Buon anno papà

JovicaHo appena finito di leggere il bellissimo libro di Moni Ovadia e Marco Rovelli "La meravigliosa vita di Jovica Jovic", che racconta di un musicista rom, delle sue peripezie, dei valori etici di quella comunità e ripenso a come mio padre mi portò all'interno della comunità rom a Montichiari tanti anni fa.

Ne ho un ricordo vivissimo, anche se mi mancano i dettagli e purtroppo né lui né mia madre ci sono più a colmare i vuoti.

Papà era il maresciallo dei carabinieri a Montichiari e aveva una gestione del "potere" tutta sua, lui scampato ai campi di concentramento e con una grande compassione per la gente umile ma anche un grandissimo senso etico e del dovere.

Quando si insediò una comunità rom alla periferia del paese ricordo benissimo come affrontò la cosa in modo così poco "poliziesco" ma con un approccio del tutto mediterraneo, lui che aveva già affrontato allo stesso modo i primi conflitti etnici a Sesto senza mai prenderli di petto ma capendo le ragioni profonde dei comportamenti umani e trovando sempre la soluzione per via inusuale e non conflittuale.

Ricordo quando mi portò al campo rom, lui in divisa, segno di autorità, e incontrò il capo della comunità riconoscendone l'autorità per la sua gente. Non so di cosa parlarono, forse di cose apparentemente futili ma il messaggio era chiaro: diamoci una mano a evitare problemi, so che il capo sei tu, e tu sai che io ho un compito altrettanto importante a cui non posso venire meno, se dovessero sorgere rogne, io vengo da te.

Ricordo che nelle settimane che seguirono lui spiegò a noi figli che i rom erano persone per bene, che lavoravano il rame (ho ancora in casa una brocca lavorata che ora guardo cona ancora maggiore affetto) che avevano principi solidi, una fede religiosa profona, una grande passione per la musica (proprio come racconta il libro di Moni Ovadia) e che se potevano lavorare non avrebbero rubato o creato problemi.

Ricordo benissimo quando ci fu una grande festa, un matrimonio mi pare, e ricordo che fummo invitati con tutta la famiglia e partecipammo come invitati d'onore, e ricordo mio fratello che suonava con loro, ricordo il nome del chitrarrista, figlio del capo? forse. Si chiamava Stanco. Non ricordo invece il nome del capo della comunità (lo chiederò a mio fratello, sperando che abbia memoria migliore della mia)  anche se rivedo benissimo la sua faccia e lo vedo seduto accanto a mio padre che chiacchierano amichevolmente.

Come aveva previsto non ci furono mai problemi e non ci fu mai bisogno di "mostrare i muscoli". ho un vago ricordo di un episodio ma ricordo che risolse la cosa parlando con il capo e lasciando che fosse la "giustizia rom" a occuparsene, commentando che sarebbe stata ben più severa della nostra.

Quando sono qui a Sesto, mi capita spesso di pensare a mio padre, ai suoi insegnamenti fatti di azioni oltre che di racconti. Capisco la sua morale profonda, il fatto che la scelta di campo dell'onestà fosse la sola risposta possibile alla meschinità chissà quante volte incontrata. Capisco che la sua scelta di giustizia non fosse il frutto di un'obbedienza ottusa ai regolamenti che anzi spesso, come Antigone, trasgrediva, ma l'ascolto profondo della propria coscienza unita alla volontà di indicare una strada, la sola, per sé e per il futuro dei suoi figli.

Nel libro ci sono continui accenni alla dignità, al fatto che la ricchezza vera sia nella reputazione, nel rispetto proprio e degli altri, nel termine così desueto di "onore" che distingue il galantuomo dal brigante.

Mio papà parlava del "buon nome" della famiglia, del rispetto che deriva dal valore della parola data; lo vidi piangere una volta sola quando lo umiliarono consegnandogli la croce di cavaliere in un cartoccio come fosse frittura di pesce: non era rabbia, ma dolore per l'insulto dato alla sua dignità, offesa che non poteva essere tollerata.

Viviamo in tempi dalla morale molto, a volte troppo, "elastica", veniamo dall'elogio della scaltrezza, del valore puramente economico di tutto, di chi predica contro i "ladri di regime" e poi fa il furbastro in nero, di chi mette i "mi piace" a Mandela morto ma è incapace di lottare per un ideale perchè da vent'anni ne è privo.

Se avere valori significa essere un "estraneo" in una comunità di arraffoni, allora sono un rom anch'io, se non accettare la mediocrità significa cercare nuove terre allora sono un viaggiatoreche non si stancherà di cambiare posto alla tenda.

Nel 2014 mio padre avrebbe compiuto 100 anni, ma la sua voce è ancora forte e chiara dentro di me quando mi trovo a fare scelte profonde: la sua pace interiore mi ha marcato in modo indelebile dandomi risposte che annullano i dubbi e, in fondo, non me ne dispiace affatto.

Buon anno papà.

Grazie.

 

Vai articolo originale: http://blog.gigitaly.it/2013/12/buon-anno-pap%C3%A0.html

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