Il Dna riapre l’inchiesta dopo 26 anni, ma la prova regina è stata distrutta

È sempre stata un’indagine in salita. Basti pensare che le uniche condanne definitive sono arrivate 11 anni dopo quel 21 maggio 1997. Il giorno in cui nel parcheggio dell’Hotel West Garda di Padenghe venne ucciso Carlo Mortilli, commerciante di orologi, freddato al termine di una rapina, con un colpo di pistola semiautomatica calibro 9.

L’omicidio

Fabio Manolo Casoleto e Marcello Fortugno sono stati ritenuti colpevoli dopo che in primo grado erano stati assolti. Il primo ha scontato la condanna a nove anni e quattro mesi per rapina e il secondo a 16 anni per omicidio. Ora a distanza di 26 anni la Procura di Brescia ha chiuso le indagini nei confronti di un terzo uomo, incastrato da una presunta traccia di Dna. Si tratta di un 48enne nato a Messina, ma da tempo residente sul Garda e che la Procura «ha collocato stabilmente sul territorio bresciano e in particolare nella zona della Valtenesi all’epoca dei fatti» come si legge dagli atti.

Dopo un arresto in carcere dell’uomo nel 2016, il 14 gennaio 2022 la Banca dati nazionale del Dna, interrogata dai Ris di Parma che già avevano effettuato indagini tecniche nel Duemila in merito all’omicidio del West Garda, ha stabilito la concordanza tra un campione salivare del siciliano e il profilo genetico estrapolato, 22 anni prima, su una calza da donna di colore scuro utilizzata come passamontagna dai rapinatori che a Padenghe avevano assalito e ucciso il commerciante di orologi e ritrovata sulla scena del crimine.

Distrutta la prova regina

Un report che il 17 giugno 2022 ha convinto il gip a riaprire le indagini, ma il 5 agosto di un anno fa i carabinieri di Salò riferiscono al pm titolare dell’inchiesta bis Francesco Carlo Milanesi, che la prova regina non c’è più. «I reperti raccolti sul luogo del delitto il 21 maggio 1997 – un guanto in pelle e la calzamaglia da donna – sono stati fisicamente distrutti il 14 agosto 2012, così come disposto dalla Corte d’Assise d’appello di Brescia il 2 luglio dello stesso anno». Il reperto con la traccia biologica che chi indaga ritiene riconducibile al 48enne di Messina non è più a disposizione e quindi è impossibile effettuare un qualsiasi controesame o incidente probatorio.

No all’arresto

Anche per questo il gip lo scorso 3 febbraio ha rigettato la richiesta di misura cautelare in carcere presentata dalla Procura nei confronti del 48enne.

Secondo quanto risulta dal casellario giudiziale il siciliano – che nega l’accusa di omicidio – ha commesso reati tra 1994 e il 2003: falsa testimonianza, detenzione illegale di armi e munizioni, percosse, detenzione di sostanze stupefacenti, ricettazione, lesioni e furti e associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati. «L’episodio più recente risale a 20 anni fa e il ventennio successivo lo ha dedicato all’applicazione di misure cautelari e all’esecuzione delle relative condanne» scrive il gip dicendo no all’arresto. «Non si può escludere – conclude il gip – che l’espiazione della pena, pure per altri fatti rispetto a quelli contestati ora – non abbia sortito un qualche effetto deterrente come sarebbe dimostrato dalla mancata commissione di reati nell’ultimo, rilevante periodo». 

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