Autore: Marco_Michelutto

Il genoma dei popoli sudafricani

ma dove vai, se nel database il boscimano non ce l’hai?


pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Da quando è comparsa sul pianeta la nostra specie ha passato in Africa metà del suo tempo: per questo le popolazioni originarie di questo continente presentano una variabilità genetica enorme, praticamente identica per quantità a quella di tutte le altre popolazioni mondiali messe assieme, è stato difatti un piccolo sottoinsieme degli africani a dare origine a queste ultime nei millenni. Nonostante questo sia risaputo da tempo finora la mappatura dei genomi aveva scarsamente interessato le popolazioni africane, e in particolare le più “antiche” tra loro: i boscimani, tra i quali sopravvive peraltro anche lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori, un altro elemento tipico delle origini della nostra specie. Stephan Schuster, assieme a un team internazionale di scienziati di altissimo livello, ha raccolto dati proprio sul genoma di questi popoli e li ha poi pubblicati su Nature.

In totale quattro boscimani hanno donato il proprio genoma alla scienza: !Gubi, G/aq’o, D#kgao e !Aýˆ (se non sapete come pronunciare questi nomi non preoccupatevi, le lingue in cui vengono pronunciati di solito sono tra le più antiche del mondo e contengono suoni peculiari, detti clicks, che non sono presenti in nessun altro idioma) e sono tutti membri molto anziani delle loro tribù scelti per idioma parlato, locazione geografica e aplogruppi presenti nel cromosoma Y. A questi va aggiunto Desmond Tutu, un vescovo i cui antenati rimandano i due più grandi gruppi sudafricani del ceppo Bantu: i Tswama i i Nguni. I genomi di questi cinque individui sono stati comparati con la sequenza di riferimento in cerca di polimorfismi dei singoli nucleotidi, trovando ciò che ci si aspettava, ovvero la conferma della grande variabilità genetica africana e sudafricana in particolare (attestata dall’alto numero di differenze dei singoli nucleotidi), ma anche qualche dato interessante che non si era preventivato.

In generale molte delle peculiarità del loro genoma si spiegano col loro peculiare stile di vita: quello di cacciatori raccoglitori è un “mestiere” che solo i boscimani e pochi altri popoli al mondo fanno ancora, e porta con sé alcune necessità ben riflesse negli adattamenti peculiari di queste genti. Esempi ne sono varianti che garantiscono migliori abilità nello sprint o nel riconoscere certi sapori amari nelle piante (spesso indizi importanti della loro tossicità). Tutte le differenze nucleotidiche sono state comparate anche con i nucleotidi omologhi presenti nel genoma dello scimpanzé, per valutare quanta di questa differenza si fosse originata dopo la differenziazione delle altre etnie da quelle sudafricane; a differenza di quanto ci si aspettasse, il genoma dei popoli più antichi della nostra specie non riflette i nostri antenati molto meglio del nostro, ma mostra invece come anche la loro linea abbia accumulato parecchie variazioni nei millenni.

Alcune varianti nucleotidiche trovate sono però più interessanti ancora: la variante che negli europei è associata alla sindrome di Wolman (che impedisce di accumulare adeguatamente le riserve di grasso e uccide in giovane età) è presente ad esempio in uno dei boscimani, che nonostante l’età avanzata è però decisamente in ottima salute. Proprio per questo è tanto importante estendere la copertura del progetto genoma, che ad oggi possiede dati relativi quasi esclusivamente a genomi di individui europei, al maggior numero di popoli possibile: solo conoscendo approfonditamente la variabilità interna alla nostra specie la ricerca medica potrà beneficiare della potenzialmente utilissima messe di dati proveniente da questa linea di ricerca.

Riferimenti:
Stephan C. Schuster et alii, “Complete Khoisan and Bantu genomes from southern Africa”, Nature 463, 943-947 doi:10.1038/nature08795

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://scienzology.blogspot.com/2010/03/il-genoma-dei-popoli-sudafricani.html

Il genoma dei popoli sudafricani

ma dove vai, se nel database il boscimano non ce l’hai?pezzo originalmente pubblicato su PikaiaDa quando è comparsa sul pianeta la nostra specie ha passato in Africa metà del suo tempo: per questo le popolazioni originarie di questo continente prese…

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://scienzology.blogspot.com/2010/03/il-genoma-dei-popoli-sudafricani.html

Il genoma dei popoli sudafricani

ma dove vai, se nel database il boscimano non ce l’hai?


pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Da quando è comparsa sul pianeta la nostra specie ha passato in Africa metà del suo tempo: per questo le popolazioni originarie di questo continente presentano una variabilità genetica enorme, praticamente identica per quantità a quella di tutte le altre popolazioni mondiali messe assieme, è stato difatti un piccolo sottoinsieme degli africani a dare origine a queste ultime nei millenni. Nonostante questo sia risaputo da tempo finora la mappatura dei genomi aveva scarsamente interessato le popolazioni africane, e in particolare le più “antiche” tra loro: i boscimani, tra i quali sopravvive peraltro anche lo stile di vita dei cacciatori-raccoglitori, un altro elemento tipico delle origini della nostra specie. Stephan Schuster, assieme a un team internazionale di scienziati di altissimo livello, ha raccolto dati proprio sul genoma di questi popoli e li ha poi pubblicati su Nature.

In totale quattro boscimani hanno donato il proprio genoma alla scienza: !Gubi, G/aq’o, D#kgao e !Aýˆ (se non sapete come pronunciare questi nomi non preoccupatevi, le lingue in cui vengono pronunciati di solito sono tra le più antiche del mondo e contengono suoni peculiari, detti clicks, che non sono presenti in nessun altro idioma) e sono tutti membri molto anziani delle loro tribù scelti per idioma parlato, locazione geografica e aplogruppi presenti nel cromosoma Y. A questi va aggiunto Desmond Tutu, un vescovo i cui antenati rimandano i due più grandi gruppi sudafricani del ceppo Bantu: i Tswama i i Nguni. I genomi di questi cinque individui sono stati comparati con la sequenza di riferimento in cerca di polimorfismi dei singoli nucleotidi, trovando ciò che ci si aspettava, ovvero la conferma della grande variabilità genetica africana e sudafricana in particolare (attestata dall’alto numero di differenze dei singoli nucleotidi), ma anche qualche dato interessante che non si era preventivato.

In generale molte delle peculiarità del loro genoma si spiegano col loro peculiare stile di vita: quello di cacciatori raccoglitori è un “mestiere” che solo i boscimani e pochi altri popoli al mondo fanno ancora, e porta con sé alcune necessità ben riflesse negli adattamenti peculiari di queste genti. Esempi ne sono varianti che garantiscono migliori abilità nello sprint o nel riconoscere certi sapori amari nelle piante (spesso indizi importanti della loro tossicità). Tutte le differenze nucleotidiche sono state comparate anche con i nucleotidi omologhi presenti nel genoma dello scimpanzé, per valutare quanta di questa differenza si fosse originata dopo la differenziazione delle altre etnie da quelle sudafricane; a differenza di quanto ci si aspettasse, il genoma dei popoli più antichi della nostra specie non riflette i nostri antenati molto meglio del nostro, ma mostra invece come anche la loro linea abbia accumulato parecchie variazioni nei millenni.

Alcune varianti nucleotidiche trovate sono però più interessanti ancora: la variante che negli europei è associata alla sindrome di Wolman (che impedisce di accumulare adeguatamente le riserve di grasso e uccide in giovane età) è presente ad esempio in uno dei boscimani, che nonostante l’età avanzata è però decisamente in ottima salute. Proprio per questo è tanto importante estendere la copertura del progetto genoma, che ad oggi possiede dati relativi quasi esclusivamente a genomi di individui europei, al maggior numero di popoli possibile: solo conoscendo approfonditamente la variabilità interna alla nostra specie la ricerca medica potrà beneficiare della potenzialmente utilissima messe di dati proveniente da questa linea di ricerca.

Riferimenti:
Stephan C. Schuster et alii, “Complete Khoisan and Bantu genomes from southern Africa”, Nature 463, 943-947 doi:10.1038/nature08795

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Ulteriori evidenze di cultura tra gli scimpanzé

Vecchi strumenti, nuove soluzioni

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Le informazioni su come il nostro organismo debba “costruirsi” sono contenute nel nostro genoma, ma cosa poi faccia in vita dipende anche da un altro tipo di informazioni: quelle che ci vengono tramandate in vita dagli altri membri della nostra specie ovvero, per dirlo con una parola sola, dalla cultura. Questa definizione “in senso lato” di cultura come trasmissione non genetica di informazioni potrebbe stare un po’ stretta a chi è abituato ad associare il termine alle vette più alte della produzione intellettuale umana, ma da un punto di vista strettamente naturalistico ha il pregio di essere concisa ed efficace e, cosa ancora più interessante, permette di impostare un discorso evoluzionistico: la cultura in questo senso diventa un mezzo utilissimo che gli esemplari molte specie utilizzano per scambiarsi informazioni utili alla sopravvivenza attraverso le rapide vie orizzontali dell’apprendimento e dell’imitazione, invece che aspettare il lento procedere delle mutazioni genetiche che operano le loro modifiche solo generazione dopo generazione.

Da quando questa visione “semplificata” di cultura ha preso piede tra gli studiosi del comportamento animale numerose altre specie oltre alla nostra hanno dimostrato di affidare una buona parte delle loro chances di sopravvivenza a questa impagabile capacità, e quelle che ne fanno l’uso più variegato sono quelle che somigliano di più all’uomo: le scimmie antropomorfe. Gli scimpanzé in particolare sono un interessante esempio di questa grande capacità culturale dei primati superiori, dato che le varie popolazioni africane variano molto per le tradizioni esibite, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di strumenti. Tecniche e strumenti esibiti da ognuna di esse non sono difatti ubiqui, e molte di loro ne hanno di esclusivi; esattamente quello che ci si aspetterebbe se fossero stati scoperti una volta e poi trasmessi, invece che far parte del repertorio “naturale” della specie. Nonostante l’ormai notevole messe di dati a disposizione, però, ancora non c’è consenso totale sull’opportunità di considerare “culture” i diversi insiemi di tecniche e strumenti, e i critici invocano solitamente le altre possibili cause di tali diversità: ecologiche (es. nella tal zona non si schiacciano le noci con le pietre perché non ci sono le noci) o legate alla differenziazione in tre diverse sottospecie degli scimpanzé africani. Per questi motivi il recente lavoro, pubblicato su Current Biology, di Zuberbühler e colleghi dell’università di scozzese St. Andrews, nel quale sono state comparate le popolazioni di scimpanzé residenti nelle foreste di Kibale e Budongo in Uganda è particolarmente utile per dirimere tali questioni.

Per evitare le critiche classiche di cui si è detto sopra il gruppo di ricercatori ha analizzato due popolazioni appartenenti alla stessa sottospecie (Pan troglodytes schweinfurthii) e ha fornito ad entrambe lo stesso stimolo: del miele contenuto in buchi praticati su alcuni ceppi, che richiedevano pertanto di essere approcciati con un qualche tipo di strumento. Mentre gli scimpanzé di Kibale, però, sono già abitualmente usi ad estrarre il miele dagli alveari tramite di bastoncini, quelli di Budongo non hanno mai mostrato nessuna competenza tecnologica di questo tipo, anche se fanno largo e variegato uso di spugne ottenute da foglie masticate, principalmente per recuperare l’acqua dalle cavità degli alberi.

Come ci si aspettava solamente gli scimpanzé di Kibale hanno prontamente imparato ad estrarre il miele con dei bastoncini, la tattica sicuramente più efficace che si potesse applicare, ma quello che davvero ha colpito gli studiosi è il fatto che gli scimpanzé della foresta di Budongo abbiano anch’essi cercato di estrarre il miele facendo ricorso alla strumentazione che già possedevano: preparate delle spugne come se dovessero recuperare dell’acqua hanno provato poi a utilizzarle per estrarre il miele, ottenendo peraltro qualche risultato. Oltre a provare la necessità per uno scimpanzé che una certa tecnica faccia parte del proprio bagaglio culturale per poterla utilizzare, quello che era il vero scopo dell’esperimento, il lavoro di Zuberbühler e colleghi ha quindi permesso anche di osservare quanto sia importante il proprio retaggio culturale queste antropomorfe, che vi fanno affidamento ogni volta che si presenta loro un nuovo problema da risolvere.
Riferimenti:
Thibaud Gruber, Martin N. Muller, Pontus Strimling, Richard Wrangham, Klaus Zuberbühler, “Wild Chimpanzees Rely on Cultural Knowledge to Solve an Experimental Honey Acquisition Task”, Current Biology – 17 November 2009 (Vol. 19, Issue 21, pp. 1806-1810)

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://scienzology.blogspot.com/2010/03/ulteriori-evidenze-di-cultura-tra-gli.html

Ulteriori evidenze di cultura tra gli scimpanzé

Vecchi strumenti, nuove soluzionipezzo originalmente pubblicato su PikaiaLe informazioni su come il nostro organismo debba “costruirsi” sono contenute nel nostro genoma, ma cosa poi faccia in vita dipende anche da un altro tipo di informazioni: que…

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http://scienzology.blogspot.com/2010/03/ulteriori-evidenze-di-cultura-tra-gli.html

Ulteriori evidenze di cultura tra gli scimpanzé

Vecchi strumenti, nuove soluzioni

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

Le informazioni su come il nostro organismo debba “costruirsi” sono contenute nel nostro genoma, ma cosa poi faccia in vita dipende anche da un altro tipo di informazioni: quelle che ci vengono tramandate in vita dagli altri membri della nostra specie ovvero, per dirlo con una parola sola, dalla cultura. Questa definizione “in senso lato” di cultura come trasmissione non genetica di informazioni potrebbe stare un po’ stretta a chi è abituato ad associare il termine alle vette più alte della produzione intellettuale umana, ma da un punto di vista strettamente naturalistico ha il pregio di essere concisa ed efficace e, cosa ancora più interessante, permette di impostare un discorso evoluzionistico: la cultura in questo senso diventa un mezzo utilissimo che gli esemplari molte specie utilizzano per scambiarsi informazioni utili alla sopravvivenza attraverso le rapide vie orizzontali dell’apprendimento e dell’imitazione, invece che aspettare il lento procedere delle mutazioni genetiche che operano le loro modifiche solo generazione dopo generazione.

Da quando questa visione “semplificata” di cultura ha preso piede tra gli studiosi del comportamento animale numerose altre specie oltre alla nostra hanno dimostrato di affidare una buona parte delle loro chances di sopravvivenza a questa impagabile capacità, e quelle che ne fanno l’uso più variegato sono quelle che somigliano di più all’uomo: le scimmie antropomorfe. Gli scimpanzé in particolare sono un interessante esempio di questa grande capacità culturale dei primati superiori, dato che le varie popolazioni africane variano molto per le tradizioni esibite, in particolare per quanto riguarda l’utilizzo di strumenti. Tecniche e strumenti esibiti da ognuna di esse non sono difatti ubiqui, e molte di loro ne hanno di esclusivi; esattamente quello che ci si aspetterebbe se fossero stati scoperti una volta e poi trasmessi, invece che far parte del repertorio “naturale” della specie. Nonostante l’ormai notevole messe di dati a disposizione, però, ancora non c’è consenso totale sull’opportunità di considerare “culture” i diversi insiemi di tecniche e strumenti, e i critici invocano solitamente le altre possibili cause di tali diversità: ecologiche (es. nella tal zona non si schiacciano le noci con le pietre perché non ci sono le noci) o legate alla differenziazione in tre diverse sottospecie degli scimpanzé africani. Per questi motivi il recente lavoro, pubblicato su Current Biology, di Zuberbühler e colleghi dell’università di scozzese St. Andrews, nel quale sono state comparate le popolazioni di scimpanzé residenti nelle foreste di Kibale e Budongo in Uganda è particolarmente utile per dirimere tali questioni.

Per evitare le critiche classiche di cui si è detto sopra il gruppo di ricercatori ha analizzato due popolazioni appartenenti alla stessa sottospecie (Pan troglodytes schweinfurthii) e ha fornito ad entrambe lo stesso stimolo: del miele contenuto in buchi praticati su alcuni ceppi, che richiedevano pertanto di essere approcciati con un qualche tipo di strumento. Mentre gli scimpanzé di Kibale, però, sono già abitualmente usi ad estrarre il miele dagli alveari tramite di bastoncini, quelli di Budongo non hanno mai mostrato nessuna competenza tecnologica di questo tipo, anche se fanno largo e variegato uso di spugne ottenute da foglie masticate, principalmente per recuperare l’acqua dalle cavità degli alberi.

Come ci si aspettava solamente gli scimpanzé di Kibale hanno prontamente imparato ad estrarre il miele con dei bastoncini, la tattica sicuramente più efficace che si potesse applicare, ma quello che davvero ha colpito gli studiosi è il fatto che gli scimpanzé della foresta di Budongo abbiano anch’essi cercato di estrarre il miele facendo ricorso alla strumentazione che già possedevano: preparate delle spugne come se dovessero recuperare dell’acqua hanno provato poi a utilizzarle per estrarre il miele, ottenendo peraltro qualche risultato. Oltre a provare la necessità per uno scimpanzé che una certa tecnica faccia parte del proprio bagaglio culturale per poterla utilizzare, quello che era il vero scopo dell’esperimento, il lavoro di Zuberbühler e colleghi ha quindi permesso anche di osservare quanto sia importante il proprio retaggio culturale queste antropomorfe, che vi fanno affidamento ogni volta che si presenta loro un nuovo problema da risolvere.
Riferimenti:
Thibaud Gruber, Martin N. Muller, Pontus Strimling, Richard Wrangham, Klaus Zuberbühler, “Wild Chimpanzees Rely on Cultural Knowledge to Solve an Experimental Honey Acquisition Task”, Current Biology – 17 November 2009 (Vol. 19, Issue 21, pp. 1806-1810)

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http://scienzology.blogspot.com/2010/03/ulteriori-evidenze-di-cultura-tra-gli.html

Da dove viene, e che strada percorre, il cervello


volendo ci potreste stampare un gran bel poster (da appendere sopra al letto di vostro figlio se volete farne un futuro brain geek), ad ogni modo questo fumetto è non solo una rappresentazione semplice ma efficace di come avvenga lo sviluppo del nostro cervello, ma anche il vincitore dell’edizione 2009 (e siamo alla settima) dell’International Science & Engineering Visualization Challenge, indetto da Science Magazine e dalla National Science Foundation, seguendo il link troverete anche gli altri premiati.

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://scienzology.blogspot.com/2010/02/da-dove-viene-e-che-strada-percorre-il.html

Da dove viene, e che strada percorre, il cervello

volendo ci potreste stampare un gran bel poster (da appendere sopra al letto di vostro figlio se volete farne un futuro brain geek), ad ogni modo questo fumetto è non solo una rappresentazione semplice ma efficace di come avvenga lo sviluppo del nostr…

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Da dove viene, e che strada percorre, il cervello


volendo ci potreste stampare un gran bel poster (da appendere sopra al letto di vostro figlio se volete farne un futuro brain geek), ad ogni modo questo fumetto è non solo una rappresentazione semplice ma efficace di come avvenga lo sviluppo del nostro cervello, ma anche il vincitore dell’edizione 2009 (e siamo alla settima) dell’International Science & Engineering Visualization Challenge, indetto da Science Magazine e dalla National Science Foundation, seguendo il link troverete anche gli altri premiati.

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Cose che forse vi siete persi


Da un po’ di tempo mi frulla per la testa l’idea di istituire un post periodico di segnalazioni dato che a) non ho tempo di scrivere di tutto quello che trovo in giro o succede b) c’è gente che scrive meglio di me o che comunque vale la pena leggere c) è bene che la propria lista dei bookmark sia bella folta, e i consigli di lettura sono una cosa che ho sempre considerato vitale per rinfoltirla.

Ad ogni modo, non ho ancora deciso la cadenza (forse bisettimanale?) ma voglio cominciare con una bella infornata di tutto ciò che ho trovato di adatto a questa rubrica in questi ultimi tempi (ci sono quindi anche pezzi un po’ vecchiotti)
Interessante video di Ben Goldacre, autore di un recente libro che è decisamente nella mia wishlist e di questo ottimo blog, sull’effetto Placebo. Mi sono piaciuti molto lo stile molto chiaro (a prova di fanboy dell’olismo) e la riflessione finale sull’opportunità o meno di sfruttare consapevolmente l’effetto placebo come trattamento (la risposta è ovviamente che no, non si dovrebbe).
– “You must navigate a nanobot through a 3D environment of blood vessels and connective tissue in an attempt to save an ailing patient by retraining her non-functional immune cells. Along the way, you will learn about the biological processes that enable macrophages and neutrophils – white blood cells – to detect and fight infections” ovvero ImmuneAttack, il videogioco completamente gratuito in cui “Siamo fatti così” si mescola con “Descent FreeSpace”.
– su Damninteresting.com, un sito che temo abbia questo come ultimo pezzo più di un anno fa, ecco a voi la Sfortunata storia sessuale della banana (il frutto!). Sapevate che tutte le banane che mangiate sono cloni identici ottenuti per un fortuito incrocio di due specie diverse? i dettagli (e il perché questa delizia è in serio pericolo) seguendo il link.
– Su DiscoverMagazine ecco una galleria di immagini da togliere il fiato: sono le vincitrici di un concorso indetto da questa rivista per premiare le 11 migliori fotografie astronomiche* (più altre gallerie raggiungibili dallo stesso link).
– Un blog culinario e scientifico assieme? più o meno quello che è Not So Humble Pie, dolcetti a tema nerd/scientifico
– Se non vi impressionate di fronte agli animali impagliati e avete un po’ di senso dell’umorismo ecco Crappy Taxydermy, un blog che raccoglie immagini decisamente fuori dal comune sull’argomento

e mi fermo qui, per ora

p.s. la vignetta è una delle migliori di xkcd
*grazie all’anonimo commentatore per avermi segnalato una svista delle più subdole (avevo scritto astrologiche)

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://scienzology.blogspot.com/2010/02/cose-che-forse-vi-siete-persi.html

Cose che forse vi siete persi

Da un po’ di tempo mi frulla per la testa l’idea di istituire un post periodico di segnalazioni dato che a) non ho tempo di scrivere di tutto quello che trovo in giro o succede b) c’è gente che scrive meglio di me o che comunque vale la pena leggere c…

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http://scienzology.blogspot.com/2010/02/cose-che-forse-vi-siete-persi.html

Cose che forse vi siete persi


Da un po’ di tempo mi frulla per la testa l’idea di istituire un post periodico di segnalazioni dato che a) non ho tempo di scrivere di tutto quello che trovo in giro o succede b) c’è gente che scrive meglio di me o che comunque vale la pena leggere c) è bene che la propria lista dei bookmark sia bella folta, e i consigli di lettura sono una cosa che ho sempre considerato vitale per rinfoltirla.

Ad ogni modo, non ho ancora deciso la cadenza (forse bisettimanale?) ma voglio cominciare con una bella infornata di tutto ciò che ho trovato di adatto a questa rubrica in questi ultimi tempi (ci sono quindi anche pezzi un po’ vecchiotti)
Interessante video di Ben Goldacre, autore di un recente libro che è decisamente nella mia wishlist e di questo ottimo blog, sull’effetto Placebo. Mi sono piaciuti molto lo stile molto chiaro (a prova di fanboy dell’olismo) e la riflessione finale sull’opportunità o meno di sfruttare consapevolmente l’effetto placebo come trattamento (la risposta è ovviamente che no, non si dovrebbe).
– “You must navigate a nanobot through a 3D environment of blood vessels and connective tissue in an attempt to save an ailing patient by retraining her non-functional immune cells. Along the way, you will learn about the biological processes that enable macrophages and neutrophils – white blood cells – to detect and fight infections” ovvero ImmuneAttack, il videogioco completamente gratuito in cui “Siamo fatti così” si mescola con “Descent FreeSpace”.
– su Damninteresting.com, un sito che temo abbia questo come ultimo pezzo più di un anno fa, ecco a voi la Sfortunata storia sessuale della banana (il frutto!). Sapevate che tutte le banane che mangiate sono cloni identici ottenuti per un fortuito incrocio di due specie diverse? i dettagli (e il perché questa delizia è in serio pericolo) seguendo il link.
– Su DiscoverMagazine ecco una galleria di immagini da togliere il fiato: sono le vincitrici di un concorso indetto da questa rivista per premiare le 11 migliori fotografie astronomiche* (più altre gallerie raggiungibili dallo stesso link).
– Un blog culinario e scientifico assieme? più o meno quello che è Not So Humble Pie, dolcetti a tema nerd/scientifico
– Se non vi impressionate di fronte agli animali impagliati e avete un po’ di senso dell’umorismo ecco Crappy Taxydermy, un blog che raccoglie immagini decisamente fuori dal comune sull’argomento

e mi fermo qui, per ora

p.s. la vignetta è una delle migliori di xkcd
*grazie all’anonimo commentatore per avermi segnalato una svista delle più subdole (avevo scritto astrologiche)

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Le differenze tra bonobo e scimpanzé

Bambinoni per sempre

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

L’ultimo antenato comune a scimpanzé (Pan troglodytes) e bonobo (Pan paniscus) è vissuto circa 2 milioni di anni fa e da allora queste due antropomorfe sono diventate molto diverse; in particolare, rispetto allo scimpanzé il bonobo è più gracile, il suo cranio presenta tratti pedomorfici (ovvero il mantenersi in età adulta di alcune caratteristiche infantili) e i gruppi di individui presentano una tolleranza sociale molto più marcata (favorita probabilmente anche dai frequenti rapporti sessuali non riproduttivi, un’altra caratteristica per cui queste antropomorfe sono famose). C’era da aspettarsi un legame le caratteristiche fisiche e mentali peculiari dei bonobo, e in un recente articolo pubblicato su Current Biology da Victoria Wobber, Richard Wrangham e Brian Hare vengono riportati alcuni esperimenti interessanti in proposito.

Partendo dalla constatazione che i bonobo sviluppano più lentamente rispetto agli scimpanzé caratteristiche fisiche come la crescita del cranio, gli autori dello studio hanno provato a vedere se questo accada anche nel caso anche di caratteristiche comportamentali come la tolleranza sociale e la condivisione del cibo: i bonobo sono scimpanzé a “sviluppo lento”? in un certo senso (ovviamente sono una specie a parte e non una “versione” degli scimpanzé) questo studio sembra dirci questo, o meglio ci offre indizi sul percorso evolutivo di queste due specie. Un confronto del genere tra scimpanzé e bonobo potrebbe peraltro, e questo è uno dei motivi che hanno spinto gli autori dello studio a compiere questi esperimenti, dirci qualcosa anche di come la nostra specie ha evoluto le sue peculiarità sociali.

Nel primo esperimento i ricercatori hanno valutato quanto coppie di scimpanzé o di bonobo di varie età (i due individui nella coppia erano però sempre della stessa età) erano propensi a condividere il cibo: come c’era da aspettarsi gli scimpanzé, che pure da giovani sono molto tolleranti, diventano sempre più aggressivi e “gelosi” del pasto man mano che crescono, al contrario i bonobo non sembrano cambiare nel tempo e non hanno mai problemi a mangiare assieme a un altro bonobo. Un secondo esperimento, nel quale si è valutata la capacità di inibire la risposta a uno stimolo sociale, ha poi permesso a Wrangham e colleghi di giustificare la loro interpretazione della differenza comportamentale come risultato di un diverso sviluppo. In questo secondo compito le antropomorfe dovevano chiedere cibo a degli sperimentatori, ma solo ai due che possedevano effettivamente la ricompensa dei tre che gli si presentavano davanti; le scimmie vedevano chi aveva il premio, ma per ottenerlo dovevano inibire la propensione a toccare le mani di tutti e tre gli sperimentatori. Il test, di per sé molto semplice, è stato fallito solo dai bonobo non ancora svezzati, mostrando come in questa specie compaiano solo dopo qualche anno abilità padroneggiate da scimpanzé anche molto giovani.

Tuttavia questo secondo test si è rivelato troppo semplice, così che per testare più a fondo l’ipotesi gli autori ne hanno ideato un terzo. In questo caso gli sperimentatori erano due e mentre uno di loro premiava sempre il soggetto sperimentale che gli chiedesse il cibo, l’altro non lo faceva mai. Dopo aver imparato quale dei due sperimentatori fosse quello “buono” (compito nel quale bonobo e scimpanzé non hanno mostrato differenze) i loro ruoli si invertivano e alla scimmia toccava in un certo senso “ricominciare da capo”, questa volta però con la difficoltà aggiuntiva di dover inibire la tendenza a chiedere il cibo a chi precedentemente lo elargiva senza problemi. Dopo svariati testi con numerosi soggetti un risultato è apparso chiaro ai ricercatori: i bonobo sono in generale molto meno bravi in questo compito, e in particolare all’interno della specie gli individui più giovani fanno molta più fatica di quelli adulti.

Victoria Wobber, una delle autrici, è convinta che questa sia la strada per comprendere l’evoluzione della socialità umana. Nella nostra specie, difatti, lo sviluppo sia fisico che sociale è particolarmente lento, e proprio questa caratteristica è stata più volte considerata la chiave della nostra ricca vita sociale. Nei piani futuri della ricercatrice ci sono ulteriori studi che comparino anche gli esseri umani a scimpanzé e bonobo, non resta che aspettare e vedere se le sue previsioni si riveleranno azzeccate.

Riferimenti:
Victoria Wobber, Richard Wrangham, and Brian Hare “Bonobos Exhibit Delayed Development of Social Behavior and Cognition Relative to Chimpanzees” Current Biology Volume 20, Issue 3: 226-230

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://scienzology.blogspot.com/2010/02/le-differenze-tra-bonobo-e-scimpanze.html

Le differenze tra bonobo e scimpanzé

Bambinoni per semprepezzo originalmente pubblicato su PikaiaL’ultimo antenato comune a scimpanzé (Pan troglodytes) e bonobo (Pan paniscus) è vissuto circa 2 milioni di anni fa e da allora queste due antropomorfe sono diventate molto diverse; in parti…

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Le differenze tra bonobo e scimpanzé

Bambinoni per sempre

pezzo originalmente pubblicato su Pikaia

L’ultimo antenato comune a scimpanzé (Pan troglodytes) e bonobo (Pan paniscus) è vissuto circa 2 milioni di anni fa e da allora queste due antropomorfe sono diventate molto diverse; in particolare, rispetto allo scimpanzé il bonobo è più gracile, il suo cranio presenta tratti pedomorfici (ovvero il mantenersi in età adulta di alcune caratteristiche infantili) e i gruppi di individui presentano una tolleranza sociale molto più marcata (favorita probabilmente anche dai frequenti rapporti sessuali non riproduttivi, un’altra caratteristica per cui queste antropomorfe sono famose). C’era da aspettarsi un legame le caratteristiche fisiche e mentali peculiari dei bonobo, e in un recente articolo pubblicato su Current Biology da Victoria Wobber, Richard Wrangham e Brian Hare vengono riportati alcuni esperimenti interessanti in proposito.

Partendo dalla constatazione che i bonobo sviluppano più lentamente rispetto agli scimpanzé caratteristiche fisiche come la crescita del cranio, gli autori dello studio hanno provato a vedere se questo accada anche nel caso anche di caratteristiche comportamentali come la tolleranza sociale e la condivisione del cibo: i bonobo sono scimpanzé a “sviluppo lento”? in un certo senso (ovviamente sono una specie a parte e non una “versione” degli scimpanzé) questo studio sembra dirci questo, o meglio ci offre indizi sul percorso evolutivo di queste due specie. Un confronto del genere tra scimpanzé e bonobo potrebbe peraltro, e questo è uno dei motivi che hanno spinto gli autori dello studio a compiere questi esperimenti, dirci qualcosa anche di come la nostra specie ha evoluto le sue peculiarità sociali.

Nel primo esperimento i ricercatori hanno valutato quanto coppie di scimpanzé o di bonobo di varie età (i due individui nella coppia erano però sempre della stessa età) erano propensi a condividere il cibo: come c’era da aspettarsi gli scimpanzé, che pure da giovani sono molto tolleranti, diventano sempre più aggressivi e “gelosi” del pasto man mano che crescono, al contrario i bonobo non sembrano cambiare nel tempo e non hanno mai problemi a mangiare assieme a un altro bonobo. Un secondo esperimento, nel quale si è valutata la capacità di inibire la risposta a uno stimolo sociale, ha poi permesso a Wrangham e colleghi di giustificare la loro interpretazione della differenza comportamentale come risultato di un diverso sviluppo. In questo secondo compito le antropomorfe dovevano chiedere cibo a degli sperimentatori, ma solo ai due che possedevano effettivamente la ricompensa dei tre che gli si presentavano davanti; le scimmie vedevano chi aveva il premio, ma per ottenerlo dovevano inibire la propensione a toccare le mani di tutti e tre gli sperimentatori. Il test, di per sé molto semplice, è stato fallito solo dai bonobo non ancora svezzati, mostrando come in questa specie compaiano solo dopo qualche anno abilità padroneggiate da scimpanzé anche molto giovani.

Tuttavia questo secondo test si è rivelato troppo semplice, così che per testare più a fondo l’ipotesi gli autori ne hanno ideato un terzo. In questo caso gli sperimentatori erano due e mentre uno di loro premiava sempre il soggetto sperimentale che gli chiedesse il cibo, l’altro non lo faceva mai. Dopo aver imparato quale dei due sperimentatori fosse quello “buono” (compito nel quale bonobo e scimpanzé non hanno mostrato differenze) i loro ruoli si invertivano e alla scimmia toccava in un certo senso “ricominciare da capo”, questa volta però con la difficoltà aggiuntiva di dover inibire la tendenza a chiedere il cibo a chi precedentemente lo elargiva senza problemi. Dopo svariati testi con numerosi soggetti un risultato è apparso chiaro ai ricercatori: i bonobo sono in generale molto meno bravi in questo compito, e in particolare all’interno della specie gli individui più giovani fanno molta più fatica di quelli adulti.

Victoria Wobber, una delle autrici, è convinta che questa sia la strada per comprendere l’evoluzione della socialità umana. Nella nostra specie, difatti, lo sviluppo sia fisico che sociale è particolarmente lento, e proprio questa caratteristica è stata più volte considerata la chiave della nostra ricca vita sociale. Nei piani futuri della ricercatrice ci sono ulteriori studi che comparino anche gli esseri umani a scimpanzé e bonobo, non resta che aspettare e vedere se le sue previsioni si riveleranno azzeccate.

Riferimenti:
Victoria Wobber, Richard Wrangham, and Brian Hare “Bonobos Exhibit Delayed Development of Social Behavior and Cognition Relative to Chimpanzees” Current Biology Volume 20, Issue 3: 226-230

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://scienzology.blogspot.com/2010/02/le-differenze-tra-bonobo-e-scimpanze.html