L’amico Giorgio Capone ci tiene a raccontare ancora alcuni fatti degli ultimi tempi di occupazione e di guerra che avevano coinvolto, in senso positivo per fortuna, la sua famiglia, ma anche la cittadina di Peschiera. All’inizio di aprile del 1945 si cominciava a capire che la guerra, per i tedeschi, non sarebbe durata per molto. Il centro di Peschiera era stato interamente isolato, chiuso con sbarre, così come la maggior parte delle attività commerciali. Eppure si viveva, anzi si conviveva, con gli occupanti.
I ragazzi adolescenti come Giorgio riuscivano a muoversi abbastanza facilmente per il paese, osservando e memorizzando tutto, senza mai scadere in provocazioni inutili. Ci si arrangiava per procurarsi qualcosa che potesse servire, magari cercando di pescare qualche pesce. Il padre di Capone, con il negozio di stoffe e sartoria requisito, aveva dovuto lasciare a casa le ragazze che vi lavoravano. L’ufficiale tedesco che aveva preso in consegna il negozio con tutte le macchine da cucire e le attrezzature, aveva fatto capire che nulla sarebbe stato toccato. Due giorni prima del 25 aprile quell’ufficiale si presentò al padre di Capone e gli restituì le chiavi del negozio, rimarcando che in un angolo le attrezzature, coperte con dei teli, c’erano ancora tutte.
Un anno dopo, nel 1946, in un lunedì di mercato a Peschiera, Giorgio era intento a controllare fuori dal negozio gli abiti e le stoffe in vendita, quando vide avvicinarsi un signore con la propria moglie che rivolgendosi al ragazzo chiese di Domenico. Quando il padre uscì dal negozio bastò un attimo ad entrambi per riconoscersi ed abbracciarsi. L’ex ufficiale tedesco che un anno prima aveva riconsegnato il negozio in ordine era tornato con la moglie, orgoglioso di mostrarle che in Italia aveva lasciato un amico. Andò all’osteria vicina a prendere un litro di vino bianco con una gasosa e brindarono assieme felici e commossi.
Non era stato l’unico ex militare a tornare a Peschiera. Per diversi anni anche l’attendente del comandante della piazzaforte tornò più volte a trovare i tanti amici che si era fatto durante la guerra. Un ufficiale polacco della Wehrmacht, convalescente in una delle tante ville trasformate in ospedali, si innamorò di una ragazza del posto che poi sposò. Finita la guerra rimase a Peschiera e non avendo una occupazione fondò una cooperativa di recupero materiali. Finito questo lavoro si spostò a Milano a fare il portiere di notte in un albergo. Purtroppo rimase vedovo con due bambini piccoli, allora tornò a Peschiera e dopo qualche tempo sposò la sorella della moglie, “perché” disse “conosceva bene i bambini”. Superfluo aggiungere che diventò cittadino di Peschiera a tutti gli effetti.
“Quando partirono da Peschiera” rammenta infine Giorgio “ci si accorse che i tedeschi avevano piazzato due siluri sotto i ponti delle due porte storiche di accesso, Porta Verona e Porta Brescia. Qualche ufficiale aveva evidentemente lasciato l’ordine di farle saltare. Ma qualche altro ufficiale non lo fece, e le porte furono salve.”
“I popoli non si odiano” scrisse qualcuno su qualche libro di cui non ricordo il nome. I viaggiatori tedeschi nell’Ottocento venivano in Italia perché a scuola avevano letto Goethe. Dopo la seconda guerra mondiale, chi era sopravvissuto ed era tornato a casa, ritornava con moglie e figli per rivedere i luoghi e ritrovare qualche amico. Così è ricominciato nel dopoguerra il turismo sul Garda, dove i tedeschi vengono volentieri da decenni.
La ricostruzione era partita immediatamente per quanto riguarda le linee ferroviarie di primaria importanza per la nazione, come è già stato detto per ponti e viadotti della Milano-Venezia. Anche per la Mantova-Peschiera c’era voglia di ripartire, ma soprattutto di cambiare. Era evidente che con una sola locomotiva a vapore, due o tre vetture e qualche carro merci non si poteva ipotizzare un grande futuro. Si aprivano anche nuovi scenari, progetti per le città da ricostruire. Si incominciava a immaginare estesi poli industriali. E le ferrovie dovevano entrare in questi piani come asse portante delle comunicazioni e dei trasporti.
Già il 18 luglio 1945 usciva un articolo di fondo sul foglio “Mantova Libera” a firma “Civicus”, uno pseudonimo che evidentemente rappresentava una presa di posizione di gruppo d’opinione. “Proposte per la ricostruzione di Mantova – Le comunicazioni ferroviarie – La sistemazione stradale-ferroviaria della zona di Porta Mulina – Perché si può credere nella futura zona industriale di S. Giorgio”. Così declamava il titolo. Si parla anche della ferrovia Mantova-Peschiera. “Dalla città, sfruttando per ora il binario della Mantova-Verona sino a S. Antonio, si diparte inoltre verso nord la Mantova-Peschiera che consente ai mantovani di affacciarsi al Benaco – questo maggiore e davvero magnifico lago virgiliano – e di più brevemente collegarsi alla importantissima linea di traffico Milano-Venezia. La distruzione completa dei ponti ferroviari di Porta Mulina e della Diga pone oggi questo problema: debbono restar fermi i tracciati delle due linee ferroviarie per Monselice e per Verona; e debbono quindi ricostruirsi i ponti distrutti nelle stesse località in cui sorgevano e nelle medesime forme? […] Ma per quanto riguarda la linea di Verona – ed implicitamente quella di Peschiera – è sorto in taluni il dubbio che meglio convenga abbandonare il preesistente tracciato. Anche la nuova Amministrazione Comunale ammette la possibilità di una deviazione della Mantova‑S. Antonio alla Diga Masetti, a servizio della futura zona industriale di S. Giorgio.” Il cronista prosegue attribuendo questo progetto di spostamento del tratto ferroviario, con prolungamento di 6 km per le due linee, al piano Andreani, per favorire il nuovo polo industriale di S. Giorgio. Ma conclude: “Ci sia permesso di esprimere il nostro parere nettamente contrario alla deviazione proposta”. Naturalmente si dilunga a spiegare le ragioni della netta opposizione al progetto, concludendo che allungare la Mantova-Verona e la Mantova-Peschiera di 6 km: “è dunque un non-senso (absit injuria verbis) da seppellire d’urgenza”.
A pochi mesi dalla fine del conflitto, evidentemente, cominciavano a sorgere contrapposti gruppi di potere politico. Nel progetto illustrato risalta agli occhi la penalizzazione che avrebbero subito i due collegamenti con il prolungamento di un sesto del loro percorso. Fortunatamente non se ne fece nulla e la Mantova‑S. Antonio corre ancora oggi accanto al Ponte dei Mulini, o Ponte di S. Giorgio, ricostruito.
Peccato non ci siano più i caratteristici mulini, immortalati sullo sfondo del quadro “Morte della Vergine” (1462–64) dalla incisiva mano di Andrea Mantegna.
continua
Si potrebbero intitolare “ieri e oggi” le due foto a corredo del testo. La posizione di ripresa è pressappoco la stessa:
Nella foto in b.n. (anni 30–40 circa), si vede il binario ferroviario della Darsena di Peschiera che corre lungo la banchina, con un carro ferroviario sul tronchetto finale (il binario a sinistra più piccolo è quello di una Decauville per i carrellini di sterro visibili in primo piano). Sul fondo il fabbricato viaggiatori della stazione F.S. di Peschiera.
La foto a colori è stata scattata nel 2020. Si riconoscono i due tipici capannoni, rimasti, le bitte sulla banchina e un grosso palo in cemento superstite di quelli visibili sulla vecchia foto. (foto G. Ganzerla)
Prima pubblicazione il: 14 Febbraio 2022 @ 19:36
Vai articolo originale: http://www.gardanotizie.it/la-ferrovia-mantova-peschiera-f-m-p-1934-1967-di-giancarlo-ganzerla-18a-puntata/