L’INCHIESTA. Svolta nelle indagini sugli incendi al Sesto Senso e all’Lm House. Arresti per lesioni, sequestro di persona e porto illegale di arma. L’ombra del racket.
Erano convinti che l’incendio nel loro locale, il «Lele Mora House», fosse stato ordinato dal titolare del Sesto Senso, l’altro locale di spicco del Garda distrutto dalle fiamme il 22 aprile scorso. E hanno pensato bene di organizzare una spedizione punitiva, di minacciare due persone e di pestarne una terza per far confessare il nome del colpevole. Non hanno ottenuto alcuna confessione, ma solo un’ammissione estorta a suon di calci e pugni che non ha alcun valore, ma in compenso sono riusciti a finire nei guai. Erano controllati e intercettati e per loro sono scattate le manette. Nelle intercettazioni le «confessioni» e anche il vanto per come i minacciati chiedevano pietà.
CON L’ACCUSA di sequestro di persona, lesioni, detenzione e porto abusivo di arma ieri mattina sono finiti in carcere due noti imprenditori, Leo Peschiera e Piervittorio Belfanti, residente a Marmirolo in provincia di Mantova e all’epoca del rogo socio di maggioranza del «Lele Mora». Gli stessi reati sono contestati anche a Mario Stefano Sacco, 38 anni, residente a Milano, Carmelo Anastasi, 45 anni, di Pozzolengo e Salvatore Aiello, 34 anni, residente a Desenzano, tutti impegnati nella gestione del Lele Mora House, dopo la cessione delle quote di maggioranza da parte di Belfanti. Le ordinanze di custodia cautelare chieste dal sostituto procuratore Silvia Bonardi e concesse dal gip Silvia Milesi, sono state eseguite ieri mattina dagli uomini della squadra Mobile che hanno effettuato l’indagine con la collaborazione della Guardia di Finanza.Mobile e Gico hanno anche sequestrato alcune pistole che Peschiera deteneva con regolare porto d’arma. In manette è finito anche Felice Cangiano, 41enne residente a Castelgoffredo in provincia di Mantova, responsabile del parcheggio del Sesto Senso. A Cangiano è contestato il reato di concorso nel tentativo dell’incendio del «LmHouse».
PER IL TENTATIVO di incendio nella notte del 23 aprile, qualche giorno dopo era finito in manette Ciro Aricò, pizzaiolo napoletano di 38 anni: l’uomo era stato immortalato da una delle ventidue telecamere poste a sorveglianza del locale notturno. Davanti a una telecamera era passato ben quattro volte. Riconoscerlo non è stato difficile, nè per le forze dell’ordine, nè per il gruppo del «LMHouse» che l’ha rintracciato prima delle forze dell’ordine e l’ha minacciato e fatto parlare. È stato Aricò a fare il nome di Cangiano, il responsabile del parcheggio: «È stato lui a incaricarmi di appiccare l’incendio» avrebbe detto agli uomini del locale notturno rivale. A Belfanti la procura contesta anche il reato di tentata estorsione. Dopo il pestaggio e le minacce, infatti, Belfanti e company avevano anche fissato un incontro nella piazzetta di Desenzano con il titolare del Sesto Senso. Lo avevano atteso con pazienza e con tono amichevole avevano chiesto all’imprenditore ben 100 mila euro per risarcire il danno d’immagine. Ma non solo. Il gruppetto ha anche cercato di «ammansire» il titolare del Sesto Senso, spiegando che era meglio, alla riapertura del locale, lavorare insieme. L’operazione «Burning» ha fatto finire in cella i responsabili della spedizione punitiva, ma agli inquirenti resta il rammarico di non aver ancora risolto il «giallo» dell’incendio al Sesto Senso. «Le indagini per i due incendi – ha commentato il procuratore Fabio Salamone nel corso della conferenza stampa – hanno fatto emergere una realtà gravissima». Il Garda appare infestato dalla criminalità organizzata e le vittime – ha precisato il pm Bonardi – «sono omertose». Fonte bresciaoggi.
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