Nei primi anni settanta il Club di Roma commissionò ai ricercatori del Massachusetts Institute of Tecnology una ricerca sulla crescita economica costante ed infinita. I risultati furono pubblicati nel libro “I limiti dello sviluppo” del 1972. Già in quegli anni era chiaro quanto non fosse percorribile la strada della crescita illimitata in un pianeta con risorse naturali limitate. Nel testo pubblicato si faceva particolare riferimento alla crescita esponenziale dei consumi energetici che ci attendevano ed in parallelo alla limitatezza delle fonti fossili, insufficienti per il fabbisogno mondiale già nei primi cinquant’anni del nuovo millennio.
“I limiti dello Sviluppo” fu l’apertura di uno squarcio nel pensiero unico economico nato attorno al 1880, quando furono rimossi artificiosamente i limiti fisici alla crescita illimitata, tagliando qualsiasi rapporto tra la produzione economica ed il pianeta Terra. Tutt’oggi viene esclusa dalle valutazioni sul processo economico qualsiasi implicazione sull’utilizzo delle materie prime, come se queste fossero inesauribili, senza nemmeno tener conto delle conseguenze derivanti dal processo stesso, come l’inquinamento ed i rifiuti.
E da qui il passo per giungere alla società dei consumi è breve. La nostra società è basata su di un’organizzazione che ruota attorno l’accumulazione illimitata, ciò impone una crescita costante. Non appena la crescita si ferma, o semplicemente rallenta, si è in crisi e si moltiplicano gli appelli a consumare anche l’inutile pur di consumare.
A sua volta la società dei consumi si fonda su tre pilastri: la pubblicità, il credito e l’obsolescenza.
Senza entrare eccessivamente nel dettaglio, credo sia sufficiente ricordare come la pubblicità abbia il compito di farci desiderare ciò che non possediamo e di non apprezzare ciò che abbiamo. Crea falsi bisogni, insoddisfazione e desideri frustrati, portandoci ad acquistare prodotti completamente inutili o con caratteristiche non rispondenti alle nostre reali necessità. Il credito permette l’acceso al consumo a coloro che non hanno un reddito sufficiente. Infine l’obsolescenza dei prodotti è programmata in modo da permettere un riciclo continuo del prodotto stesso escludendo di fatto la riparazione dello stesso che diviene non tecnicamente possibile o se possibile con costi superiori all’acquisto di un nuovo oggetto.
Viene quindi a crearsi un circolo vizioso che ci impone di indebitarci per acquistare prodotti di cui non abbiamo bisogno per alimentare la società dei consumi, che permette all’economia tradizionale di crescere illimitatamente, senza tener conto dei limiti del nostro Pianeta e delle conseguenze di un sistema produttivo poco attento alle tematiche ambientali.
Per spezzare questo ciclo vizioso e per cercare di invertire il senso di marcia è necessaria una vera e propria “rivoluzione culturale”
E’ nel locale che questa “rivoluzione culturale” deve vedere la luce e per locale intendo sia il nucleo primordiale di società, ovvero la famiglia, che le piccole comunità.
Compito di ognuno di noi è interrompere nelle azioni della propria vita quotidiana questo pericoloso circolo, ri – programmando la propria vita nel senso della sobrietà, del buon senso e del buon gusto. Un lavoro sicuramente non facile, ma che si rende ormai inevitabile. Un lavoro che deve passare necessariamente attraverso un altro circolo, questa volta virtuoso, conosciuto come circolo “delle 8 R”:
Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser modificati e rafforzando quelli che devono essere rafforzati.
Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso.
Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società diversa dall’attuale.
Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale.
Ridistribuire. Garantire a tutti l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose.
Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre che l’impronta ecologica personale e quella della nostra comunità.
Riutilizzare. Riparare e riutilizzare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli.
Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.
Dal prossimo numero proveremo ad analizzare nel dettaglio ognuna di queste fondamentali 8 R.
Articolo pubblicato sul nr. 4 del Corriere del Garda.
foto: barunpatro
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