Scorrendo facebook ieri ho scoperto una curiosità, che trovo interessante: oggi, 19 settembre 2012, è il 30° compleanno dello smiley! 🙂 Proprio lui!! Non l’emoticon, come è stato chiamata in seguito la faccina gialla, sorridente o meno – è proprio il compleanno dei due punti-trattino-parentesi. Sembrerà un dettaglio, eppure parliamo del linguaggio scritto, che si fa immagine per trasmettere immediatamente un’emozione, un significato, una chiave di lettura. Come raccontato in questo articolo, il “papà” dello smiley è Scott Fahlman, professore universitario che, appunto il 19 settembre 1982, scrisse un’email ai colleghi, formalizzando questo simbolo, che non ha inventato, ma che cominciava a vedere nelle comunicazioni online. Il professore della Carnegie Mellon University decise di introdurre la regola delle faccine, per distinguere rapidamente, tra le comunicazioni dei colleghi, quelle più scherzose e quelle più serie: 🙂 e 🙁 appunto. L’articolo passa in rassegna la storia di questo simbolo, che si è modificato nel tempo, anche in significato: la faccina con la “parentesi aperta” ( , infatti, oggi comunica tristezza e non serietà, come inteso all’inizio. Addirittura le tastiere odierne trasformano automaticamente in smiley tondi e gialli la battitura – io infatti ho dovuto trovare uno stratagemma per mantenere nel testo del blog i segni di punteggiatura originali. Se è vero che le faccine sono divertenti e comunicano tutta una serie di stati d’animo e sfumature, è altrettanto vero che tradiscono quello che è il potere originale della grafia e dei simboli: la genialità dello smiley sta proprio nell’uso di “banale” punteggiatura, che acquista un significato diverso da quello dello specifico ruolo simbolico, trasformandosi in espressione immediata di un concetto. Il linguaggio si evolve. Ma si evolve davvero? Sono molte le persone che pensano che uno smiley sia piuttosto un’impoverimento del linguaggio, un pigro e rapido simbolo, che sostituisce una ricerca attenta di parole, che potrebbero trasmettere lo stesso concetto. A mio parere, si tratta comunque di un’evoluzione, di un linguaggio adatto a situazioni nuove, come appunto la comunicazione online, che esige chiarezza e velocità, lessico e simboli particolari. In fondo è sempre successo così: con il cambiare dell’habitat, delle necessità e delle capacità, si è trasformato anche il modo di comunicare. Per un certo verso anche la scrittura ed i libri potrebbero essere visti come un impoverimento culturale, che sminuisce il ruolo della memoria e della trasmissione orale: probabilmente qualcuno, molto tempo fa, si scandalizzò, pensando che “ai suoi tempi” non ci si sarebbe mai permessi un tale svilimento culturale! Voi cosa ne pensate?
PS: grazie ad Andrea Sales, del Centro Paradoxa, per aver condiviso in facebook questo articolo, per me molto informativo e stimolante!
Vai articolo originale: http://scrivoxvizio.wordpress.com/2012/09/19/4075/