Che la Valtenesi sia ricca di tesori, di vigneti, di seconde case, di piscine, di capannoni ed ora anche di rotonde stradali è arcinoto.
Capita però di trovare delle chicche, e queste tirano su il morale.
Ara sacrificale rinvenuta nella chiesetta dedicata a Santa Elisabetta. Interno con affreschi e Giovanni, proprietario della tenuta, nella quale è stato trovato il monastero, e appassionato archeologo e ricercatore delle vestigia del passato
Eccone una:
Soiano del Lago; una bella “seconda casa”; una villona di oltre quarant’anni fa costruita quindi al mattino delle intense urbanizzazioni, è abitata molto, e molto frequentemente da Giovanni, già alto dirigente industriale, e dalla sua Famiglia, e vi ha vissuto e vive quella dimora con rara passione.
Questa casa è stata la matrice di una profonda passione, di studi, e quindi ha lasciato addietro la solita nomea di “seconda casa” solitamente utilizzata per passare momenti, solo personali, di riposo.
Il Sig. Giovanni, è anche geometra, ha costruito la casa e alcune delle case vicine, ed oltre che atteggiarsi qualche volta a brontolone accade che abbia trovato, tra i ruderi nella sua proprietà, oltre duemila anni di storia!
Duemila anni che ha pazientemente rilevato, studiato, e soprattutto vissuto; ora li vive ancora trasmettendoli con precisione e con orgoglio.
Nella sua proprietà, cautamente celata da un canneto di bambù e da un magnifico grande fico (de chèi de la gossa), è inserito con le mura appoggiate ad un altro villone moderno un raro Monastero Benedettino dedicato a Santa Elisabetta, questo ha proprio dentro tutti i suoi oltre 2000 anni di storia. Il Giovanni, ora smette del tutto di fare il brontolone e narra, con competenza e passione le scoperte fatte in quel piccolo luogo, arrivato ad oggi come luogo di culto come è sempre stato anche antecedentemente all’era cristiana!
Meraviglia e curiosità, ma andiamo per ordine. Le epoche sono ben riconducibili ed hanno avuto conferme scientifiche da preclari docenti universitari ed anche oggetto di diversi studi, nonché di una tesi di laurea.
Sepolture longobarde, all’esterno della chiesetta, sotto gronda e rivolte ad est sono state rinvenute e vi sono tutt’ora; sono quindi rivolte verso il sorgere del sole; lo sono del resto anche le absidi delle chiese e lì sepolti i Longobardi non erano i possenti guerrieri dei quali se ne sa parecchio, bensì persone di minute stature attribuite quali ecclesiastici quindi dei fraticelli.
Del resto la cristianizzazione dei Longobardi era ben estesa e diversi furono monasteri e conventi ed è pure confermato che all’epoca (600 d.C.) vi furono diverse epidemie, con molta mortalità, si dica anche che gli ecclesiastici venivano sepolti proprio nei loro monasteri così come sono stati rinvenuti: sottogronda e rivolti a levante.
Successivamente a queste tombe, ancora visibili, oltre a frammenti di stoviglie, e qualche pezzetto di ossa sono stati rinvenuti parti di plutei o fregi che risalgono all’ottavo secolo d.C. quindi di epoca Carolingia.
Il Giovanni poi racconta con dovizia di particolari gli affreschi di questo Monastero, di questa piccolissima chiesetta, diversi dipinti a fresco e di varie epoche:
Il meglio visibile è una Sant’Agnese di piccole dimensioni databile attorno all’anno 1000 e raffigura la Santa condannata al rogo che la storia ci dice di avere subito senza essere affatto e miracolosamente lambita dalla fiamme, ma, rimanendo ignuda, fu immediatamente coperta dai suoi lunghi capelli che crebbero fino a terra: era il miracolo di Sant’Agnese che fu poi trafitta alla gola dalla spada di uno dei suoi carnefici.
Una Madonna in Tronetto romanica attribuibile al sec. XII° è un altro bell’affresco e poi un altro successivo e purtroppo abbastanza rovinato di stile Gotico.
I dipinti, pertanto sonoo tre ed in progressione di anni e di stili.
A questo punto mi viene da chiedere con timore e tanta curiosità:
-Ma Giovanni mi parli di 2000 anni di storia, però qui i conti non tornano, dal 600 ad oggi sono solo 1400, ed anche per la storia i numeri sono numeri di pura aritmetica!
Non si attendeva la domanda, ma il volto si illumina con rara soddisfazione!
Un giorno, con l’intenzione di livellare il pavimento, aveva iniziato a scavarlo lentamente con gli arnesi da archeologo, ed ecco che emersero i plutei dell’VIII° secolo, ossa e frammenti di ogni tipo, oggi regolarmente conservati, e catalogati, ma sotto e molto sotto c’era qualcosa di molto robusto ed sembrava, come poi è stato, anche molto compatto.
L’idea di esplorare aveva comunque già dato molti risultati, ma quel giorno, dopo aver tolto materiale prezioso e molta terra, era quel piccolo pezzo di pietra ad apparire; pareva un marmo, il marmo di Verona, molto usato sul Garda ed attorno, a destare la curiosità di Giovanni e di suo figlio che dal primo pomeriggio alla mezzanotte, li ha portati a vedere la preziosità visibile dopo i molti e leggeri colpi di cucchiaio, di cazzuolina e del pennello per spolverare.
Il piccolo pezzo di pietra era invece molto grande: una pietra ben livellata da abili scalpellini e proprio in marmo di Verona; aveva ed ha dei canaletti ben scavati attorno ad un rettangolo e da una croce, strana e tozza con le braccia molto corte.
Giovanni per passione e per esperienza ne sapeva già tanto, ma da lì le ricerche “ufficiali” hanno dato la certezza che fosse una vera e preziosa ara sacrificale, usata dai pagani per i sacrifici agli dei, a Giove in particolare il supremo fra gli dei.
Soiano, l’antica plebs romana “Solis Ianua”, come tutta quella zona de Garda era stata invasa ed abitata da diversi popoli: i Celti per la maggiore che celebravano i loro riti.
Il paese e la zona sono stati poi vittima di orde quali gli Unni (con Attila sconfitto dal Papa Leone I° il Grande a Valeggio sul Mincio) e più tardi dagli Avari e dagli Ungari ed è noto che, appunto, dopo il passaggio degli Unni di pietre sacrificali non se ne rinvenne nessuna, benché, e ben lo sanno gli storici, dovessero esservi, proprio in quelle zone del Garda delle are sacrificali
Si sa che i Celti (poi chiamati Galli dai Romani) pervennero sul Garda oltre 400 anni avanti Cristo, portando quindi le loro usanze e la loro religione, a Manerba con le sue caverne e nella Valtenesi per le sue colline dalle cui alture oltre a poter guardare lontano e quindi guardarsi per dominare, si scambiavano riti e messaggi con i falò, nei loro momenti celebrativi.
La pietra, anzi l’ara sacrificale, è lì ancora visibile a raccontare la sua storia e da qui la conferma che quel luogo sia stato destinato al culto in continuazione da oltre 2000 anni, culto pagano prima e cristiano poi.
Oggi è ricoperta da una spessa lastra di vetro, ben visibili i canaletti ai lati che servivano per lo scolo del sangue, che poi defluiva attraverso la frattura del lato meridionale, mentre la parte simile alla croce, era la base per il sacrifico degli animali con i grossi buchi ai lati per il deposito delle parti molli quali interiora, frattaglie e simili.
Si può ben vedere nella fotografia, e lo vedono ancora oggi scolaresche e ricercatori, storici ed appassionati.
Da quella scoperta tra Giove e Giovanni è nata una singolare sintonia attraversata, appunto, da 2000 anni di Storia.
Prima pubblicazione il: 14 Febbraio 2022 @ 19:21
Vai articolo originale: http://www.gardanotizie.it/da-giove-a-giovanni-in-valtenesi/