Paul von Heyse disegna nelle Novellen vom Gardasee il suo itinerario gardesano: Toscolano, dove soggiornò probabilmente attorno all’autunno 1870 al “Cavallo bianco”; Salò, dove fu dal 1897, ospite dell’Hotel Salò di Triaca e Guastalla, da lui ricordato in una novella del 1899. E poi Gardone Riviera che elesse per un decennio a residenza estiva.
Nato a Berlino il 15 marzo 1830 dal filologo Karl Wilhel Ludwig, egli stesso avviato agli studi filologici, lo scrittore frequentò, tra il 1847 e il 1849, meno che ventenne, casa Mendelssohn e venne introdotto dal poeta Emanuel Geibel nel circolo «Tunnel über del Spree», dove incontrò alcune tra le più significative personalità artistiche del secolo. Nel 1852 compì il primo viaggio in Italia con l’amico Otto Ribbeck e l’anno dopo fu per la prima volta sul lago di Garda, successivamente apprezzato grazie all’amico pittore Bernard Fries. Re Massimiliano lo chiamò a Monaco assegnandogli una pensione annua per consentirgli di dedicarsi alla produzione letteraria a tempo pieno. Sposò Margarete Kugler, fedele compagna sino alla prematura morte avvenuta nel 1862. Cinque anni dopo Heyse passò a seconde nozze con Anna Schubart. Da Monaco si allontanò solo per i viaggi in Italia e per le vacanze sul Garda.
Sulla fine del secolo decise di far costruire la propria residenza estiva a Gardone in riva al lago, affidando il progetto all’ing. Angelo Fuchs, professionista al quale si deve larga parte dell’architettura mitteleuropea gardonese, fra cui Il Grand Hotel e la suggestiva chiesa evangelica. Sorse così Villa Annina, nome dato in omaggio alla moglie (oggi Villa Itolanda, nei pressi del Casinò, precisamente fra la Darsena e Villa Fiordaliso), abitata dall’autunno 1899 fino al 1909 e nel cui giardino lo scrittore avrebbe voluto essere sepolto.
Nella casa di Gardone scrisse alcuni libri, fra cui le Novellen vom Gardasee, una raccolta di poesie gardesane e Ein Wientertagebuch (Un diario invernale). Nel 1910, dopo il conferimento del Premio Nobel per la letteratura, forse in seguito alle polemiche relative alla «italianizzazione del lago di Garda», vendette la dimora gardonese al proprio editore, signora Clara Staackmann di Lipsia, che la mise a disposizione degli scrittori a lei vicini. Heyse morì ottantaquatrenne a Monaco nel 1914, quattro anni dopo essere stato insignito appunto del Nobel che aveva consacrato la sua fama internazionale di narratore, e in particolare di autore di racconti brevi.
L’evoluzione artistica dello scrittore fu abbastanza piana e facile, al pari della vita, non priva di gravissimi dolori fra cui anche la morte dei figli. All’avvento del naturalismo, si appartò, rimanendo pur sempre stimato e addirittura venerato ancora prima che gli venisse conferito il Premio Nobel. La sua produzione, copiosissima, fu tuttavia carente di vera intensità e profondità di vita.
Nel 1902 pubblicò il volume Novellen vom Gardasee, ora tradotto per la prima volta in italiano, dopo circa un secolo, dalla bresciana Silvia Faini (tranne un racconto), pubblicato dal Gruppo editoriale Delfo per iniziativa del Rotary Club di Salò e di Desenzano del Garda.
Il fascino di questi racconti, più che nel macchinoso intreccio di vicende amorose scarsamente convincenti anche sul piano psicologico, è nella descrizione del semplice spaccato di vita gardesana sia dei residenti sia della folta colonia straniera del periodo mitteleuropeo, che tra gli ultimi decenni del secolo e la Grande Guerra, soggiornò soprattutto a Gardone Riviera e nei centri vicini.
Il racconto Uccelli canori prigionieri, il meno felice per soggetto artificioso, fu ispirato allo scrittore dalla vacanza a Toscolano. «L’amico Fries — scrive Heyse introducendo la novella con una pagina dal tono diaristico — mi aveva designato Toscolano come presidio dal quale aveva intrapreso le sue escursioni e mi aveva lodato l’unico alloggio del paesetto, il “Cavallo Bianco”, a motivo della pulizia e del prezzo modico. Trovai pienamente giustificata la lode di queste due qualità in occasione della diretta conoscenza. Toscolano invece non mi parve del tutto meritevole della preferenza accordatagli rispetto a Gargnano o Maderno, i due paesi vicini».
La seconda novella, Il peso delle circostanze è ambientata a Salò, precisamente all’Hotel Salò di Triaca e Guastalla, all’inizio di via Cure del Lino, successivamente Hotel Du Parc, recentemente trasformato in sfacciato residence. È la storia del medico dott. Hans Hartwig e della bella signora Malwin che, delusa da una scappatella del marito, direttore d’orchestra, aveva pensato di recuperare serenità e salute al di qua delle Alpi, sulle sponde del lago dell’eterna primavera. La signora era giunta a Salò «con una carrozza da Gardone, poiché là non aveva trovato posto nel grande albergo completamente occupato». Il dott. Ludwig — che si era ritirato nella cittadina gardesana, in una casetta a cento passi dall’albergo, dedicandosi soprattutto alla povera gente — la informò subito che gli albergatori erano suoi ottimi amici: il signore canuto era il padrone ed aveva sposato la nipote, più giovane di lui, cantante eccellente; socio del vecchio signor Triaca era il signor Guastalla, «un giovanottone di buona famiglia milanese». Gli accenni rivelano come l’autore abbia «preso dal vero» gli spunti di queste novelle, miscelando realtà a fantasia.
Il titolo del terzo racconto, San Vigilio, può indurre in errore: non ha per scena il suggestivo borgo veronese, ma Gardone Riviera, e precisamente il Grand Hotel, dove erano scesi il barone von Guntram con la consorte, proprietario di un castello in una piccola cittadina dello Holstein «con grande parco che si stendeva fino alla sponda del mare». A convincere la coppia a svernare a Gardone, era stato il reverendo Elias Broderersen, pastore della loro città, che ripetutamente aveva decantato la «mitezza del clima» e la «confortevole comodità del grande albergo» gardonese. Un giorno il barone, constatando «le guancia pallide e gli occhi arrossati della moglie», decise che era necessario «fare qualche cosa di più per la salute di quella donna rara», trasferendosi, «per il resto dell’inverno, sulla sponda magicamente ristoratrice del famoso lago». Il complesso intreccio, non proprio scontato, è arricchito da spunti descrittivi che disegnano anche la topografia gardonese, non ultimi il grande parco che esisteva alle spalle del Grand Hotel Gardone, «giardino dolcemente ascendente, dove si era iniziato solo da poco a piantare alberi e arbusti sempreverdi» e la «latteria» sita nel parco della Kurhaus, «dietro la quale si stendeva lungo il pendio un bell’oliveto vasto e dove si poteva ristorarsi, nel sole primaverile, seduti ai piccoli tavoli rotondi».
Una notte veneziana, narra di una impossibile vicenda d’amore, ancora ambientata al Grand Hotel Gardone, dove avevano preso alloggio la vedova mrs. Evelyn B. di New Yor e il giovane editore tedesco Frank R. Il racconto inizia con la descrizione della notte veneziana, organizzata dal Club mandolinisti di Salò che in barca avevano deciso di risalire la costa fermandosi per eseguire serenate davanti ai giardini illuminati da candele e da palloncini «pendenti dai balconi e dalle terrazze». «L’imbarcazione musicale passava lentamente lungo la riva facendo udire il lieve frullio delle corde dei mandolini, mentre altre barche, non appena il corteo si avvicinava, si univano al gruppo, cosicché la piccola flottiglia impiegò mezz’ora per coprire il tratto fino a Gardone».
In questo racconto, quasi metafisico, Heyse descrive più che in altri, il paesaggio gardonese di cui era evidentemente innamorato: «la luna piena, nel suo tranquillo splendore dorato, gettava un lieve bagliore sulla colorata folla ai suoi piedi e sulla venerabile cima innevata del Monte Baldo». Ed ancora: «Fuori c’era la luna, su in alto in cielo, e lo stretto giardino vicino al lago pareva argentato, con le sue nobili piante, le palme, le magnolie, le agavi, e il profumo delle rose».
L’autore, attraverso la vicenda dei due innamorati, racconta anche la vita che gli ospiti conducevano nella celebre Stazione climatica invernale; giornate semplici, occupate dalla pratica sportiva: tennnis, vela, gite in bicicletta «fino a Desenzano, a Brescia, a Verona»; escursioni in montagna e agli altri laghi bresciani d’Idro e d’Iseo.
Le missive dell’ultimo racconto, Lettere antiquarie, vennero spedite da Maderno dalla signorina Rosa Maria Smidt al proprio medico che le aveva consigliato, dopo la morte dell’amata sorella, di dedicarsi all’antiquariato; tornerà a casa con ben altro. La scelta di Maderno le era stata suggerita da un «compagno di viaggio» che, «non avendo trovato alloggio a Gardone», vi aveva trascorso quattro settimane in una discreta pensione. In questo racconto, come in altri, torna una delle grandi passioni di Heyse, quella per l’arte. Egli stesso fu pittore e nelle sue novelle compaiono spesso alcuni artisti. Le “lettere” rivelano la capacità colorista dell’autore, non solo attraverso la tavolozza: «Il mese di novembre qui sul Garda è superiore in qualcosa all’inizio dell’inverno nel nostro Alster: innanzitutto la grande bonaccia, e poi i molti olivi, allori e cipressi che fanno svanire l’idea che l’estate abbia definitivamente abbandonato il campo. Come ho sentito dire dai miei vicini di tavolo, gli ammalati che vengono qui si trovano molto bene in quest’aria calma e delicata anche in totale assenza di sole».
A Maderno la signorina cinquantenne scoprì un buon antiquario «proprio uno di quelli che ci si potrebbe augurare, istruito, onesto, e per di più tedesco»; e un altro trovò a Salò, cittadina «lodata da molti» che la deluse profondamente. Per rincuorarsi preferì, di ritorno da una visita al negozio salodiano, scendere dal vaporetto a Gardone e percorrere a piedi il tratto sino a Maderno: «La strada era stupenda, il tramonto che mi stava alle spalle colorava la testa innevata del Monte Baldo di un bellissimo rosa trasparente e la riva ai suoi piedi di un viola profondo». Poi a Fasano l’incontro con la piccola Cipani («una famiglia su tre a Fasano ha il cognome Cipani», annota l’autore), la sua storia di stenti, vero cuore del racconto, e le storie di animali, fra cui quelle di crudeltà inflitte ai poveri uccelli prigionieri per tutto l’inverno, accecati «per poterli poi utilizzare in primavera in uccellande, chiamate roccoli».
Ecco il Garda di Paul Heyse, uomini e paesaggi lontani un secolo.
Prima pubblicazione il: 8 Febbraio 2022 @ 19:02
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