Intervista a 20.
Alla ricerca del pianoforte perfetto. «Steinway, Bösendorfer, Bechstein, Blüthner, Petrof, Fazioli, Schulze Pollmann, Schimmel, Steinbach, Yamaha». Come la formazione della squadra del cuore, Roberto Bottini snocciola in rapida sequenza le marche di pianoforti che ha sistemato. E’ il principe degli accordatori bresciani, ultra-trentennale collaborazione con il Conservatorio di Brescia, insegnante alle medie di Gussago, quasi in pensione, pronto a ricominciare a pieno ritmo. Alle sue orecchie un suono armonioso è come la pillola per l’ipocondriaco: lo rasserena, lo fa sentire meglio. Lavora nelle retrovie. Invisibile. Mette a punto la meravigliosa macchina nera a tre gambe, poi scompare. Gli applausi li prende il pilota, mica il meccanico. Ha pochi amici, uno è un pianoforte eufonico. Le note sbagliate non sono fatti suoi. Ascolta la vibrazione che si spande nell’aria e gode. «Ho all’attivo almeno 60000 accordature».
Prego?
«3-4 pianoforti al giorno; anche spinette, virginali, clavicordi; il clavicembalo del “Marenzio” l’ho messo in ordine 3000 volte. Un lavoro di alta precisione, concentrazione, silenzio. Trent’anni di solitudine. Io e lui. Un preliminare sguardo d’intesa, carezze alla tastiera, colpetti delicati alla chiave, punzecchiature e pettinatine ai feltri; lo scomparto centrale da assestare poco a poco; terze maggiori con battimenti di velocità progressiva (Fa-La: 5 al secondo, La-Do diesis: 9, e via così), quinte calanti, quarte crescenti, “chiusure”. Una ragnatela di armonici che esce da quel cassone scuro, io che sprofondo lentamente in un ipnotico materasso sonoro; la necessità di una certa disarmonicità che incrementa la ricchezza dei colori; impercettibili tocchi, come un ladro con la combinazione della cassaforte. Lo strumento che si concede progressivamente e pian piano rivela la sua intimità nascosta, infine si arrende all’insistenza, ringrazia e saluta. Un arrivederci».
Accordatori si nasce o si diventa? «Non esistono scuole specifiche. Ci si deve arrangiare. Ci vogliono anni. L’Aiarp (Associazione Italiana Accordatori Riparatori di Pianoforti) tiene corsi estivi, ma per esperti. Negli Usa esistono perfino master universitari di Piano Technology. L’accordatura, cioè la frequenza vibratoria delle corde, è solo il 5% della “voce” di uno strumento; il resto è timbro, aura, magia, personalità: è un tatto a distanza fatto di increspature, sfumature metalliche, effetti vellutati, luce, tinte, materiali immaginari che solleticano ed eccitano il timpano, dinamica, tocco L’aural tuning (l’orecchio) crea un’anima, il tuner elettronico è perfetto in teoria ma non soddisfa mai l’ascolto».
Colleghi e clienti illustri?
«Giovanni Bettin è un mito. Ogni esecutore ha richieste personalizzate: chi desidera morbidezze, chi vuole smorzare gli acuti, chi sogna un certo effetto. E poi lavori sullo scappamento, inclinazione e forma del martelletto, corsa dei pedali e delle aste, risposta del tasto, pressione della tavola armonica, consonanze, risonanze, dissonanze, onde, curve, attacchi, estinzioni, risposte allo scatto digitale. 230 corde spingono sul telaio, ognuna di esse esercita una pressione di circa 3 chili e una trazione di 80. Equilibri precari, tensioni enormi, suscettibili di alterazioni, assestamenti, dilatazioni dovute a temperatura, umidità, usura. L’acustica della stanza. Le accordature di settembre e di ottobre sono tutte crescenti. Il piano è vivo, si muove. E’ come la nonna: odia caldo, freddo, spifferi, correnti, l’eccessiva vicinanza alla stufa, la luce diretta del sole. Aria di filatura, aria di sepoltura. Sole di vetro, il morbo è didietro…».
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