Il progressivo riscaldamento del globo ormai è un fenomeno noto a tutti che potrebbe in natura, avere effetti devastanti su alcune specie animali, non ultimi i pesci e chi dai pesci trae sostentamento.
Pochi gradi di innalzamento della temperatura dei mari potrebbero, ad esempio, provocare l’estinzione di molte specie di pesci presenti nel mare che circonda l’Antartide con conseguenze gravissime non solo per queste specie ittiche ma anche per i loro predatori quali, ad esempio, pinguini, balene e foche.
Tra questi pesci i più frequenti sono i nototenioidei, tra cui il Dissostichus mawsoni noto anche come Merluzzo dell’Antartico, che nel loro sangue hanno una proteina che funziona da antigelo che permette loro di sopravvivere in acque freddissime con temperature di qualche grado sotto lo zero. Dato che proprio le acque dell’antartide sembrano quelle che in proporzione si stanno maggiormente riscaldando è previdibile, certo non auspicabile, che l’estinzione potrebbe compiersi nell’arco di un paio di secoli.
L’evoluzione di questi pesci alle temperature glaciali è durata milioni di anni, il rischio di un surriscaldamento così rapido non darebbe a queste specie ittiche lo stesso tempo necessario per adeguarsi a temperature più alte trasformando le proteine “antigelo” in un elemento tossico che porterebbe questi pesci ad una rapida estinzione. Il merito di questo studio va a due scienziati italiani Tomaso Patarnello e Lorenzo Zane dell’Università di Padova in collaborazione con l’Università di Yale e pubblicato sulla rivista scientifica Pnas in uno studio dal titolo “Ancient climate change, antifreeze, and the evolutionary diversification of Antarctic fishes”
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