Autore: Daniel_Colm

Da 5 a 3 milioni di dipendenti pubblici

Mi piacciono le soluzioni creative. Ecco perché riporto le parole di Fabio Franceschini, titolare di  Grafica Veneta, su cui è incentrato un recente articolo di Linkiesta. Neanche il settore statale può salvarsi se non innova il suo business model, secondo me.

«Abbiamo quasi 5 milioni di dipendenti pubblici, dobbiamo ridurli di almeno 2 milioni. La soluzione ideale contempla un percorso d’esodo che prevede l’assunzione di dipendenti pubblici alle aziende private, pagati dallo Stato per i primi tre anni, e poi assunti a tempo indeterminato dagli imprenditori, con i contributi pagati ancora dallo Stato per i due anni rimanenti». «In questo modo», prosegue Franceschi, «si trasformano i dipendenti da un centro di costo a uno di ricavo». In questo modo lo Stato riduce i costi del 30%, e guadagnerà dalle maggiori entrate sull’incremento del fatturato che i nuovi dipendenti svilupperanno. Difficile dire se l’ipotesi, il cui padre sembra sia l’attuale assessore regionale all’Agricoltura, Franco Manzato (Lega) possa funzionare in tempi di crisi. Franceschi è però ottimista: «Gli ex dipendenti pubblici che ho assunto sono i migliori dell’azienda, non è colpa loro se la Pa non funziona. Come dice il proverbio, il pesce puzza dalla testa. Bisogna partire dalla politica». La campagna elettorale è già cominciata.

Il resto su Linkiesta.

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Perché sto con Renzi

Oggi alle 20.00 c’era la deadline per l’iscrizione al voto online per le primarie (possibile per chi è all’estero). Inizialmente non era mia intenzione votare per le primarie, visto che il PD, per quanto io l’abbia votato in più di un’occasione, non corrisponda alla mia “naturale inclinazione politica”. Il mio pensiero è sempre stato che sta agli appartenenti di ciascun gruppo scegliersi la propria guida, e poi gli altri, se vogliono e purché tacciano, possono unirsi, altrimenti vadano altrove. E di fatto io non mi sento di appartenere al PD. Il partito che finalmente mi pare rappresentarmi al meglio e che non voterei solo perché è “il meno peggio” ma proprio quello che vorrei è Italia Futura, se è concesso chiamarlo partito. Ci sono però ancora troppe incognite e incertezze sul candidato premier e sulle alleanze (ma questo è un altro post). Quindi intanto mi sono iscritto e sosterrò Renzi. Sulla questione se è giusto che io voti alle primarie del non-mio partito, penso che sia legittimo per il fatto che se vincesse Renzi, voterei PD al secondo turno (ceteris paribus).

Ora, perché Renzi?

Come persona e personaggio mi piace di più Bersani. Dosato e diplomatico, ma al contempo deciso e schietto. Se dovessi uscire a cena con uno dei cinque candidati, sarebbe Bersani. Il problema è la corte di gente che lo circonda e il suo allineamento con certi sindacati. Penso che a certe scelte di Monti Bersani avrebbe potuto mostrare un po’ più di appoggio rispetto al solito “non ci piace, ma siamo costretti”. Non vorrei che poi magari da premier si sentisse di nuovo costretto a fare qualcosa per qualcun altro. Sono sicuro che Bersani farebbe un buon premier, ma temo non faccia un buon riformatore. Non sono sicuro che Renzi faccia un buon premier, ma lo vedo bene come riformatore.
Renzi mi sembra più lontano dal mondo corporativo italiano, che a mio avviso è una delle zavorre peggiori del Paese in questo momento, e con meno vincoli ideologici al classico “essere di sinistra”. I suoi pregi sono descritti secondo me benissimo dal discorso di Ichino alla Leopolda 2012 che inserisco qui sotto.

 

In tanti criticano di Renzi la scarsa conoscenza dei meccanismi politici (l’essere “navigato”, per intenderci), ma anche nell’improbabile caso che dimenticasse tutto quello che ha imparato come sindaco di Firenze, dietro alle sue spalle comunque avrebbe un partitone, che ha tra le sue caratteristiche delle forti radici nel passato e nell’esperienza. Vedo in Renzi insieme al PD una buona sintesi tra passato e futuro. A me pare l’incarnazione della buona mediocritas (chiamarla “aurea” mi pare troppo) tra sfruttamento del conosciuto e ricerca del nuovo che tanto pesa in termini di importanza nei miei corsi di innovazione.

Perdonatemi se gli altri non li prendo neanche in considerazione. L’unico che forse potrebbe avere un numero significativo di voti è Vendola, che è troppo lontano dal mondo reale per sperare di poterlo gestire.

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Slide in pdf senza margini su Mac

A forza di convertire i file di testo in pdf attraverso l’opzione “Stampa in PDF”, pensavo di usare lo stesso sistema anche da Powerpoint, ma vengono aggiunti dei margini di stampa che sono sballano tutto la grafica delle slide. Il sistema per evitarlo è andando su File -> Save as… -> selezionare PDF. Ovvio, ma non c’avevo mai provato. Buono a sapersi.

Il vantaggio di salvare le slide in pdf per quando si hanno le presentazioni è particolarmente degno di nota per quando si presenta da un computer con Windows. Utilizzare un file in .ppt(x) su un Powerpoint su Windows originariamente preparato su Mac comporta spesso brutte sorprese con allineamenti sballati, font mal convertiti ecc.

I pdf possono essere poi riprodotti sia con il solito Acrobat Reader che con Anteprima in modalità presentazione. Il prezzo di una presentazione in pdf è che non funzioneranno le animazioni, ma ne sconsiglio l’uso pure su .ppt perché se non le si sanno usare a livello “very expert” rischiano solo di rendere la vostra presentazione “pattona”. Evitatele se possibile!

Articolo originale? Eccolo, copia questo link:
http://feedproxy.google.com/~r/blogspot/SCne/~3/Mm9DFGCJI5k/slide-in-pdf-senza-margini-su-mac.html

Slide in pdf senza margini su Mac

A forza di convertire i file di testo in pdf attraverso l’opzione “Stampa in PDF”, pensavo di usare lo stesso sistema anche da Powerpoint, ma vengono aggiunti dei margini di stampa che sono sballano tutto la grafica delle slide. Il sistema per evitarlo è andando su File -> Save as… -> selezionare PDF. Ovvio, ma non c’avevo mai provato. Buono a sapersi.

Il vantaggio di salvare le slide in pdf per quando si hanno le presentazioni è particolarmente degno di nota per quando si presenta da un computer con Windows. Utilizzare un file in .ppt(x) su un Powerpoint su Windows originariamente preparato su Mac comporta spesso brutte sorprese con allineamenti sballati, font mal convertiti ecc.

I pdf possono essere poi riprodotti sia con il solito Acrobat Reader che con Anteprima in modalità presentazione. Il prezzo di una presentazione in pdf è che non funzioneranno le animazioni, ma ne sconsiglio l’uso pure su .ppt perché se non le si sanno usare a livello “very expert” rischiano solo di rendere la vostra presentazione “pattona”. Evitatele se possibile!

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Evidentemente non sei capace

«Evidentemente se c’è un interesse da parte di un soggetto [l’egiziana Sawiris, ndb] per Telecom Italia vuol dire che dentro l’azienda c’è un importante valore. Fa piacere che questo interesse ci sia». Lo ha affermato Franco Bernabè, presidente di Telecom Italia, commentando l’interesse manifestato dal patron di Orascom Sawiris. – da ilSole24Ore.com

Senza entrare nel merito delle competenze di Bernabè, ma un’uscita del genere mi farebbe prudere le mani se fossi un azionista di Telecom Italia. Si potrebbe replicare che «Evidentemente se il titolo corre in borsa, significa che fino adesso quel valore, che a quanto pare c’è, è stato abilmente tenuto nascosto e non fatto fruttare in tutti questi anni. Com’è che in due anni il titolo in borsa ha perso più del 30%? Dov’è tutto questo valore? Ammesso che sia concesso a Sawiris di comprare tutte quelle azioni, la prima azione da fare sarebbe licenziare l’intera dirigenza di Telecom Italia.

Di sotto l’andamento delle azioni ordinarie negli ultimi 2 anni recuperato oggi dal sito de ilSole24Ore. Dal novembre 2007 (ritorno di Bernabè a Telecom) il titolo ha perso il 68%.

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Convegno: Canto e Musica nella Liturgia

Venerdì 23 novembre alle 20.45 si terrà un convegno a titolo “Canto e Musica nella Liturgia” presso la chiesa del Santo Crocefisso (vicino alle Poste) di Desenzano del Garda. Relatori della serata Don Luigi Girardi e il M° Federico Mantovani.

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Start-up, non-profit e for-profit

Annotazione a margine di una lezione di “Business Plan writing for Social Enterprises”.

Di fronte ai tentativi di riformulazione di alcune norme relative alle imprese sociali in Danimarca in certi casi aziende tradizionali for-profit lamentano la concorrenza delle non-profit quando queste producono beni competitivi sul mercato. Ed effettivamente la domanda si pone: perché dovrei trattare diversamente alcune aziende rispetto ad altre quando dimostrano di avere lo stesso potenziale e competono per le stesse risorse?

Spesso l’unica differenza tra una non-profit e una for-profit è proprio il fatto che l’una reinveste i profitti nell’azienda. Laddove però un’azienda non fa profitti o decide di reinvestirli, contribuendo alla fornitura di servizi al pubblico, occupando dei dipendenti, assicurando loro pensione e benefit, e così via, perché dovrebbe sottostare a regole diverse rispetto alle sue simili che sin dall’inizio dicono che faranno le stesse cose che sta facendo lei? E al contrario, un’impresa sociale che dimostra di essere finanziariamente autonoma, perché dovrebbe ottenere finanziamenti ulteriori per fare quello che farebbe in ogni caso?

Perché non possiamo considerare tutte le piccole start-up e le aziende in difficoltà come non-profit (quando effettivamente non fanno profitti), così come perché non dovremmo considerare non-profit come normali aziende quando queste competono nel mercato con quelle tradizionali?

Chi ha più bisogno di finanziamenti/esenzioni? Una cooperativa che impiega persone autistiche che produce un prodotto di punto di grande successo commerciale ormai affermata e che dimostra di essere pienamente autonoma sul piano economico o una piccola start-up in difficoltà che un domani potrebbe diventare un’impresa di successo ma che al momento naviga in acque difficili?

La mia idea al momento è che le esenzioni e i finanziamenti tengano prima di tutto conto delle dimensioni in termini di dipendenti e di fatturato delle organizzazioni, indipendentemente dal fatto che si tratti di una for- o non-profit. Poi ovvio che le non-profit possano godere di criteri leggermente adattati.

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Scienza in cucina: raffreddare il caffè

Quando ero in uno dei miei ultimi anni di liceo scientifico ricordo che veniva proposto uno di quei corsi pomeridiani principalmente frequentati per il fatto che conferivano qualche credito da spendere poi nel voto di maturità. Uno di quelli che ho frequentato più volentieri era intitolato “Matematica in …” e si articolava in quattro incontri, di cui uno mi pare che fosse la matematica in cucina. Non che la cucina c’entrasse molto, ma ricordo che diceva che una lampadina posta all’interno di un paralume con un foro circolare in cima (come la maggior parte delle abatjour) proietta sulla parete vicina una parabola perfetta.

Il post in questione non c’entra nulla con tutto ciò, ma spiega il titolo che gli ci ho voluto dare.

Ci sono azioni che ripetiamo quotidianamente, che per quanto poco tempo occupino nella nostra giornata, se ottimizzate potrebbero risparmiarci qualche secondo. La poesia del rito che si perderebbe nella ricerca dell’efficienza potrebbe essere ritrovata nel fascino della scienza all’opera nella più banale quotidianità. Così è come me la giustifico io perlomeno. Una di queste è prepararsi il caffè o il tè la mattina. Come possiamo farlo raffreddare più velocemente?

Ecco come faccio io.

Lo zucchero ce lo metto per primo. Dato che per sciogliere lo zucchero serve energia, se lo metto quando la temperatura della bevanda è ancora alta, mi aspetto che il suo scioglimento avvenga più velocemente. Solo dopo aver girato il cucchiaino un paio di volte aggiungo il latte (nel caffè, non nel tè, per carità!), che ovviamente abbassa la temperatura della bevanda essendo più freddo del caffè. Se metteste il latte prima, lo zucchero si scioglierebbe più lentamente. Io addirittura metto prima lo zucchero e dopo il caffè, perché nel versarsi il liquido forma delle perturbazioni interne che distribuiscono lo zucchero, aumentandone la superficie di contatto con il caffè, riducendo così ulteriormente i tempi di assorbimento dell’energia. Poi è importate lasciare il cucchiaino dentro, perché il manico che ne emerge diffonde il calore assorbito dalla base immersa. Di per sé quindi, il cucchiaino aumenta la superficie di irradiazione del calore della bevanda. Infine, ma in realtà va fatto all’inizio, è meglio scegliere una tazza che abbia il diametro il più diverso possibile dall’altezza della tazza, sempre per avere la maggiore superficie di dispersione possibile.

Ci sarebbero poi altre variabili che si potrebbero considerare, ma mi pare che per iniziare questo possa bastare. In fondo il caffè ancora non lo abbiamo preso durante la preparazione, e per molti potrebbe già essere complesso ricordarsi di spegnere il fornello una volta che il caffè è salito. Se però ci fossero suggerimenti dal pubblico…

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L’estinzione dell’italiano

«Islandese, lituano e lettone sono già sparite da smartphone e pc. E anche l’italiano se la passa male. Secondo gli esperti, senza investimenti, alla lunga non saranno più parlate neanche nella vita reale.»

E ancora:

«L’allarme, nella giornata europea delle lingue lo scorso 26 settembre, è stato lanciato da uno studio di MetaNet, un gruppo di 200 tra linguisti e ricercatori di 34 Paesi, finanziato dall’Ue e capace di mettere in luce come in alcune nazioni, tra cui la nostra, le tecnologie della lingua sono insufficienti a salvare un intero patrimonio culturale dall’oblio.»

Non avendo alla mano i dettagli dello studio, né essendo un esperto linguista, non posso direttamente confutare la notizia sul piano delle scienze applicate nella ricerca, ma posso provare a esprimere un parere semi-competente da altre prospettive, l’una dall’esperienza quotidiana, l’altra dalle materie di studio.

L’esperienza di vita vissuta va a pescare nei quattro anni passati in Alto Adige, terra con tre lingue ufficiali (tedesco, italiano e ladino) e lanciata verso un futuro europeo (inglese), e dal semestre in corso a Copenhagen dove accanto al danese, l’inglese è parlato a livelli molto alti, soprattutto se comparati con altri paesi non-anglofoni.
Da esterno sembra incomprensibile ad esempio che in Alto Adige il tedesco parlato abbia una fortissima connotazione locale, tale da renderlo nelle forme colloquiali incomprensibile ai tedeschi proveniente dalla zona settentrionale della Germania. Sul momento verrebbe da pensare che il dialetto locale sia condannato all’estinzione nel corso di un paio di generazioni. Per non parlare del ladino. Entrambi gli idiomi non sono contemplati né nel T9 dei cellulari più vecchiotti, né nei correttori automatici degli smartphone. Eppure non ho visto un altoatesino fare una piega nel comunicare in maniera scritta secondo i canoni linguistici tradizionali: T9 disattivato di default e correttore automatico maledetto.
Se neppure gli altoatesini decidono di adottare il tedesco classico (quando quasi tutti i rapporti con l’estero partono dalla Germania e dall’Austria), perché mai dovrebbero passare all’inglese nella loro quotidianità?

Cosa succede in Danimarca? Dacché sono a Copenhagen (fine agosto) ho incontrato solo una persona che non parlava inglese. Una volta ad esempio abbiamo chiesto indicazioni a una signora sulla settantina che senza problemi ci ha indicato la strada. In inglese. Settant’anni. Provate in Italia.
Se in termini linguistici (per motivi culturali, economici e geografici) qui sono almeno due o tre generazioni che l’inglese è compreso e utilizzato, quanti anni pensate che potrebbero volerci prima che in Italia scompaia l’italiano?

Da un piano prettamente economico strategico invece, per quanto la lingua ufficiale aziendale è probabile che diventi l’inglese nel giro di poche generazioni, nella domestica quotidianità i tempi saranno certamente molto più lunghi, se mai giungeranno a tal punto. Le aziende continueranno a comunicare con i propri consumatori nella loro lingua madre, foss’anche solo per trasmettere un senso di intimità e tradizionalità al loro prodotto. Vi immaginate la Barilla promuovere gli spaghetti in inglese? Farebbe a pugni con il motto “Dove c’è Barilla c’è casa”. Accanto alla continua corsa alla globalizzazione (su un piano produttivo) c’è un crescente desidero nelle aziende (per esigenze di mercato) di rendere più locale la comunicazione e la distribuzione.

Altri input vengono dall’ambito culturale. Nei training interculturali e negli incontri che trattano del tema da me finora frequentati si è sempre detto che nonostante la globalizzazione, le diverse culture nel mondo non si stanno avvicinando. Basta stare all’estero per qualche mese per notare quanta differenza c’è tra un gente di paesi diversi e gli italiani sanno benissimo quali enormi barriere culturali ancora vigono all’interno del nostro stesso paese prendendo a confronto regioni che non distano più di qualche centinaio di chilometri.

Insomma, forse l’articolo di Repubblica cui faccio riferimento ha appositamente tralasciato di specificare l’orizzonte temporale della ricerca dei linguisti per non azzerare l’importanza della notizia.

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Uniti o dispersi

Non faccio segreto della mia simpatia per Italia Futura e per il loro progetto riformatore. Anzi, nello spirito di questo post dovrei dire «per il nostro progetto riformatore». Sì, perché unirsi per un progetto comune significa non distinguere più tra ciò che è mio e ciò che è tuo. Se aderisco al progetto, mi batto per la sua realizzazione così come l’ho accettata. Ci sono i momenti per discutere degli obiettivi, ma una volta decisa la strategia comune si rema tutti insieme nonostante tutti i “ma io avevo detto sin da subito che ero un po’ diverso”.

Ora, leggo oggi della dichiarata uniformità d’intenti tra Italia Futura e Fermiamo il Declino. Discutiamo per diventare un unico corpo o rimaniamo due cose diverse? Perché in tal caso si è avversari e penso che di competitori così simili nel tentativo di realizzare un progetto nuovo come il progetto di riforma liberale del Paese non ne abbia proprio bisogno oggi.

Lo dice Italia Futura stessa nella lettera linkata sopra al secondo paragrafo:

«L’urgenza in cui si trova l’Italia impedisce tuttavia di anteporre ambizioni personali e mal riposti sentimenti di superiorità all’interesse vitale di alimentare l’urgenza di riforme modernizzatrici con massicce dosi di nuovo consenso democratico, nuove idee e nuove risorse civili. Oggi saper includere ed aggregare al fine di dare al paese una nuova classe dirigente riformatrice è molto più importante di prima

Dei deleteri effetti di correnti interne e di mal riuscite unificazioni di correnti di pensiero simili ma diverse ne abbiamo visto gli effetti negli ultimi anni politici sia a destra che a sinistra con coalizioni, partiti nati da aggregati e alleanze più o meno a breve termine.

Avviare un progetto politico è come la cura antibiotica: una volta che l’hai iniziata finisci il ciclo, o sarà stato tutto inutile, se non controproducente. Se Italia Futura vede in altri gruppi organizzati finalità comuni, non dichiari semplicemente l’affinità d’intenti ma produca una proposta politica che possa creare una sinergia efficace per i prossimi 5 anni in cui non esistono correnti interne e ex-questo-o-quell’altro, ma che siano tutti uniti da un’unica visione, da un unico manifesto e progetto politico.
E perché questo si realizzi non basta stabilire che siamo tutti d’accordo sulla riduzione del debito, ma serve anche chiarire con quali mezzi si intende raggiungere l’obiettivo. Se gli unici vedono come unica via l’aumento del carico fiscale e gli altri avevo altro in mente, alla prima delibera i nodi verranno al pettine.

Pettiniamoci prima!

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Il dopo-2013

Dall’articolo di ItaliaFutura di oggi:

L’essere “moderati” o “in mezzo” non costituisce, di per sé, né una visione né, soprattutto, un programma politico concreto per far uscire l’Italia dalle secche in cui da troppo tempo si trova. Nemmeno si può semplicemente invocare una prosecuzione ad oltranza del “montismo” come ragion d’essere di un’iniziativa che deve necessariamente guardare agli orizzonti lunghi di una Terza Repubblica tutta da costruire, oltre ad avere la capacità di persuadere milioni di elettori delusi dalla Seconda Repubblica e dai suoi protagonisti.

Qui il testo per intero.

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La corretta informazione

Sarà che sto aiutando mio fratello a studiare fisica con definizioni e spiegazioni e che quindi sono entrato nel trip che una definizione o la dai giusta o fai meglio a tacere, ma l’articolo su Corriere.it Social (quello su Facebook) che descrive la velocità di punta raggiungibile con un nuovo aereo sviluppato dalla Difesa statunitense, l’X-51, riporta alcune imprecisioni che un lettore poco attento e poco preparato traviserà. Già mi vedo quelli che poi girano dicendo che si può volare da New York a Londra in un’ora (lo dice il Corriere…), cosa ancora impossibile.

L’articolo dice infatti: «Oggi è il giorno del futuro per la Difesa americana: verrà testato l’aereo ipersonico X-51 Waverider, un velivolo con un motore “scramjet” che potrà raggiungere i 7.242 chilometri orari. Per intenderci, Londra New York in un’ora.
E poi ancora: «Il velivolo, di sei metri, sarà rilasciato da un bombardiere B-52 al largo delle coste della California e dovrà essere in grado di volare per circa 300 secondi alla velocità fantascientifica di mach 6, ovvero oltre 7.000 km/h, quanto basta per raggiungere Londra da New York in meno di un’ora. Se l’esperimento riuscirà, mandare aerei o missili dall’altra parte del pianeta sarà solo una questione di minuti invece che di ore.»

So di essere pignolo però insomma, bisogna anche spiegare le cose come stanno, soprattutto se sei il Corriere, anche se scrivi su Facebook. Per coprire la distanza New York-Londra effettivamente in un’ora, bisogna mantenere la velocità di 7.000km/h per tutta l’ora. Non bastano 300 secondi (pari 5 minuti). E se anche il velivolo che la facesse a mantenere la velocità per un’ora, significa che i tempi di accelerazione e decelerazione non sono stati calcolati o che sono stati raggiunti in un tempo prossimo allo zero, che significherebbe che sul contenuto e sull’aeromobile stesso si sarebbe sviluppata una forza all’indietro che ne staccherebbe probabilmente i pezzi, laddove non si deformassero comprimendosi (non voglio mettermi a calcolare quanti Newton sarebbero, ma dubito che un passeggero ne uscirebbe con la cassa toracica intatta). Ancor meno ci trasporterei delle bombe: tanto vale passarci sopra con un carro armato.

Per dare la notizia in maniera corretta e onesta si dovrebbe dire che il velivolo è in grado di superare la velocità di 7.000km/h e che permetterebbe, a condizione che venga mantenuta per tutto il tragitto e senza tener conto dei tempi di accelerazione e decelerazione, di raggiungere Londra partendo da New York in un’ora.

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Jazz live in piazza Duomo per tutto agosto a Desenzano

Stasera, oltre che offrirsi di nuovo l’occasione di fare un giro alla gelateria Romana di cui parlavo in un post di poco fa, farò un salto a sentire Enrico al Sax insieme alla Blue Note band in piazza duomo. Nella pizzetta c’è musica ogni lunedì e mercoledì sera di agosto come indicato nelle date riportate nella locandina qua sotto.

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I pericoli delle lampade a risparmio energetico

Qualche giorno fa un mio amico aveva condiviso un link ad un servizio del ZDF (canale tedesco) riguardo alla nocività delle lampadine a basso consumo. Siccome non capisco come lo si embedda, pubblico qui il link al servizio per chi masticasse un po’ di tedesco.

Non sapevo della presenza del mercurio nelle lampadine né dei danni associati anche per il semplice uso (non solo quando si rompono), ma a quanto pare è cosa già nota.
Non sono una persona che si allarma di fronte a queste notizie, anche perché se le paragoniamo alle mille altre fonti di danni per ambiente e salute probabilmente le lampadine fanno danni in un ordine di grandezza trascurabile, ma comunque mi sembrava interessante e degno di nota come fenomeno.

Fortuna che durano a lungo, così almeno il casino legato al corretto smaltimento è ridotto a poche occasioni!

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