Riporto una breve conversazione che ho avuto con un amico su Facebook sulla questione delle parole del ministro Fornero (che condivido pienamente) sul fatto che il lavoro non è un diritto giusto per fare.
Art 4: “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
Non a caso nella seconda frase si specifica cosa si intende per lavoro: un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Se il tuo “lavoro” non concorre al progresso materiale o spirituale, allora non rientra nella categoria “lavoro” inteso come nella Costituzione. Nell’articolo non sta scritto “posizione di rendita per pregresso contratto”, ma “attività che concorre al progresso economico o spirituale”.
Con questo non intendo dire che se uno perde il lavoro è perché il suo mestiere è inutile (breve parentesi per intenderci: lavoro è quello che fai, la prestazione; mestiere è quello che sei in termini professionali). Probabilmente, data la scarsità di risorse o i rischi percepiti dal datore di lavoro, l’impiego di questa persona metteva a repentaglio la sopravvivenza dell’azienda nel breve-medio periodo dati i costi relativamente alti rispetto ai benefici riportati, o per mille altri validi motivi. Se credi che sia veramente utile ma che sei incompreso dalla società mettiti in proprio come fanno altri.
Fornero ha forse usato toni molto duri. C’è chi la critica per questo e non tanto per il contenuto.
Possiamo continuare a esprimerci tutti in termini tiepidi e che stiano bene a tutti, ma in questa maniera resteremo il paese che siamo, visto che non tutti sanno leggere tra le righe del politichese o comprendono che conseguenze hanno certi slogan populistici. Sono tutti lì a riempirsi la bocca di parole che vanno bene sia a destra che a sinistra, ai ricchi e ai poveri, agli ebeti e agli arrabbiati che non fanno storcere il naso a nessuno e sono pensate appunto con questo scopo, perché un politico ha come obiettivo, a quanto pare, solo di raccogliere solamente il maggior numero possibile di voti e poco si cura del sistema nel suo insieme. Mi viene da citare De Gasperi con «un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione» e io penso che il ministro Fornero appartenga più alla seconda categoria che alla prima.
Fornero e Monti dicono le cose come stanno e di certo sentite crude per come sono suscitano antipatie, ma non per questo sono meno vere. Se il medico ti dice che se non ti curi ti resta poco da vivere non è stronzo, è sincero. Qui ci troviamo in una situazione di emergenza, e le parole dolci non aiutano. Finché continuiamo a mezze verità, ci sono persone che formano lunghi cortei semplicemente perché per un’intera vita nessuno gli ha spiegato che assunto non significa che da quel momento in poi svolgerà per grazia divina «un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.» Come si può pensare che quello che sapevi fare 30 o 40 anni fa sarebbe bastato per rimanere nella stessa posizione professionale fino ad oggi godendo della rendita garantita?
Sperare di vivere di rendite di posizione (“il lavoro adesso è mio e nessuno mi schioda per nessun motivo”) è proprio quello che io intendo leggendo l’articolo 1 della Costituzione. “Fondata sul lavoro” significa che è nella nostra prestazione che ci riconosciamo, non in quello che pretendiamo sulla base di rendite di posizione. Che tu sia figlio di nobili o il più orfano degli abbandonati, sei cittadino in quanto contribuisci all’intera società. È quello che fai che ti definisce cittadino (leggi lavoro) e non quello che sei (leggi mestiere).
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