La mia salita più dura, Angelo

Falesia Policromuro, Arco 

 “Adesso non scalo molto poco, chi avrebbe il tempo per farlo? La mia vita ruota attorno all’arrampicata comunque,  oltre ad avere un’azienda di pareti artificiali per arrampicata e lavoro come consulente  per lo sviluppo del turismo outdoor. 

Tutto iniziò negli anni ‘70. Nacqui e crebbi a Verona, ma avevo sempre avuto un debole per le montagne. Mi laureai in geologia e appena potei diventai guida alpina. Un anno dopo aver cominciato ad arrampicare, nel ‘76, arrivai  qui, nella “Busa”. Fu amore a prima vista, ma non c’era quasi nulla, le vie si contavano sulle dita di una mano, non uno spit. Sono anni in cui, a livello mondiale, l’arrampicata viene scossa da una vera rivoluzione. I climbers, che fino allora  erano  alpinisti e praticavano la loro attività in quota, iniziarono a scendere nelle valli e ad arrampicare sulle falesie. L’arrampicata sportiva si diffuse in Italia soprattutto in alcune località come Finale Ligure, la Val di Mello, La Valle dell’Orco,  il Lecchese ed anche il Sarca. 

La nuova arrampicata nasce come free climbing, arrampicata libera. La corda non serve più per progredire come nell’arrampicata artificiale degli anni 60,  ma solo per  assicurazione. Si salgono pareti brevi, di uno o pochi tiri di corda, si iniziano ad utilizzare i chiodi ad espansione che, oltre a rendere più sicura la scalata, permettono di superare pareti improponibili con i classici chiodi dell’alpinismo. L’attrezzatura si alleggerisce e riduce ad imbrago, corda, scarpette, rinvii e sacchetto della magnesite, il nuovo simbolo dell’arrampicata. Una ondata minimalista che era anche una filosofia di vita. 

Chiodi ad espansione  e nuove attrezzature trasformarono la  caduta in un evento senza conseguenze, nasce l’arrampicata sportiva, dove a contare è solo il gesto atletico, che sia performance al top o momento ludico. 

Trai pionieri e massimi esponenti di questo movimento dobbiamo ricordare Roberto Bassi, Heinz Mariacher, Manolo e Luisa Iovane, che sulle pareti del Garda Trentino immaginarono e salirono decine e decine di nuovi itinerari, alcuni dei quali considerate dagli arrampicatori alla stregua di opere d’arte. 

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Decisi di trasferirmi qui anch’io, volevo partecipare alla nascita dell’arrampicata moderna. Cercai però di non rinchiudermi fra le pareti di questa valle, continuai a girare per le montagne di mezza Europa come guida e così mi resi conto del  potenziale che avevano Arco e il Garda Trentino . Iniziai a lavorare su un’idea che da un po’ mi frullava in testa, una sfida con la quale continuo a misurarmi ancora oggi: farne una destinazione di riferimento per i climbers di tutto il mondo. 

Ora è facile a dirsi, ma allora era veramente  una scommessa convincere le amministrazioni pubbliche  che quattro hippies coi furgoni e i sacchi a pelo  potessero diventare un interlocutore turistico su cui puntare. 

Tanto lavoro era già stato fatto in modo spontaneo: grazie alla passione e all’attività dei climber potevamo contare su centinaia di vie incredibilmente belle, ma  mancava un progetto di sviluppo ed un evento che catalizzasse l’attenzione. 

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Nel 1985 Andrea Mellano ed Emanuele Cassarà organizzano a Bardonecchia la prima gara di arrampicata sportiva, l’anno successivo propongono ad Arco di entrare nel gioco. 

Un gruppo di amministratori pubblici, Enio Lattisi, Mario Morandini ed Albino Marchi,  capisce che può essere l’occasione per rilanciare l’immagine e l’economia turistica della città. 

Nel 1987 inventammo   il Rock Master, una manifestazione che da trent’anni è un riferimento mondiale per gli appassionati e che non può mancare nel palmares dei più forti climbers. 

Parallelamente è iniziato il percorso che nella seconda metà degli anni 2000 avrebbe portato alla creazione dell’Outdoor Park Garda Trentino: un grande spazio dedicato allo sport all’aria aperta, sotto la regia dell’Azienda di Promozione Turistica. 

Già nei primi anni 90 furono attrezzate le prime falesie nel contesto di un grande progetto di valorizzazione finanziato dalla Provincia di Trento: un fatto talmente innovativo che una rivista specializzata giapponese ci dedicò la copertina. 

A distanza di un quarto di secolo l’Outdoor Park GardaTrentino offre ben 15 falesie con  oltre 600 linee attrezzate e regolarmente controllate su incarico delle Amministrazioni Comunali, dove scalano  ogni anno decine di migliaia di appassionati. 

Il GardaTrentino è stato e continua ad essere un laboratorio per l’arrampicata. Lo sport climbing negli ultimi 15 anni è profondamente cambiato. Da sport di nicchia è diventato un’attività sportiva e ludica per tutti. Dei 5 milioni di praticanti regolari, stimati in Europa. la grande maggioranza scala su difficoltà contenute. Siamo andati incontro a questa tendenza e l’abbiamo accompagnata con un piano di attrezzatura di nuove falesie in sintonia con questa nuova utenza. 

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E’ una  sfida che possiamo dire di aver  vinto: ogni anno decine di migliaia di climbers scelgono il Garda Trentino per la loro vacanza ed Arco è diventato il più importante distretto specializzato nella vendita di attrezzatura per arrampicata. 

Tutto il mondo ci studia: negli ultimi sei mesi sono stato invitato due volte in Cina ad illustrare la nostra esperienza. 

Da giovane, quando ancora salivo da Verona per venire a lavorare qui, arrivato con la macchina a Nago mi affacciavo al Belvedere: davanti a me ogni volta si apriva l’intera valle, da nord a sud, e  sognavo che un giorno potesse diventare un grande parco per l’arrampicata. Quest’idea dapprima fu una semplice chimera, poi un tarlo e, infine, dopo anni di duro lavoro, assieme a tanti amici, l’ho vista realizzarsi”. 

GardaTrek

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