Cosa è arte? L’arte moderna è arte? Sono domande che ciascuno si pone al più tardi all’uscita da un museo di arte moderna o al termine di un’esecuzione di John Cage. E così negli ultimi mesi ho provato a riflettere su quali sono i confini dell’arte.
Come distinguere un bel soprammobile da un’opera d’arte? La mia risposta è che la differenza sta nella finalità imposta dall’artista. Qui è un cane che si mangia la coda, perché chi è artista? Ma a questo ci arrivo subito. Se l’oggetto prodotto (tenendo conto che può anche trattarsi di un’esecuzione teatrale o musicale o altro ancora) è finalizzato ad un tornaconto materiale (denaro, premi, fama, etc.) allora non la definirei arte ma semplice tecnica esecutrice. Non sono quindi per me artisti in senso stretto i musicisti, i cantanti, gli attori, i lettori di poesie, gli scultori e così via. O almeno, non lo sono in quanto bravi nel fare questo genere di cose, ma eventualmente lo sono per quello che di artistico che ci mettono in quello che fanno. E adesso arrivo alla definizione di arte. Solo un attimo.
L’arte definita come fine a se stessa mi piace già di più come idea, perché sottolinea il distacco dal ritorno terreno, ma se veramente fosse fine a se stessa allora lo sarebbero tutto le cose inconsce come i fiori che crescono così senza motivo apparente e cosciente. Fine a se stesse sono così tante azioni che definirle tutte quante arte sarebbe inutile. Il mio concetto di arte è una via di mezzo. La finalità c’è, ma non è riflessiva (ovvero non è una finalità a vantaggio dell’artista).
Ecco la mia definizione:
L’arte è quella produzione intellettuale che guida il pubblico verso nuovi stati di consapevolezza.
Analizziamo le singole componenti della definizione.
Produzione intellettuale: intendo che l’artista ha fatto un percorso di maturazione che va oltre i criteri di giusto-sbagliato, bello-brutto, possibile-impossibile assunti dalla società. Così come i filosofi spiegano in maniera logica e consequenziale la loro visione del mondo e delle cose attraverso le parole, gli artisti spiegano la loro interpretazione attraverso forme non canoniche. Per avere dei contenuti da offrire al loro pubblico devono dunque compiere gli stessi sforzi dei filosofi (se ricordo qualcosa dal liceo, mi riferisco alla filosofia metafisica, anche se non ci giurerei) nel cogliere la realtà che osserviamo quotidianamente e che ci costringe e limita per trovare poi le vie di uscita verso una contemplazione più completa e distaccata delle cose. L’artista, come il filosofo, è dunque un “pastore di intelletti” che guida la nostra consapevolezza a livelli sempre diversi. Non mi sbilancio nel dire che sono livelli più alti, perché implicherebbe che questa crescita sia per forza per il meglio, cosa tutta da dimostrare. Preferisco al momento parlare di “cambi di rotta” senza dire se in meglio o in peggio.
Pubblico: il pubblico di un artista sono le persone che vengono a contatto con la sua opera. Se un artista è “troppo avanti” per essere accettato, premesso che in qualità di pastore deve essere sempre un po’ più avanti del gregge, può darsi che ci vorrà tempo e maturazione nella società perché si possa formare il suo pubblico. L’insuccesso di un artista oggi non significa che non possa essere un artista domani. Al contempo, siccome il pubblico è in genere una parte ridotta della società, non tutti riconosceranno contemporaneamente un artista come tale. Questo giustifica il fatto che possano esserci varie correnti artistiche e varie forme di espressione artistica contemporaneamente rivolte a pubblici diversi.
Consapevolezza: ho scelto la parola consapevolezza e non comprensione perché il processo di rielaborazione dell’opera artistica non è sempre immediato e omogeneo nel pubblico. Qui sta appunto la differenza tra artista e filosofo, non tanto come forma espressiva, ma come approccio comunicativo. Mentre il filosofo spiega passo per passo la consequenzialità logica dei suoi ragionamenti guidando il suo pubblico alla comprensione in maniera didattica e scientifica, l’artista ha un approccio più diretto, dove scarica sul pubblico degli stimoli perlopiù emotivi che fanno leva sul suo inconscio. Il filosofo ti mostra dove mettere i piedi nel tuo cammino un pezzetto alla volta, l’artista ti fa procedere a balzi disordinati rendendoti consapevole di quello che ti circonda, senza dirti se è meglio o peggio, se devi accettarlo o meno. Non c’è da stupirsi dunque in questa maniera ci sia chi si perde e non riesca a comprendere. Capita spesso che ci sia chi non capisce l’opera, chi vede solo schifo e lo scandalo e non la verità che vi sta dietro (verità relativa alla produzione intellettuale dell’artista di cui ci vuole rendere partecipi).
È un po’ come la paura dei cani. Il filosofo prova a convincerti con la logica che il cane non ti morderà perché ha già mangiato e perché non gli hai fatto niente per meritarti il morso, mentre l’artista proverà a fartelo accarezzare e basta. Se accetti di accarezzarlo, in un baleno vincerai la tua paura, ma se il passo da compiere è troppo lungo o l’artista non è abile abbastanza da convincerti, allora è alta la probabilità che piuttosto che seguire il consiglio dell’artista tu ti chiuda a riccio rifiutando la verità che ti propone.
Questa definizione si applica secondo me a tutti le accezioni che sono state date nel corso dei secoli al termine “arte”. Durante la cosiddetta arte preistorica raggruppava le statuine di terra dalle forme femminili che instillavano l’idea della possibile esistenza di un’entità divina, l’esistenza di una realtà trascendente fino all’epoca ignorata. Poi venne l’arte che narrava il passato con le grandi gesta dei faraoni e del funzionamento vita comunitaria, dando forza al concetto di società organizzata con un passato comune che veniva crescendo con l’affermazione di uno stile di vita sedentario, istituendo classi sociali e legittimazioni di vario genere diverse dalla superiorità fisica. Poi nella società greca fino a Michelangelo assistiamo alla corrente artistica che lancia l’uomo verso la creazione di se stesso, l’umanesimo: uomini di pietra, statue, che sembrano vivi e veri, dipinti bidimensionali che danno l’idea della profondità. Oggi la definiremmo semplice tecnica, perché ormai ci siamo abituati, ormai abbiamo compiuto tutti questi passi di crescita verso nuovi stati di consapevolezza. E potrei continuare con altre correnti artistiche che altro non sono che anticipazioni della crescita dell’umanità.
Nella definizione non faccio cenno ad abilità particolari (bella voce, senso del ritmo, doti drammaturgiche), perché per essere artista non è detto che ci si debba attenere ai canoni classici dell'”arte”. Quello che serve è la capacità di astrazione, di andare oltre, di vedere quello che le strutture istituzionali (nel significato più ampio del termine) non ci permettono di vedere. Basta avere il coraggio di abbandonare le nostre abitudini. Chi ha detto che la padella vada usata per cucinare e non per stirare? Chi ha detto che il percorso scolastico debba iniziare a sei anni per tutti? Questo approccio per certi versi sovversivo (ma in maniera costruttiva) è l’essenza dell’innovazione. Ecco il perché del titolo del post.
Mi scuso per possibili e probabili imprecisioni storiche e lessicali, ma mi muovo in materie in cui ho poca praticità. Quello che mi premeva era dare una definizione di arte, perché so già che in futuro ne parlerò ancora con amici e il post mi aiuta come riferimento scritto. Per il momento mi pare di aver scritto tutto quello che ho da dire a riguardo.
Come immagine ho scelto la “Fontana” di Duchamp. Ricordo che quando l’ho studiata al liceo mi ha fatto incavolare, perché non capivo il senso del suo fare. Ora invece è uno dei miei artisti preferiti. Trovo che Duchamp sia un artista ancora attuale, per il quale siamo noi oggi il suo pubblico.
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