Tra le più antiche chiesette del nostro lago, San Zeno di Bardolino sorge all’interno di una corte privata –che prende il suo nome– sul lato destro della Gardesana per chi viene da Verona.
San Zeno, purtroppo, passa spesso inosservata, essendo in parte coperta da abitazioni e mostrandosi esternamente piuttosto semplice e sobria. A croce latina, nel complesso è molto piccola ‑ci stanno appena una ventina di seggioline‑, munita di una sola navata con volte a botte e di un tiburio e di un altare leggermente rialzati. Il pavimento è costituito da rozzi e consumati riquadri marmorei.
La data di costruzione è da fissarsi durante gli ultimi anni dell’VIII o i primi del IX secolo, dal momento che la cappella è nominata in un diploma risalente all’807
Manca un campanile vero e proprio: una piccola campana, infatti, è posta entro un sostegno in muratura, simile a quelli che si osservano sui tetti delle case coloniche.
La data di costruzione è da fissarsi durante gli ultimi anni dell’VIII o i primi del IX secolo, dal momento che la cappella è nominata in un diploma risalente all’807.
Si tratta di una chiesa carolingia che sarebbe stata donata da re Pipino all’Abbazia veronese di San Zeno Maggiore, in seguito alla traslazione delle reliquie del santo. Un’antica leggenda vuole che la pieve sia stata costruita da un maestro comacino –forse di Como, certamente della Val Padana- che, tornando da Verona, fu vittima di briganti, così si raccomandò a San Zeno e fece voto di edificare una chiesa in suo onore, una volta scampato al pericolo.
La chiesetta aveva il cappellano, designato dall’abate di San Zeno Maggiore, era dotata di terra e di una casa, sotto il cui portico si rogavano atti notarili e si ammassavano raccolti campestri.
Non solo divenne centro di svariate attività, ma si rivelò anche un edificio assai resistente: fu l’unica probabilmente fra tutte le chiese veronesi ad aver superato indenne il violento terremoto che colpì il 3 gennaio del 1117 Verona e dintorni. Di intensità pari a 6,4 della scala Richter, il terremoto non risparmiò nemmeno monasteri e monumenti, tra cui la recinzione esterna dell’Arena della quale rimane soltanto la caratteristica “ala”. Nel 1530 la chiesa aveva una rendita di 32 “bacede” d’olio e un valore di 200 ducati, poi, nei secoli seguenti, fu convertita ad usi profani; soltanto nel 1863 fu donata di nuovo al culto.
Grazie ai lavori di restauro del 1960, a cura della Sovrintendenza ai Monumenti, sono stati recuperati due edicole e i frammenti di alcuni affreschi. Nelle nicchie dei bracci laterali sono rappresentati rispettivamente una Madonna con Bambino e un San Pietro, entrambi dai colori sorprendentemente accesi e dai ben nitidi contorni; sulla parete absidale invece, si riconosce un Cristo dentro una mandorla sorretta da due angeli.
San Zeno, al tempo, doveva essere molto colorata, come dimostrano i toni ancora vivacissimi delle decorazioni pittoriche che, probabilmente, interessavano l’intera parete interna.
A ciò si aggiunge il marmo rosso di sei colonne, non incorporate al muro ma appoggiate ad esso, una delle quali presenta un capitello ionico romano originale.
Ciò che più colpisce è il duplice volto che la chiesetta offre all’osservatore: all’esterno ricorda quasi una fortezza per i tratti severi; all’interno, invece, anche se poco è rimasto, si percepisce tutta la sua antica vitalità e l’importanza di un luogo che era di sicuro prezioso per la comunità: una pieve piccola piccola, ma tanto accogliente.
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