Interessante fare una breve digressione per parlare dei soprannomi rivolti alle caratteristiche degli abitanti dei vari paesi e non alle persone. Manifestano una identità collettiva talvolta non allegra ed anche di epiteto.
A Desenzano dai comuni vicini
“ I pelacà de Desensà”
paese di commercianti abili a “spellare” non solo i cani del motto;
“ Dès èn sà, Dès èn là e nisù a Mèsa”
è nato nel’600 dalla rabbia dell’Abate Aleandro Lana dè Terzi contestato dai parrocchiani e, per questo, non andavano a Messa. Fu loro, poi, comminata l’interdizione dal Papa Pio V° nel 1566, in seguito rimossa da un altro Papa, Gregorio XIII, con ricorsi attraverso il Doge della Serenissima che ivi governava; questo detto si è poi fissato sull’abitudine maschile di accompagnare in Chiesa le donne e poi trattenersi all’esterno in accoglienti osterie, che in Desenzano, come altrove, erano molte.
Dai Desenzanesi nei riguardi dei Lonatesi
“I riciù de Lunà”
facciamo bene attenzione: gli orecchioni di Lonato erano quelli dell’asino per il loro apparire sulla strada verso il ricco mercato di Desenzano quando l’asino prima del padrone raggiungeva la cima della collina tra i due paesi.
La voglia di lago dei Lonatesi era derisa anche da una canzone che fra le rime diceva:
“e mètèga le vele… a chèi de Lunà”
dove le vele erano le “olane” e cioè le orecchie degli asini
Mentre loro per tutta risposta insultavano i Desenzanesi con “cagaàole”; allora le Aole (alborelle) erano pesce abbondante, ma di poco conto.
Salò e la Valtenesi, Monzambano
“Moniga longa inganna pitocchi”
perché il paese avendo disposte le sue case su tutta la strada sembrava più grande di quanto lo fosse;
“Rafa rafina, poca zènt e tanta ghigna”
Raffa poca genta ma tanta faccia tosta;
“ Chèi de Salò i ghà la bòtàn dèl có”
quelli di Salò hanno la botta in testa;
vanitosi anche per essere nella capitale della Magnifica Patria ai tempi del dominio della Repubblica Serenissima di Venezia, quelli di Salò con rabbia erano così definiti;
analogia si dica per le arie saccenti di quelli di Monzambano, paese mantovano ai limiti delle tre province di Brescia, Mantova e Verona:
“a Monsambà se fà la polènta col libèr èn mà.
E tornando sul Garda:
“I sopiabròch de Soià”
oggi ville e piscine a Soiano, ma allora erano poveracci e avevano solo brocchi di legna ancora verde per il fuoco, e quindi bisognava soffiare per tenerlo acceso;
“Portés i maja àole”
sgradito ed offensivo sentirselo dire dai Portesini che si ritenevano abili pescatori e non solo delle facili ed abbondanti alborelle.
“Manèrba dè le carogne”
pesante battuta, ma dovuta al fatto che fra le forre e gli anfratti della Rocca si nascondevano sbandati e briganti (anche il celebre Zanzanù di Tignale); anche da ricordare che lì vi fu il primo insediamento dei Celti Cenomani, e quella gente non era certo di dolci maniere;
“I tusighì de Poegnac”
dove tossico non stava per avvelenatore, ma di tormentatore con il modo di dialogare e di parlare; si potrebbe tradurre oggi come “rompiballe”;
“I Sciòr de Padenghe”
il porto mercantile di Padenghe aveva reso i suoi abitanti agiati ma anche prepotenti, ed anche l’Abate Teofilo Folengo noto come Merlin Cocài che dimorava nell’Abbazia di Maguzzano nel suo latino maccheronico li aveva chiamati “Gens facinorosa”;
è quindi nata un’altra definizione che dice: “Roma caput mundi, Patinculi secundi:”
Dalla sponda bresciana alla veronese
“Torri dalle belle donne, che le fà pöra a sancc e madóne”
erano probabilmente invidiate, ma erano certamente anche molto furbe
Ma la gente del lago, in ogni modo non faceva battaglie per queste loro definizioni, forse il vivere quotidiano poteva, con queste, mettere in guardia dall’intraprendere commerci od azioni con i vicini paesi al fine di non subirne conseguenze.
Prima pubblicazione il: 18 Gennaio 2022 @ 16:44
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