Fenomeno dimenticato, il gioco illegale continua a tenere sotto scacco l’economia di uno dei settori più floridi del nostro paese, quello appunto del gioco. Nel silenzio di tutti, concentrati per lo più alle assurde crociate a metà tra puritanesimo imbastardito e proibizionismo d’antan, i circuiti del gioco illegale percorrono in lungo e in largo lo Stivale, andando a minare la credibilità di un sistema che ha fatto moltissimo per ripulire sé stesso dalle ombre. Lo Stato, tra i principali responsabili di una tutela che non esiste, persiste nel chiudere gli occhi di fronte ad una piaga socioeconomica che meriterebbe un’attenzione ben maggiore. Invece, tutte le energie sembrano convogliate nel fare degli operatori leciti il bersaglio immobile di una corsa a racimolare fino all’ultimo centesimo.
Un fenomeno dimenticato
L’aspetto più assurdo della vicenda è quello relativo alla percezione diffusa a livello di massa circa il grado di pericolosità del gioco illegale, il cui fatturato ammonta a 20 miliardi di euro, rispetto ad esempio al traffico di droga. Mentre per contrastare quest’ultimo non è più un tabù parlare di legalizzazione, quantomeno delle droghe leggere, nessuno ha mai pensato di alzare il dito per proporre la medesima soluzione in relazione al gioco. Al contrario, specie con l’avvento del nuovo governo (ma le misure, sul piano amministrativo, per altro in barba alla riserva di legge statale, non erano mancate anche sotto i governi precedenti), il gioco legale è diventato il nuovo nemico, a cui opporre qualsiasi strumento, dai distanziometri al divieto di pubblicità, fino ad un aumento vertiginoso della tassazione. In questa partita, conosciamo vincitori e vinti.
I secondi sono senz’altro gli operatori del settore e gli oltre 150.000 lavoratori, che ogni giorno vedono a rischio la loro fonte di reddito; a perdere è anche lo Stato, che senza il gioco avrebbe un gettito di qualche miliardo in meno; perde sicuramente l’economia italiana, che nel gioco aveva una delle sue punte di diamante riconosciute a livello planetario; perdono infine i consumatori, privati della loro tutela più importante, ossia la distinzione chiara tra chi bara e chi no. Chi vince? Facilmente, a trarre il maggiore giovamento è il gioco illegale, notoriamente a suo agio quando lo Stato risulta impreparato.
I dati Eurispes
Un rapporto Eurispes dello scorso gennaio certifica il rapporto tra italiani e gioco d’azzardo. Poco meno del 30% degli italiani dichiara di tentare la sorte, sia online che dal vivo (la maggioranza, circa 2 italiani su 3 che normalmente scommettono). A giocare sono un po’ tutti, giovani e fascia di età media, sparsi per tutta la penisola. Molto amati i Gratta e Vinci (l’85% vi ha giocato almeno una volta), meno i casinò e le corse dei cavalli. I motivi che spingono a scommettere sono molteplici, e vanno dal puro divertimento (21,1%), alla ricerca di denaro facile (22%9), passando anche per la tradizione di famiglia (4,7%), che non va mai tralasciata. In tutto questo amore, ecco la mano nera della malavita.
Un italiano su quattro conosce circuiti di gioco illegale, pur non necessariamente avendoli sperimentati direttamente. D’altronde, la ramificazione dell’illecito è enorme, e benché parta spesso dal sud Italia, con la mafia calabrese, siciliana e pugliese in primissima fila, ha ormai assunto caratura extra regionale. La DIA ha tracciato una mappa delle attività della malavita del gioco in nero. Le slot machine rappresentano un bersaglio facile, ma il gioco online si è ben presto connotata quale facile preda. In Emilia Romagna e nel Lazio sono state riscontrate forti attività di illecito, giunte perfino in Piemonte. Insomma, laddove il governo a trazione leghista mira ad una più estesa regionalizzazione, ci pensa la mafia del gioco a portare a compimento l’opera di Giuseppe Garibaldi.
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