Il Comune di
Brescia e Fondazione Brescia Musei,
in collaborazione con l’Associazione
Genesi e il Festival della Pace,
hanno inaugurato la mostra collettiva Finché non saremo libere all’interno
delle sale del Museo di Santa Giulia:
un’esposizione dedicata al tema drammaticamente attuale della condizione femminile nel mondo, con un
particolare focus sull’Iran. Aperta fino al 28 gennaio e con ingresso gratuito.
Il titolo della mostra è declinato al femminile,
mutuato dal libro “Finché non saremo
liberi. IRAN la mia lotta per i diritti umani” di Shirin Ebadi: avvocatessa e pacifista iraniana esule dal 2009,
prima donna musulmana a ricevere il Premio Nobel per la pace nel 2003, assegnatole per l’impegno rivolto alla tutela
dei diritti umani, delle donne, dei bambini e dei rifugiati.
Vent’anni dopo ecco l’assegnazione del Premio Nobel per la Pace 2023 a Narges Mohammadi –altra attivista
iraniana, vice-presidente del Centro per
la difesa dei Diritti Umani, imprigionata dalle autorità iraniane nel
maggio 2016 e ancora in carcere e ad Jina
Mahsa Amini l’assegnazione del “Premio Sacharov 2023 per la libertà di
pensiero” insieme al movimento
di protesta iraniano “Donne Vita Libertà”.
La mostra Finché
non saremo libere prosegue ed espande un filone di ricerca e
approfondimento promosso da Fondazione Brescia Musei a partire dal 2019,
dedicato al rapporto tra tematiche sociali attuali e artisti
contemporanei, “Arte e diritti”.
Anche in questa occasione gli spazi espositivi sono
assegnati a grandi artisti/e che hanno fatto della propria poetica figurativa
un gesto politico. Brescia Musei assume
un ruolo da attore politico-pubblico, proponendo un programma culturale che
ristabilisca la centralità delle Istituzioni museali negli impegni culturali
per la crescita democratica, attraverso lo sguardo di artisti militanti e
consentendo al pubblico di sentirsi parte attiva di una nuova interpretazione
dello spazio Museo e del tempo in cui vive.
Affascinante la parte dedicata a tante realtà di
popolazioni oppresse, dove la protesta di diverse artiste/i sa esprimere nelle
loro opere tale sofferenza con arazzi a più voci e a più colori, fotografie e
dipinti di intenso pathos, rappresentazioni
poetiche di vecchi nativi in
costumi originali e di bambini-ostaggio con un cartellino al collo.
Nelle sale successive tre generazioni di artiste
iraniane: le maestre Sonia Balassanian e
Farideh Lashai occupano le ultime
sale, con interpretazioni ironiche, frammenti delicati che si alternano a
immagini crude degli aspetti violenti della realtà, dove la fisicità femminile
si assottiglia fino ad annullarsi, con volti di donne trafitti con violenza per indicare l’obbligo
al silenzio, i deboli simili ad agnelli condotti ignari verso il macello,
paesaggi onirici e spettrali.
Il percorso si conclude con Verbum e respiro, interventi creati appositamente per la mostra da Zoya Shokoohi, una giovane artista che
da alcuni anni vive a Firenze. La mancanza d’aria nel paese totalitario è resa
da barattoli che andranno tenuti sotto vuoto, poi l’invito a spezzare con
posate inadeguate un dolce fatto da lei crea un ponte con tanti altri pani spezzati
e cene non condivise.
La mostra Finché non saremo libere fa parte
del programma generale della ricerca su arte-diritti-condizione femminile nel
mondo, svolta dal Progetto Genesi dell’Associazione
Genesi, per la curatela di Ilaria Bernardi. con la quale Fondazione Brescia Musei collabora dal 2021.
In questi giorni dolorosi realizziamo quanta strada
ci sia ancora da percorrere per una vera libertà delle donne anche in Italia…
Auspichiamo che il coraggio espresso dalle artiste
iraniane influenzi il contesto locale.
MT
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