La community open-source di Wired

Oggi a lezione stavamo parlando della community open-source, di come funziona, cosa motiva la gente a lavorare a gratis, quali nome non scritte la regolano, ecc. All’interno di una comunità open-source si trova gente che condivide una passione, che ha particolari nozioni tecniche, con un background in parte omogeneo, con un’ideologia digitale comune e tante altre qualità che nel parlarne mi pareva potessero applicarsi anche alla community di lettori di Wired. Mi riferisco a Wired.it, perché è questo l’ambiente che conosco. I lettori in qualche modo partecipano, senza pretendere un tornaconto personale (monetario o di altro genere). Non parlo delle lettere dei lettori che vengono pubblicate. Non solo. Penso alla promozione che i primi lettori facevano entusiasti del prodotto. Penso ai contributi e alle idee raccolti per la realizzazione del sito di Wired.it (tra i migliori nel suo genere, a parer mio). Penso anche al feedback continuo e spesso negativo che arriva puntuale ogniqualvolta la rivista si “focus-izza” o prende altre pieghe esplicitamente commerciali. Ci sono poi i lettori che hanno parlato ai propri sindaci per promuovere il progetto delle 150 piazze connesse e tante altre attività che rendono quel vario gruppo di lettori per certi versi una grande famiglia. Per tornare al parallelismo con la community open-source, anche qui ci saranno dei free-rider (quelli che traggono i benefici dal lavoro del gruppo senza contribuire a loro volta), ma lo spirito della comunità di lettori non è certo questo. E la direzione del giornale lo sa benissimo.
Il fatto è che ormai almeno un anno fa (anche di più mi sa) ai primissimi abbonati (quelli che si erano abbonati prima ancora che uscisse il primo numero “sulla fiducia”) è stata regalata una maglietta nera con il logo di Wired e sotto la scritta “follower”. Ora, il termine follower si adatta a chi ti segue su Twitter, a chi ti legge, ma non a chi interagisce con te ed è parte attiva del sistema. Trovo che quel “follower” sia quasi un insulto a chi legge Wired, perché il pubblico cui si rivolge la rivista dovrebbe essere e ha già dimostrato di essere un pubblico attivo, che vuole cambiare le cose, che non gli sta bene che il resto del Paese sia così poco “wired”. E dunque possiamo dire che è una comunità di (wannabe) innovatori o almeno di early-adopters (quelli che per primi sul mercato adottano certe abitudini o acquistano certi prodotti). Come puoi regalare a queste persone una maglietta con scritto “follower”, quando orgogliosamente ti dimostrano che sono partecipi e informati?
Io sto ancora aspettando le prossime magliette, che spero avranno la scritta “crew” o “supporter” o qualunque altra cosa che non sia “follower” sotto al logo di Wired. Non sarò mica l’unico, vero?

L’immagine l’ho presa dal tumblr Incontin(g)ente, dove trovate qualche altro inciampo legato alla maglietta da parte di Wired.

Vai articolo originale: http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/WmDrRKzZ1Eg/la-community-open-source-di-wired.html

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