Una lunga storia di passione, orgoglio produttivo e competenze artistiche
Il 20 Dicembre 2016 veniva a mancare, all’età di 98 anni, il “Cavaliere del Lavoro” Luigi Agrati, a Veduggio con Colzano, piccola località brianzola dove egli era stato uno dei fondatori, insieme al fratello Peppino, di una piccola società nata nei primi anni Quaranta del Novecento (quindi in pieno secondo conflitto mondiale), da tempo, con la dicitura “Agrati Group”, diventata leader mondiale grazie al contributo di migliaia di persone di diverse culture che condividono valori comuni. Eccelle nella produzione di viti, bulloni, sistemi di fissaggio, AFP (Advanced Form Parts), componenti di geometria complessa che possono essere ottenuti con la tecnologia dello stampaggio a freddo, con diverse applicazioni nel campo automotive: chassis, freni, sistemi di sicurezza, sistemi per motore e trasmissioni. Sono esclusivamente pezzi prodotti secondo le ristrette specifiche del cliente. Ma perché sto raccontando questa storia? Queste figure così importanti nel settore produttivo tecnologico si è scoperto erano anche appassionati e competenti collezionisti d’arte, in particolare del Novecento con le sue variegate inclinazioni e correnti succedutesi nel corso del secolo; iniziata negli anni Sessanta da Peppino, questa collezione, un totale di 500 opere uniche, è il risultato di un rapporto passionale ed intellettuale con l’arte contemporanea, partendo dall’ “Informale” per proseguire con una forte attenzione alla “Pop Art”, all’“Arte Povera” ed alla “Conceptual art” ed arrivare al “Neoespressionismo” e alla “Transavanguardia”. I nomi salienti e i gruppi portanti sono costituiti dai protagonisti di questi movimenti che hanno segnato il percorso dell’arte non solo italiana, ma internazionale, con alcuni dei quali gli Agrati hanno avuto una forte relazione di dialogo e di amicizia, da Lucio Fontana ad Arman, da Robert Rauschenberg a Robert Ryman, da Alighiero Boetti a Giulio Paolini, da Francesco Clemente a Julian Schnabel. Sarà soprattutto il rapporto di amicizia e dialogo artistico con Fausto Melotti che permetterà l’accrescersi della collezione. In alcuni casi con il loro particolare intuito acquisirono opere di artisti allora poco noti o all’inizio dell’attività, in seguito diventati famosi e celebrati ovunque nel mondo. E’ il caso ad esempio di Christo, incontrato da Peppino a Milano nel novembre del 1970, proprio mentre rimuoveva il telo bianco con cui aveva “impacchettato” il Monumento a Vittorio Emanuele in Piazza Duomo e si apprestava a coprire quello di Leonardo da Vinci in Piazza della Scala. Entrando subito in contatto con l’artista, l’imprenditore gli commissionò alcuni interventi per il giardino della propria villa in Brianza, per poi partecipare come mecenate alla creazione di “Valley Curtain” (letterale italiano “Tenda della Valle”): un enorme telo arancione teso nella Valle del Ri e in Colorado, grazie al quale il mondo conobbe Christo come pioniere della “Land Art” insieme alla sua collega e poi moglie Jeanne-Claude, per un binomio felice, nell’arte come nella vita, che è continuato – e prosegue – nel “marchio di fabbrica” anche dopo la scomparsa di lei verso la fine del 2009. “Land Art” corrente rappresentata in collezione anche da importanti lavori di Michel Heizer. Dopo la morte di Peppino il testimone è stato raccolto dal fratello Luigi, che insieme alla moglie ha deciso, prima di morire a sua volta, di donare questo vero “tesoro” al Gruppo Intesa Sanpaolo nel 2004 con lo scopo di fare conosce la collezione alla collettività e valorizzarla in una sede adeguata. Una parte di questi capolavori è ora esposta nella sede milanese delle “Gallerie d’Italia” (Polo culturale dell’Istituto bancario di cui fanno parte Palazzo Leoni Montanari a Vicenza e Palazzo Zevallos-Stigliano a Napoli), la prima occasione per ammirarne la qualità delle opere scelte, concepita per rispecchiare la visione dei due fratelli che, restando estranei a mode e tendenze di mercato, interpretarono l’attività collezionistica come qualcosa di molto personale, spesso legata, come dicevamo, all’amicizia e alla frequentazione degli artisti. Nel percorso espositivo vediamo un grande dittico di Castellani e un “Achrome” “peloso” di Manzoni accostati a “Winsor 20”, capolavoro dell’artista americano Robert Ryman, in un confronto emblematico della doppia pista – italiana e americana – battuta dagli Agrati. A portarli oltreoceano, la passione per Andy Warhol, di cui si può ammirare un iconico “Triple Elvis”, dedicato al celebre cantante da molti considerato il “Re del Rock’n’Roll”. Onore quindi a questi due “veggenti” dell’arte e degli artisti a loro contemporanei, che hanno creato una panoramica strepitosa della produzione degli anni Sessanta, Settanta ed Ottanta, come ha affermato il Presidente Emerito di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, “una collezione che si segnala a livello mondiale nel quadro delle raccolte d’arte private.” In particolare – aggiungo io – i due fratelli capirono che il baricentro dell’arte non erano più l’Italia e la Francia, ma l’America con il suo “mentore” Warhol che, a mio modo di vedere, non è solo artista “Pop”, ma sensibile interprete delle derive del suo tempo verso manifestazioni che escludono la spiritualità. Un atto di grande civiltà, quindi, quello dei fratelli Agrati, dal quale trae beneficio sia l’incolto appassionato che lo studioso, trattandosi di opere mai esposti al pubblico. Il progetto espositivo, curato da Luca Massimo Barbero con il coordinamento generale di Gianfranco Brunelli, è corredato da un catalogo Electa, in cui possiamo anche leggere un testo critico del Prof. Francesco Tedeschi.
Gelleria d’Italia – Piazza Scala 6, Milano; fino al 19 Agosto 2018; orari: da martedì a domenica 9.30-19.30 (ultimo ingresso 18.30); giovedì fino 22.30 (ultimo ingresso 21.30); Ingresso gratuito; per informazioni e prenotazioni: Numero Verde 800 167619; www.gallerieditalia.com
Fabio Giuliani
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