Antonio Gramsci era nato il 22 gennaio 1891 e quindi oggi sarebbe il suo compleanno.
Stamattina Marina mi ha letto questo brano che è davvero attualissimo anche se scritto nel febbraio del 1917.
INDIFFERENTI
Odio gli indifferenti.
Credo come Federico Hebbel che "vivere vuol dire essere
partigiani. Non possono esistere i solamente uomini, gli estranei alla
città. Chi vive veramente non può non essere cittadino, e
parteggiare. Indifferenza è abulia, è parassitismo, è
vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L'indifferenza
è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore,
è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più
splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la
difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri,
perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li
decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.
L'indifferenza
opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la fatalità;
e ciò su cui non si può contare; è ciò che
sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è
la materia bruta che si ribella all'intelligenza e la strozza.
Ciò
che succede, il male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un
atto eroico (di valore universale) può generare, non è tanto
dovuto all'iniziativa dei pochi che operano, quanto all'indifferenza, all'assenteismo
dei molti.
Ciò che avviene, non avviene tanto perché alcuni
vogliono che avvenga, quanto perché la massa degli uomini abdica
alla sua volontà, lascia fare, lascia aggruppare i nodi che poi
solo la spada potrà tagliare, lascia promulgare le leggi che poi
solo la rivolta farà abrogare, lascia salire al potere gli uomini
che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. La fatalità
che sembra dominare la storia non è altro appunto che apparenza
illusoria di questa indifferenza, di questo assenteismo.
Dei fatti maturano
nell'ombra, poche mani, non sorvegliate da nessun controllo, tessono la
tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne
preoccupa. I destini di un'epoca sono manipolati a seconda delle visioni
ristrette, degli scopi immediati, delle ambizioni e passioni personali
di piccoli gruppi attivi, e la massa degli uomini ignora, perché
non se ne preoccupa.
Ma i fatti che hanno maturato vengono a sfociare;
ma la tela tessuta nell'ombra arriva a compimento: e allora sembra sia
la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non
sia che un enorme fenomeno naturale, un'eruzione, un terremoto, del quale
rimangono vittima tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva
e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. E questo ultimo
si irrita, vorrebbe sottrarsi alle conseguenze, vorrebbe apparisse chiaro
che egli non ha voluto, che egli non è responsabile.
Alcuni piagnucolano
pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano:
se avessi anch'io fatto il mio dovere, se avessi cercato di far valere
la mia volontà, il mio consiglio, sarebbe successo ciò che
è successo? Ma nessuno o pochi si fanno una colpa della loro indifferenza,
del loro scetticismo, del non aver dato il loro braccio e la loro attività
a quei gruppi di cittadini che, appunto per evitare quel tal male, combattevano,
di procurare quel tal bene si proponevano.
I più
di costoro, invece, ad avvenimenti compiuti, preferiscono parlare di fallimenti
ideali, di programmi definitivamente crollati e di altre simili piacevolezze.
Ricominciano così la loro assenza da ogni responsabilità.
E non già che non vedano chiaro nelle cose, e che qualche volta
non siano capaci di prospettare bellissime soluzioni dei problemi più
urgenti, o di quelli che, pur richiedendo ampia preparazione e tempo, sono
tuttavia altrettanto urgenti.
Ma queste soluzioni rimangono bellissimamente
infeconde, ma questo contributo alla vita collettiva non è animato
da alcuna luce morale; è prodotto di curiosità intellettuale,
non di pungente senso di una responsabilità storica che vuole tutti
attivi nella vita, che non ammette agnosticismi e indifferenze di nessun
genere.
Odio gli indifferenti
anche per ciò che mi dà noia il loro piagnisteo di eterni
innocenti. Domando conto ad ognuno di essi del come ha svolto il compito
che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che
ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter
essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover
spartire con loro le mie lacrime.
Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze
virili della mia parte già pulsare l'attività della città
futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non
pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso,
alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini.
Non
c'è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi
si sacrificano, si svenano nel sacrifizio; e colui che sta alla finestra,
in agguato, voglia usufruire del poco bene che l'attività di pochi
procura e sfoghi la sua delusione vituperando il sacrificato, lo svenato
perché non è riuscito nel suo intento.
Vivo, sono
partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
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