“Proteso dagli scogli, con i suoi cento arti il trabocco aveva un aspetto formidabile… Quasi sospeso tra la terra ed il cielo, come un ragno misterioso si insinua nella parte più selvaggia del litorale abruzzese, disegnata da piccoli promontori e mille insenature“
Gabriele d’Annunzio “Trionfo della Morte“.
Il mare addolcito dalla sabbia, dal sasso piccolo levigato, l’onda indisturbata, la costa lunga e poco frastagliata. Poi d’un tratto l’Adriatico cambia volto e sul litorale meridionale abruzzese si aprono ripide scogliere che si alternano a brevi calette, e ovunque affiorano grandi speroni di roccia. Un breve lembo di costa che nasconde qualcosa di unico e sorprendente. Gabriele d’Annunzio affascinato dai luoghi natali nella sua tragedia “Il Trionfo della Morte”, scritta nella quiete della sua residenza nascosta tra le rupi di questo tratto di costa, così descrisse: “Quella catena di promontori e di golfi lunati dava l’immagine di un proseguimento di offerte, poiché ciascun seno recava un tesoro cereale. Le ginestre spandevano per tutta la costa un manto aureo. Da ogni cespo saliva una nube densa di effluvio, come da un turibolo. L’aria respirata deliziava come un sorso d’elisire“.
Villa Italia, esiste ancora oggi e dal suo cancello parte un facile sentiero che scende giù verso il mare e porta a Capo Turchino.
E poi appare, il Trabocco, dall’aspetto fragile e dall’ingegnosità e caparbietà dell’uomo. Completamente in legno, i trabocchi, si compongono di una piattaforma, retta da lunghi pali, dalla quale il pescatore cala in mare la rete, e da una lunga e ardita passerella, anch’essa poggiata sui pali, che collega alla terraferma distante anche decine di metri.
Il loro sviluppo si ha tra il XVIII e il XIX secolo anche se leggende e storie che si tramandano tra i traboccanti affermano che i trabocchi erano presenti addirittura prima dell’VIII secolo d.C. Le paludi salmastre che infestavano la costa oltre la complessità geologica dei versanti rocciosi impedivano le popolazioni di creare un’agricoltura per sopravvivere. L’unica fonte di ricchezza rimaneva quindi la pesca. La mancanza di punti stabili per gli approdi delle barche o di porticcioli, la presenza di calette ciottolose e di falesie, portarono molte popolazioni sulla costa a sperimentare una pesca “da fermo”, in mare aperto.
Loro sono lì, affascinanti costruzioni che esplorano il mare ma che non dimenticano la terra a cui sono ancorati. Li contempli e ti stupisci di come così precari e apparentemente poco stabili possano resistere alla furia del mare. Ce ne sono circa una sessantina, alcuni piccoli altri poco più grandi, alcuni ospitano un bizzarro ristorante.
Questo è un pezzo d’Italia di altri tempi, come se tutto si fosse fermato per godere la lentezza delle stagioni dell’uomo. Un mare e una terra generosi, ridondanti di torrenti che alimentano orti e grano. Alle spalle la Majella
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