Proprio sopra la basilica di Maria Luggau c'è il sentiero dei mulini, uno scosceso viottolo che collega cinque mulini ancora attivi, forse più per i turisti che per una vera attività economica.
Affascinanti comunque con quel profumo di farina e crusca, di legno e acqua.
Mi affascina la semplice ingegneria del mulino, resa complessa dal fatto che tutto è fatto di legno intagliato che pare cosi debole nel suo confronto continuo con l'acqua ma, rovesciando le sorti della sua partita a morra-cinese, l'acqua corre via e il legno resta.
E che dire dell'idraulica fatta di tronchi scavati come forse gli uomini fanno da secoli?
Vista da sotto sembra addirittura una sfida alla gravità perchè i ponti che reggono i tronci sebrano andare verso l'alto, ma poi, ovviamente, ci si accoge che da un mulino all'altro le condotte sono in cadenza perfetta per portare l'acqua con la giusta forza senza che l'energia la faccia debordare ma arrivi tutta al suo motore.
Parafrasando lo slogan che Séguéla inventò per Mitterand, c'è una "forza tranquilla" nella ruota che gira mossa dal getto dell'acqua che prende il suo slancio nell'ultima pendenza.
C'è il senso del tempo e della ripetizione, dell'eterno ritorno, della impermanenza delle cose con l'acqua che scorre a ricordare i Buddha e gli Eraclito e tutti quelli che nei millenni si sono chiesti il perchè delle cose.
Quando poi un'assicella sposta il canale di legno oltre la ruota per fermarne il moto, si ferma la macina ma non la forza dell'acqua che diviene luce e suono.
Einstein lo aveva spiegato, l'energia salta da una forma all'altra ma siamo noi che facciamo fatica a coglierlo, lei lo fa naturalmente.
Basta fermarsi qualche minuto nel silenzio dei prati ascoltare il suono di una ruota ferma, ascoltare il suono dell'acqua che la potrebbe muovere ma che le passa accanto con un sussurro.
Opera dell'uomo che si è congiunta in armonia con la natura, forza lavoro presa in prestito per un attimo e restituita al bosco, al prato, al fiume.
Non c'è l'insulto delle fabbriche, c'è la saggezza artigiana, la medesima che è racchiusa nel mio violoncello.
Ho nelle orecchie la prima sinfonia di Mahler, che impropriamente, secondo me, si chiama Titano, talmente ampia e larga e piena di pace luminosa come lo sono queste vallate, scintillante come questi ruscelli.
Sia lode al pane, la cui farina, macinata da queste pietre, ha catturato l'acqua e i prati, il cielo e i monti: ecco il miracolo, spezzi la pagnotta ed esce una sinfonia.
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