Chissà cosa direbbe l’esteta dell’avanguardismo. Probabilmente farebbe qualche smorfia di disappunto, poi comincerebbe a comporre versi ironici e allo stesso tempo furiosi. Di certo sarebbe una beffa accorgersi che di fronte al Vittoriale, espressione architettonica della figura di Gabriele D’Annunzio – da lui ideata e fatta realizzare per rimanere nella Storia – siano in vendita feticci di Benito Mussolini e gadget fascisti. Ma ecco quanto vale un caffè all’ombra della residenza del Vate.
Al «Ristorante bar D’Annunzio», davanti ad uno dei più importanti monumenti italiani, basta appoggiarsi al bancone per rendersene conto. Lì, tra una bustina di zucchero di canna e una schedina del lotto, saltano all’occhio decine di volti del Duce impressi su accendini. «Ne vendiamo un sacco», confessa sorridente uno dei gestori. Sono in vendita ad 1 euro e 50 centesimi, più di quelli «defascistizzati», pure disponibili per chi vive con consapevolezza nel 2018. D’altronde il brand costa. E rende bene, dal momento che basta voltarsi per imbattersi in un angolo della vergogna, dove insieme ad una calamita di Gardone Riviera si possono acquistare tazze e bicchieri con il Duce in tutte le pose e le salse. Non solo, per i più arditi ci sono persino spille e stemmi con croci celtiche e simboli nostalgici, a comporre una vetrina che funge allo stesso tempo da punto vendita e da memoriale scintillante per turisti e visitatori. Il fenomeno.
Che il Vittoriale fosse meta di nostalgici non è una notizia dell’ultim’ora.
Così come è noto che in 15 anni Salò si sia ritrovata a contendere a Predappio il primato italiano di città nostalgica. Eppure il fenomeno continua a risultare sgradevole. Come scrive Filippo in una recensione negativa su Tripadvisor: «D’accordo che siamo sotto al Vittoriale e a due passi da Salò, ma quei gadget col Duce si potrebbero evitare».
Contattato dal Giornale di Brescia, il presidente della Fondazione Vittoriale degli Italiani, Giordano Bruno Guerri, interviene sul tema: «È un danno per tutto il Vittoriale, che ci disturba e da cui ci dissociamo. Si tratta di un’attività privata e non possiamo far nulla, ma negli ultimi anni abbiamo mandato via due venditori ambulanti di cimeli vergognosi. In dieci anni siamo finalmente riusciti a slegare la figura di D’Annunzio dal Fascismo, eppure ci sono ancora nostalgici che acquistano oggetti ripugnanti. Proprio per questo motivo ormai da anni non metto piede in quel bar». Nessun reato, s’intenda. Lo sarebbe stato se nel 2017 fosse passata al Senato la legge Fiano sulla propaganda fascista, provvedimento morto insieme alla XVII legislatura. Ma resta l’aspetto etico davanti ad un monumento che nel 2017 ha registrato oltre 260mila visitatori e che continua a crescere. E poi c’è il profilo storico. Proprio il Vate – che con Mussolini ebbe un rapporto ambiguo, fatto da una parte di onori ricevuti e dall’altra di critiche al regime fascista che pure aveva contribuito ad esaltare – sarebbe a dir poco irritato nell’ospitare gadget del Duce, perlopiù in un esercizio che porta il suo stesso nome. Oltre al danno la beffa.
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