Sono passati esattamente nove anni da quel tragico 16 novembre 2015 , quando Simona Simonini , una donna di 42 anni, è stata brutalmente uccisa dal suo compagno, Elio Cadei , dopo anni di violenze fisiche e psicologiche sistematiche. Nonostante la condanna a 30 anni di carcere , ridotti a 20 per il rito abbreviato, i genitori di Simona, Bianca Josè Corridori e il marito, ancora oggi non trovano pace .
Il dolore dei genitori: “La nostra vita è annientata”
Bianca Josè, che oggi ha 80 anni, e suo marito di 85, vivono un’esistenza segnata dalla sofferenza quotidiana . “Da nove anni non viviamo più, ma sopravviviamo”, racconta la madre, descrivendo il devastante impatto che la perdita della figlia ha avuto su di loro. “Mio marito va al cimitero due volte al giorno e ogni sera si chiede: perché mia figlia è stata uccisa? “.
Non si danno pace. Simona era stata annientata psicologicamente dal compagno violento, che non solo la maltrattava, ma le infliggeva crudeli torture , come bruciarle la pelle con sigarette e suturare personalmente le ferite che le causava. “Prima di conoscerlo, era una donna forte, indipendente, aveva un figlio e una vita stabile”, ricorda la madre. Ma gli abusi subiti hanno progressivamente distrutto la sua autostima e la sua capacità di ribellarsi, fino al tragico epilogo.
“Siamo soli”: un appello alle istituzioni
Nonostante la sentenza del 1° marzo 2017 che sanciva il diritto al risarcimento per i genitori di Simona, nessuno ha mai fatto seguito alle disposizioni del tribunale. Gli effetti personali della figlia, custoditi nella casa del suo carnefice, non sono mai stati restituiti. L’avvocata Ippolita Sforza , che assiste la famiglia, sottolinea come sia inaccettabile che per reati così gravi si possa ottenere uno sconto di pena. “Chiediamo un maggiore impegno per prevenire la violenza di genere, partendo dall’educazione nelle scuole , affinché i giovani capiscano che le donne non siano oggetti da possedere”.
Il dolore della famiglia Simonini si fa più acuto ogni anno, soprattutto in occasione del 25 novembre , Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Bianca Josè ribadisce la necessità di azioni concrete per supportare le donne vittime di violenza ei loro familiari. Chiede che vengano istituiti gruppi di solidarietà nei tribunali per dare forza alle donne che trovano il coraggio di denunciare, affinché non si sentano mai più sole.
Un figlio segnato per sempre
Una delle poche gioie rimaste nella vita di Bianca e suo marito è il nipote, figlio di Simona, che hanno cresciuto dai 7 ai 17 anni. Purtroppo, anche lui ha subito il peso della tragedia familiare. “Durante l’adolescenza ha iniziato a manifestare gravi sintomi epilettici , probabilmente scatenati dallo stress emotivo”, racconta la nonna. Oggi, pur avendo una certa autonomia, non può lavorare né guidare, ma è comunque una fonte di conforto per i nonni.
Prevenire per evitare altre tragedie
Bianca Josè lancia un appello: “È necessario agire a livello familiare e scolastico per prevenire la violenza maschile. Spesso le madri non sono consapevoli dei comportamenti dei propri figli al di fuori delle mura domestiche. Bisogna educare i giovani uomini al rispetto e alla non violenza “. La famiglia Simonini, lasciata sola nella sua disperazione, spera che il ricordo di Simona possa spingere cambiamenti concreti nelle politiche di prevenzione e sensibilizzazione.
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