Si celebra la prima domenica di settembre per la ricorrenza del patrono della Chiesa dedicata a S. Giovanni Decollato del 29 agosto nel popoloso quartiere di Capolaterra a Desenzano.
La processione della domenica mattina, in quei tempi era un dovere unito anche all’orgoglio di parteciparvi con tutta la gente del rione.
I portoni, le finestre, i davanzali prospicienti alle strade della Processione erano addobbati con drappi, quasi broccati, che alla sera si esaltavano in una luminaria preparata con passione e lavoro di qualche giorno fatta da un leggero impasto di creta sui quali venivano inseriti dei gusci di lumaca, migliaia di gusci messi via per tutto l’anno, apposta per quegli addobbi, dopo aver mangiato le lumache fatte “ a tòcio, co le spinase”, con alcune fette di polenta, fette tagliate con “la ref” e cioè un semplice filo di refe legato al manico de “l’ass de la polenta”.
Nei gusci veniva messo dell’olio ed un piccolo stoppino, ed alla sera venivano accesi.
Era suggestivo vederli, ma ancor di più era bello rilevare l’impegno di tutta le gente della Contrada per questa festa, e chi vi scrive era un bimbo di quella Contrada, lieto oggi di raccontare.
Per la ricorrenza, che in campagna era pure quella di “San Gioanì dei fich” (San Giovannino dei fichi) nella vicina Castelvenzago, era costume e rispettoso dovere che i bifolchi delle campagne i cui padroni erano nella Capolaterra, portassero i doni che la campagna e le cascine avevano in quel momento: fichi ovviamente, pollame ma soprattutto le anitre; allevate appositamente per quella festa. Anche i balconi e le vetrine dei negozi: macellerie, salumerie, fornai opportunamente infiorati componevano scenette con anitre impagliate
Questa, ora, la storia.
Accadde che uno dei bifolchi recando i cesti e le anitre, ben tenute prima sull’aia e poi strette con le zampe legate, battendo alla porta nel suo dovere di consegnare il tutto prima della festa non abbia incontrato il padrone per più di una volta, probabilmente era un bifolco meno servile degli altri poiché, incollerito, decideva di trattenere per sé i fichi e le anitre.
E peggio in aggiunta, perché dopo aver tirato il collo e poi arrostito e mangiato l’anitra si è recato di nuovo di fronte alla casa del padrone e, sul portone, con due sane martellate inchiodava becco e zampe dell’anitra.
Non si conoscono le reazioni a quel gesto, non sono arrivate notizie fino ad ora, ma è lecito pensare che la festa doveva comunque essere celebrata, e piano piano, quel gesto di rivolta (che potrebbe, invece, essere stato un allegro momento di festa) è ancor oggi gustosamente ricordato e festeggiato.
Ne è pure nata una canzoncina allegra che viene ancora cantata in coro dopo qualche buon bicchiere di vino.
Questa faceva pressappoco così:
E chi ha mangiato il becco dell’anitraaa?
E l’ho mangiato io!
e poi ripetuto
Vien con me a mangiare il becco dell’anitra!
e giù bicchieri fino a notte,
e zó bicier, e zó bicier, e zó bicier,
e zó bicier… de chel bù
tanto che si sentiva tutta la notte e fino al tardissimo rientro, ondeggiante per le gambe, ormai malferme.
La festa era molto seguita e vissuta fino al 1965/70, era una testimonianza di identificazione popolare legata ad un rione ed alla sua Chiesa (divenuta Parrocchia solo nell’anno 1965) festa sentita e molto vissuta.
Significava una attenta e vissuta partecipazione; ora è solo un retaggio, ma per molti un ricordo ben vissuto, ora vittima di stagioni assediate da messaggi di altro tipo, ma viene effettuata con discreto successo prevalentemente turistico.
da i quaderni del Rigù
Prima pubblicazione il: 5 Dicembre 2021 @ 11:41
Vai articolo originale: http://www.gardanotizie.it/la-festa-de-la-nedra/