Oggi ero al funerale della mamma di un caro amico e tutta la sua tristezza mi è entrata nel cuore.
Sono passati due anni da quando ho perso la mia e quella cicatrice, che ormai pensavo chiusa, è invece ancora aperta e ho capito che non si rimarginerà mai: continuerò a sentirne la mancanza a pensare a cosa avrebbe detto in questa o quella occasione a come, in fondo, abbia avuto tanto dalla vita.
Quando, al voltarti indietro, non trovi più chi ti guarda le spalle, provi un profondo senso di solitudine, ti senti piccolo piccolo, la cerchi con lo sguardo in attesa di una conferma, un incoraggiamento che dica "ora tocca a te".
Quella conferma non può più arrivare, almeno non da fuori, non da una voce, non da una carezza, non da una minestra sempre pronta, te la devi trovare dentro ( e c'è, perchè lei l'ha ben piantata da qualche parte) e capire che ora sei tu a indicare la strada, sei tu "la responsabilità", tu che dovrai raccontare il mondo ai piccoli che corrono davanti a te.
Non riesco ad andare a letto senza fissare questi pensieri, che non mi alleviano la tristezza ma me la rendono tollerabile.
Mi aveva molto colpito sentire mio padre chiamare "mamma" in uno dei momenti di crisi della sua malattia prima di morire, non credevo possibile che dopo più di cinquant'anni dalla perdita lui ancora la chiamasse, ne sentisse l'assenza e il bisogno.
Ora capisco: siamo orfani per sempre.
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