Le siccità sono sempre esistite in Italia, ma come spiegano i ricercatori del Cnr la grande differenza rispetto al passato è che oggi le temperature sono molto più alte e quindi si esacerbano gli effetti. «Nel rapporto dell’Ipcc appena pubblicato si mostra come l’aumento di 1,5° sia già stato raggiunto nel Mediterraneo e in Europa – spiega Ramona Magno, ricercatrice del Cnr e responsabile della sezione Drought Observatory dei Climate Services dell’Istituto di Biometeorologia e della sezione siccità del Consorzio LaMMA della Regione Toscana –. Questo vuol dire che queste zone saranno indicatori di ciò che succederà in altre aree del mondo più avanti. Stiamo infatti già osservando diversi fenomeni estremi, che si sovrappongono o si sommano. Pensiamo a quanto abbiamo già visto nel nord Italia nel 2022: al deficit di pioggia sono seguite ondate calore più intense, succedute o intervallate da piogge violente».

EMBED [Alcune persone camminano e scattano foto sulle rocce emerse dal promontorio di Sirmione]

La siccità impone quindi un ripensamento dell’uso dell’acqua, che in futuro cadrà in modo sempre più disomogeneo. Non si può più pensare di procedere con lo stesso ritmo di prelievo dai bacini: già adesso la riduzione delle erogazioni per industrie e agricoltura rappresenta una misura emergenziale, altrimenti i livelli dei laghi sarebbero ulteriormente inferiori. Sperare nelle piogge di aprile e maggio sarebbe una soluzione posticcia, che non risolverebbe la crisi idrica: «Se avessimo da qui a giugno piogge abbondanti è comunque abbastanza utopistico pensare che due mesi bastino a sanare la situazione. Per risolvere il problema servirebbe un lungo periodo di precipitazioni non troppo intense, perché i terreni sono secchi e quindi l’acqua tenderebbe a scivolare e non penetrare» conferma Betti.

Bisognerà adottare quindi una serie di misure che vanno da un nuovo sistema di irrigazione a colture meno idrovore fino allo sfruttamento degli invasi e delle acque reflue sia per l’uso agricolo che per quello urbano. «Occorre fare una serie di scelte sul lungo periodo. Anche perché il 2023 sarà probabilmente più difficile dell’anno scorso, perché sconta la siccità del 2022 – osserva Magno –. Senza interventi complessivi, ci ritroveremo a gestire situazioni sempre più gravi anche nei prossimi anni».

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