Autore: Daniel_Colm

Tanto noi cresciamo lo stesso

Kuno Prey diceva che nell’uni in cui ha insegnato a Weimar c’era uno spazio comune in cui gli studenti si ritrovavano e dove avevano sede tutte le organizzazione studentesche dell’uni. La loro era una scrivania unica e condivisa: la più lunga della Germania. Gli studenti hanno avuto modo di strutturare, partecipare e sporcarsi le mani in questa uni per crescere non solo sul piano accademico ma anche umano. Collaboravano, erano propositivi, di lanciavano in nuove imprese. Avevano pure creato un baretto in un minivan della Volkswagen in cui si faceva il caffè buono (vi sfido a trovare in Germania un posto in cui si sappia fare del caffè decente).

A Bolzano, invece, nonostante si dica che per gli studenti si fa spesso fin troppo, questo non c’è. In tutta Italia non c’è la possibilità di crescere umanamente per colpa del tre più due. (Ora manco più in Germania dunque, né in tutta Europa)

Ma a noi giovani è chiesta la crescita umana? Non è che le imprese, più sei lobotomizzato e più ti apprezzano? Pensate a cosa tutti quei laureati, sfruttati come muli a contratti da sei mesi ciascuno, sottopagati e presi in giro, potrebbero fare se fossero uomini veri con le palle. Ce lo lascerebbero fare? Non è mica più comodo per tutti continuare a mantenere bambina questa nuova generazione, così da evitare che sbattano in faccia alla vecchia tutti i suoi errori? Tenerli sempre alle prime armi. Che quando in terza media potevi fare gite da tre giorni (perché eri tra i grandi della scuola), poi in prima superiore tornavi bambino con uscite di massimo una giornata. Che dopo la maturità torni matricola e poi di nuovo, con una laurea triennale, devi di nuovo ripartire in una nuova città come l’ultimo arrivato. E poi ancora, sei solo uno stagista. E poi sei stagista da un’altra parte.

Ma in realtà noi continuiamo a crescere umanamente. Di un’umanità diversa da quella della generazione passata. Che crede di averci tarpato le ali. Noi non ci lamenteremo, ma appena ne abbiamo la possibilità ce ne andiamo all’estero. Neanche ha idea questa vecchia e appassita generazione della direzione in cui (spero) stiamo crescendo. Noi comunichiamo su canali che non conoscono. Ci spostiamo a una velocità che non conoscono. Conosciamo così tante persone che manco si immaginano.

Non voglio neanche lamentarmi del tre più due come ha fatto Prey. Significa che sono quasi forzato a cambiare paese e di studiare in una città nuova. Ho la possibilità di affrontare due lauree, facendo due tesi, approfondendo ben due temi diversi. Posso cambiare indirizzo con una specializzazione ponderata con maggior cognizione di causa. Il tre più due, sotto certi aspetti, ci permette di crescere ulteriormente in quella direzione che ci permetterà di dimostrarci meglio degli adulti di oggi.

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Impegno e giovani

Perché gli studenti non partecipano più alla vita istituzionale? Non votano ne alle elezioni nazionali ne a quelle studentesche. Non vedono più il fascino nei ruoli dei rappresentanti, ma più dei compiti per gente che non capisce ancora in che posto vive. Perché tanta disaffezione nei confronti dell’unico strumento che ci è dato per partecipare e contribuire al miglioramento del nostro ambiente?

Parlo da giovane che più volte ha fatto il rappresentante di classe dalle elementari alle superiori. Caporedattore dell’unico giornalino universitario dell’uni e coinvolto in molte associazioni più o meno utili.

Io stesso se riesco me ne sbatto. Io stesso devo fare un enorme sforzo per fingere a me stesso che di tutti questi problemi me ne sbatte qualcosa (perdonate il francesismo). Il fatto è che a molti non è che non interessi in assoluto di quello che succede nel mondo per pura pigrizia (anche se una buona dose di pigrizia c’è) e pura ignoranza socio-politica (anch’essa in buona parte responsabilità nostra, perché gli strumenti di comunicazione ci sarebbero). Non è un malanno che colpisce solo gli studenti (stasera alla tavola rotonda sono stati additati gli studenti universitari). È un problema della nostra società in toto, al quale sono particolarmente esposte le nuove generazioni perché non conoscono alternative.

Noi, noi giovani, siamo cresciuti in un mondo dettato dalla libera concorrenza. Un sistema liberale. “Libero” è il termine chiave. Sono libero di concorrere (come fornitore di servizi/prodotti) ma al contempo sono anche libero di scegliere quale servizi/prodotto scegliere. E qui sta il punto. Abbiamo università private e pubbliche. Io addirittura sono finito in una che si dice “Libera Università di Bolzano” che non è ne privata ne pubblica (parrebbe).
Ci sono dei grandi problemi strutturali nella mia università? Beh, ne scelgo un’altra. O “meglio” (leggi “peggio”) ancora, stringo i denti per uno o due anni (ora che mi accorgo degli inghippi in genere almeno un anno è passato, che se fossero stati manifesti, manco la sceglievo quell’uni) che poi mi laureo e passo a una specialistica altrove. Magari nei tre anni del bachelor mi sono pure fatto un semestre all’estero. E chi li sente i problemi in questo contesto?

Due sono i fattori dunque (che non ci siamo scelti noi giovani ventenni) che influiscono su questa nostra indifferenza:

  1. l’abitudine a poter scegliere (filosofia usa-e-getta della roba rotta, in contrasto ad un approccio di “riparazione”) e
  2. la brevità della sofferenza (s-fortunatamente troppo corta per accorgerci dei guai o abbastanza corta per sopportarli).

Siamo dunque veramente una razza inferiore ai nostri nonni che sì, forse stavano peggio, ma a loro detta erano anche mille volte più fighi?

Al contrario. Mi permetto di dire che noi (giovani europei) non siamo solo molto meglio dei nostri nonni, ma anche dei nostri genitori. Siamo una generazione di gente che prende l’aereo e si vede il mondo. Che si impegna a parlare almeno due lingue. Che deve affrontare precarietà professionale, concorrenze dall’estero, uno stato assente e corrotto, un ambiente minacciato da inquinamento e surriscaldamento, precarietà famigliare con genitori separati e con prospettive personali non tanto più rosee, stando alle statistiche. Una generazione maledetta da un fardello pensionistico da far tremare le ginocchia. Eppure non ci siamo fatti (ancora) prendere dal panico. La paura c’è e stiamo imparando da soli come affrontarla, perché i nostri problemi la generazione che ci sputa in testa neanche se li immagina.

Sì, non ci impegniamo più in politica, ma il fatto che non siamo dove voi eravate 50 anni fa non significa che ce ne stiamo a casa a metterci lo smalto sulle unghie. Che poi il mondo che ci circonda non ce lo siamo fatti noi. Viviamo nella vostra eredità!

[La foto l’ho scattata a Yellowstone. Ritrae una generazione nuova di alberi che cresce in mezzo a un bosco distrutto dall’incendio.]

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Partiti nelle università? No, grazie

No. Non serve la politica nelle università. O meglio, non servono i partiti. Già ho dei forti dubbi sull’utilità assoluta al giorno d’oggi dei partiti come li si intendevano 50 anni fa e come qualche nostalgico anacronista vuole intenderli ancora oggi. Per semplificare possiamo ancora parlare di partiti di destra, di sinistra e di centro, ma le distanze dal centro si accorciano sempre di più. O almeno così vorrebbe il buon senso. Questa dimensione orizzontale perde di giorno in giorno il suo valore. Ed è un bene. Perché non possiamo sperare di affrontare i problemi di oggi con gli strumenti di ieri.

Riconosco però che a livello nazionale il buon senso non basta. Non posso sperare che 60 milioni di italiani, imbevuti di televisione fino al collo, con giornali che parlano di questioni superflue e di battibecchi futili e superficiali e che dimenticano insieme ai nostri politici la programmazione a lungo termine prendano criticamente in analisi programmi elettorali. Gente che nei casi di virtuosismo nel mantenersi aggiornata di quello che succede nel mondo impara a memoria annali di formazioni di squadre calcistiche.

La politica basata sui partiti permette di legittimare la scelta di pochi informati e coinvolti con i voti dei molti, che spesso neanche sanno cosa fanno.

Ora, però, non parliamo più di una nazione, ma di un’università. Un ambiente con poche migliaia di studenti. Servono i partiti?
Senz’altro servono persone che hanno a cuore il miglioramento dell’ambiente in cui stanno. Che rappresentino gli studenti, che li abbiano eletti o meno, nelle questioni più importanti. Che comunichino in due direzioni: dalla gente alle istituzioni, dalle istituzioni alla gente. E perché mi soffermo sulle università? Perché i rappresentanti, studenti come tutti, nel giro di qualche anno, appassionati o meno al loro ruolo semi-politico, se ne vanno. Se sono nella posizione di rappresentante non lo fanno certo per il potere, i benefit e per tenersi una poltrona comoda e calda. Lo fanno perché è nella loro indole impegnarsi a nome di tutti.

Non servono partiti per fare ciò. Non servono ideologie archeologiche per i problemi di un’università. Serve buon senso e pragmaticità. L’idealismo serve solo perché quella dozzina di studenti candidati decidano di perdere del tempo non solo per il bene proprio, ma di tutta la categoria che rappresentano.

Io sono contento che a Bolzano i rappresentanti studenteschi siano apolitici. Lo vedo come un passo verso l’apertura mentale.

E nelle università dove i colori politici svettano con orgoglio dalle mani di studenti incravattati e ammuffiti? Beh, mi spiace per loro. Mi spiace per quegli studenti che sono manipolati da una classe politica che proprio in questi tempi nel nostro Paese sta facendo una figura sempre più meschina su tutti gli schieramenti e su ogni fronte.

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Wie sexy muss Studentenvertretung sein?

Si è appena conclusa un’interessante tavola rotonda al Social Club dell’uni alla quale hanno partecipato la direttrice generale dell’uni Johanna Vaja, il rappresentante degli studenti nel senato accademico Andreas Hauptenbuchner, il preside della Facoltà di Design e Arti Kuno Prey, Christoph Franceschini dell’ASUS SH* e Martha Stocker ex-presidente dell’ASUS SH di Innsbruck sotto al titolo di [tradotto] “Quanto dev’essere sexy la rappresentanza degli studenti?”.

I temi toccati sono stati tanti e da parlare e discutere ce ne sarebbe molto. Dividerò le mie riflessioni in più post.

*ASUS SH: Associazione Studenti Universitari Sudtirolesi = Südtiroler Hochschülerschaft

Politica: Servono i partiti nelle università? La mia opinione in questo post.
Giovani: il loro (mancato) impegno nella vita sociale. La mia opinione in questo post.
Giovani: crescono umanamente oggi? La mia opinione in questo post.
Social Club: non è un po’ poco social? Breve post a riguardo.

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Conferenza stampa "Desenzano da scoprire"

Mercoledì si terrà la conferenza stampa per la presentazione del nostro lavoro estivo con ogni anno organizziamo a Desenzano e da quest’anno in maniera più sistematica anche a Sirmione per offrire ai turisti accoglienza e indicazioni storico-artistiche della città. La presentazione del programma avverrà alle 17.30 presso l’Azienda Agricola Provenza (in zona San Martino della Battaglia) che gentilmente ci ospita per l’occasione nel suo bellissimo show room. Di seguito trovate il volantino preparato per l’occasione. Più sotto invece il volantino dell’attività estiva in sé che abbiamo chiamato “Desenzano da scoprire”. Ovviamente vale solo per Desenzano.

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Quartetto d’archi in mensa

Del resto, quale università italiana non ha un quartetto d’archi all’ingresso della mensa?

In realtà si tratta di un po’ di pubblicità per il concerto che si terrà questo lunedì al Conservatorio Monteverdi alle 20.30. Io ci vado con qualche amico. Il quartetto suonerà brani di tre autori tra cui Grieg. Gli altri due, nella mia ignoranza musicale, non li conosco e non ne ricordo il nome. Comunque in giro per Bolzano si trovano i manifesti.

In caso ci si vede là!

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Scelte di evoluzione

Stasera si è tenuta in università la presentazione dell’ultimo libro del prof. Sergio Ortino “La struttura delle rivoluzioni economiche“. Mi aspettavo una cosa molto diversa partendo dal titolo dell’incontro a livello di contenuti, anche se non voglio entrare nel merito di questo in quanto non essendo documentato prima dell’incontro era ovvio che mi aspettavano sorprese. Si è rivelato nonostante ciò una presentazione ricca di spunti. In particolare mi vorrei allacciare al concetto di scelta che il prof. Ortino ha citato senza entrare nei dettagli, cosa che immagino faccia il suo libro.

Egli ha detto che l’uomo, l’ominide a voler essere precisi, ha scelto di abbandonare gli alberi. E nel tempo ha scelto più volte di cambiare paradigmi in concomitanza di crisi. Questo almeno quello che io ho colto nella mia ignoranza sull’argomento. A prescindere dal fatto che io abbia compreso bene o meno, mi viene da fare la seguente considerazione: l’uomo, in quanto specie umana, sceglie? Esistono scelte collettive? L’evoluzione si basa su scelte?
Pensiamo anche solo a queste due settimane, a fronte delle numerose crisi, finanziarie, ambientali e politiche che siano, possiamo dire che stiamo facendo delle scelte? Che la nostre classe politica stia facendo delle scelte?

Il mio parere è che non possiamo osservare delle vere e proprie scelte quando siamo ad un livello macroscopico. Anzi, non esistono scelte se non a livello personale.

Intendo dire che ogni volta che sono avvenuti grandi o piccoli adattamenti, riforme di qualsivoglia genere, rivoluzioni politiche e sociali, non parliamo di scelte collettive, quanto più di manovre di adattamento che una società mette in atto sotto la guida della sua classe dirigente e/o in base alle convinzioni più o meno condivise all’interno di questa società che si diffondono come una moda nelle teste dei suoi membri.
Quando ad esempio in questi giorni si dice che l’UE ha deciso di salvare la Grecia, non si intende che mezzo miliardo di persone in comune accordo ha scelto di aiutare un paese. Semplicemente il cancelliere tedesco e il presidente francese, valutando i fatti, hanno deciso che è la cosa più sensata agire in questa maniera.
Un altro caso, la BCE o la Federal Reserve a fronte della grande crisi finanziaria non hanno fatto delle scelte. Hanno applicato schemi di adattamento a un cambio di condizioni ambientali.
La gente non investe nel privato? Abbassiamo i tassi dei BOT.
L’atmosfera si scalda? Imponiamo leggi e educhiamo le nuove generazioni allo scopo di contrastare e prevenire futuri peggioramenti.
Le auto si schiantano in curva? Abbassiamo i limiti di velocità.

Non sono scelte. Sono adattamenti volti alla sopravvivenza. Sopravvivenza in termini assoluti di vita o di morte, o anche in termini relativi al mantenimento del potere e dell’ordine (politico, economico, sociale…).

L’uomo non ha mai compiuto scelte nella sua storia evolutiva. Ha effettuato adattamenti secondo necessità e istinto. E qui Darwin resta attuale. Smith pure.

Il Cogito ergo sum di Cartesio vale solo per l’individuo. Cartesio non ha detto “Cogitamus ergo sumus”. Il suo assioma vale solo riferito a sé. Tutto il resto, quello che riguarda la collettività, è un adeguamento più o meno guidato da raziocinio che qualunque macchina evoluta in grado di saper percepire e valutare l’ambiente sarebbe in grado di fare. Tanto che appunto è notizia recente quella della creazione di un computer intelligente. Una massa di persone, nelle dinamiche esterne si differenzia appena da un

Una pluralità di persone può condividere una scelta solo se si raggruppa in base a questa a posteriori, dopo che gli individui si sono comunicati le proprie posizioni (vedi partiti, comunità religiose…). Quando osserviamo grandi cambi di mentalità in un popolo nel corso del tempo, non è che un nonno ha fatto una scelta e di generazione in generazione questa si diffonde tra i suoi nipoti moltiplicandosi in un fenomeno di massa. (Se anche così fosse i discendenti non starebbero già più scegliendo, ma assorbendo idee altrui in maniera inconsapevole. E già non parliamo più di scelta.)

L’unica cosa che può mettere d’accordo un popolo intero, una tribù, un gruppo, sono stimoli esterni che impongono un adeguamento individuale omogeneo a quello altrui, che risulta in un cambio di rotta complessivo di massa.
Quando tra il VIII e il VII secolo a.C. i Greci hanno deciso di espandersi nel Mediterraneo, dando inizio alla formazione a quella che oggi definiamo Magna Grecia, non l’hanno fatto mica per scelta. Non è a qualche centinaio di marinai è venuto, sulla base di ponderazioni personali indipendenti le une dalle altre, il desiderio di colonizzare nuovi lidi così di punto in bianco. Alla base di questo fenomeno migratorio (come in ogni altro caso) vi erano contingenze esterne: scarsità di terra, cibo e di risorse in genere. Quello che accomunava tutti gli individui che vi hanno preso parte alla migrazione è stato il comune istinto naturale di allontanarsi da una situazione sgradevole. Nessuna scelta, ma una pura reazione omogenea quanto è omogenea l’umanità al suo interno.

Per concludere, dunque, la mai posizione è che non ha senso parlare di scelte evolutive, ma
o di scelte personali,
o di adattamenti evolutivi.

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Presentazione di Là Qui Là Vite da campo

Di seguito riporto un invito che mi è arrivato via mail relativo a un incontro che si terrà a Desenzano volto alla presentazione di un libro sulla situazione aquilana a un anno dal sisma.

Per continuare a dar voce alle donne aquilane che, ad un anno dal sisma del 6 aprile 2009, chiedono di non essere dimenticate viene messa a disposizione dai circoli del PD e Sinistra, Ecologia e Libertà di Desenzano, la sala in via Gramsci 53, perché alcune donne dell’Aquila possano presentare il loro nuovo libro. L’incontro si terrà sabato 8 maggio alle 17.00.

Il libro si intitola LÀ QUI LÀ Vite disperse (qui la scheda del libro), Edizioni Clanto. Saranno presenti Ivana Trevisani, curatrice del libro, e due autrici da L’Aquila.

«La prima edizione del Premio Letterario “Vita da Campo – Le donne scrivono” rispondeva alla necessità di rendere note, con voci di donne, le reali condizioni del quotidiano e delle sue difficoltà nei “Campi d’accoglienza” del dopo-terremoto a L’aquila e dintorni.
Evacuati i “Campi d’accoglienza” de L’Aquila “Tutto a posto, tutti a posto!”. No: la seconda edizione “LA’ QUI LA’ – Vite disperse”, risponde al bisogno di informare, ancora con voce di donna, del disagio, della sofferenza e fatica del vivere ogni giorno la diaspora seguita all’evacuazione dei Campi. Per correggere la convinzione diffusa che passata l’emergenza “tutto va bene”.»

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Rientro da Ibiza

Dopo una lunga, ma comunque troppo breve, rigenerante vacanza faticoso torneo sportivo a Ibiza, la delegazione bolzanina rincasa. D-u saluta a malincuore i compagni di viaggio e si dirige a casa, sapendo in cuor suo che l’indomani li avrebbe comunque rivisti, se non tutti, almeno la maggior parte.

Carico di una valigia dal peso di un ryanair (unità di peso introdotta da poco in Irlanda, equivalente a circa 15 chili), contenente tra le varie cose le divise di una squadra di pallavolo (che btw si è piazzata terza al torneo di beachvolley), di una di calcetto e di una di basket, tutte sporche, ma asciutte, D-u si appropinqua alle scale che lo porteranno al suo nido. (La sterilizzazione a fuoco degli indumenti avverrà nei prossimi giorni.)

Fa appena in tempo a mettere piede nel suo appartamento, che già la piantina di basilico gli propone un patto: “Io tengo duro altri 5 minuti e tu mi dai subito da bere. Deal?” – “Deal!” (non mettetevi mai a discutere con una piantina di basilico! Neanche se siete ecezzionnali e sgrammaticati eroi).

Il frigorifero invece aspetta in silenzio di essere interpellato. D-u apre lo sportello e… il vuoto cosmico. “C’è nessuno?”. Una debole eco esce dal frigo. “C’è nessuno?”. Dopo pochi secondi sbuca un uovo, l’ultimo della sua specie, e mostra una ferita alla testa. Qualche goccia di sangue trasparente sembra uscirne, ma al tatto sono già indurite. O si sono asciugate da sé, o si sono ghiacciate a fronte di un inverno ininterrotto da cinque giorni, in cui non si sono verificate provvidenziali aperture di sportello con annesso arieggio. Abbandonato l’uovo al suo destino D-u soddisfa il suo stomaco al quale il Burger King di mezzogiorno ormai non riusciva più a tener testa con un tonno riomare con cui tagliò un grissino.

Ancora due sms brevi per organizzare l’indomani e poi un prolungato confronto con la confezione di Nivea in formato famiglia che da lunghi eoni aspetta appollaiata sulla mensolina dello specchio del bagno di potersi rendere utile all’umanità.
Dalle previsioni metro del Mac, la scottatura ben diffusa sul corpo sarà per i prossimi giorni l’unica testimonianza dell’esistenza del sole. Sì, certo. È a Ibiza, ma un giorno tornerà di nuovo a splendere anche su Bolzano, piccola gente impaurita. Di questo D-u ne è certo.

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Ibiza, flyer e il nostro rettore

Visto che domani mattina prestissimo partirò per Ibiza dove insieme ad altri ragazzi dell’uni tramite lo S.C.U.B. parteciperò al torneo sportivo EuroIbiza, vi lascio con un link all’ultimo numero del flyer, (modestia-mode:on) di cui orgogliosamente sono caporedattore (modestia-mode:off), che potete sfogliarvi fino al mio ritorno. A me invece aspetterà di vedere come si sarà evoluta la questione sollevata da questo numero in relazione a un articolo che ha attaccato in maniera abbastanza INdiretta il nostro rettore, che in realtà credo abbia poco da temere da noi studenti, ma il tiro degli articolisti coraggiosi è stato un po’ alzato e orientato al cuore del concetto che sta dietro alla nostro università dai giornali locali (purtroppo articoli solo in tedesco).

Vedremo come andranno le cose. Intanto spero di ricevere ancora commenti sul lavoro così da migliorare il numero di giugno e spero anche di poter vedere il ritorno di semifinale di Champions League da Ibiza, sperando che i catalani non mi accoltellino qualora dovessero scoprire il mio orientamento calcistico. 🙂

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CC alla Festa del Passaggio

Tempo fa avevo caricato sul mio account Box.net alcuni lavori fatti come animatore e catechista in parrocchia. In queste due settimane ho avuto qualche download dei file che avevo condiviso e ora mi viene in mente perché: sabato scorso c’era la Festa del Passaggio in Diocesi di Verona (la stessa cui appartiene la mia parrocchia.
Io ero andato a tenere un piccolo stand con un giochino abbastanza semplice. Se mi avessero messo allo stand in cui si presentavano i Credo di gruppo, forse avrei scoperto qualche gruppo che … lavora in Creative Commons! 🙂

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Pellegrinaggio alla Sindone a Torino da Desenazno

Mi scrive Paolo della seguente cosa:Tra le parrocchie di Lonato, Desenzano e della Valtenesi si era organizzato il pellegrinaggio alla sindone per l’8 e il 9 maggio. Partenza nel primo pomeriggio di sabato 8 maggio, arrivo al sermig e sistemazione nella camerata e poi condivisione del pomeriggio e della sera con la comunità dell’Arsenale della Pace (Sermig). Domenica condivisione alla mattina, poi visita al centro di Torino e alle 14.30 appuntamento alla Sindone. Ritorno in serata.
Il costo del pellegrinaggio è di € 40, tutto incluso.

Io non ne sapevo niente finché ieri non me ne ha scritto Paolo. Non so se la cosa è stata pubblicizzata. Comunque attualmente ci sono 11 iscritti su 54 posti disponibili. Se non si coprono anche gli altri posti (o almeno una buona fetta di essi) entro una settimana, tutto salta.

Se qualcuno fosse interessato, si rivolga a don Daniele o lasci un commento qui che poi lo metto in contatto io.

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“Tieni, è gratis… e pure legale!”

«Una volta che è online non è più tuo». Questo è il messaggio di tante campagne sulla tutela dei dati personali, ma si può applicare anche al mondo dell’editoria, con le notizie che rimbalzano da blog a blog in un lampo e, ancora, vale per i contenuti protetti da copyright come i film e le canzoni.
Ma la ricerca, la produzione, la revisione hanno i loro costi e, per quanto possa apparire utopicamente bello, a lungo termine l’economia non può basarsi su prodotti gratuiti. Non il business cinematografico, ne il settore editoriale, ne l’industria video-ludica. D’altro canto trovo ingiuste tassazioni a priori, senza distinzione di colpe, dei supporti di memorizzazione come dischi e dvd.

La soluzione? Io penso che si possa fare così:

Un mesetto fa, ad esempio, ho ricevuto una mail relativa al nuovo film di Claudio Malaponti, The Sinai Man, in cui si diceva quanto segue:
«[…] Il mio prossimo film ha un budget di 10 milioni di Euro. Il film è ormai completamente finanziato ma il 4% delle quote del film equivalenti a € 400.000 abbiamo deciso di convertirle in azioni da €100/cad. per un totale di 4.000 azioni. Ogni azione equivale allo 0,001% della proprietà del film e dei profitti e proventi netti che ne deriveranno. Chiunque può acquistare delle azioni: da 1 a 100 o più a seconda delle capacità finanziarie di ognuno […]*».
Non si tratta di un vero e proprio finanziamento, in quanto il budget è già stato completamente coperto, come spiega la mail, ma non si esclude la possibilità che il pubblico voglia partecipare.

E poi c’è l’esempio di Dig_it. Gli utenti scelgono l’inchiesta che interessa loro maggiormente tra quelle proposte dal sito e pagano in anticipo. Un po’ come quando noi film assoldano gli investigatori privati. Solo che sono in tanti e si dividono le spese. Per questo ho scelto l’immagine delle gocce: per usare la metafora ormai inflazionatissima delle tante gocce che formano il mare. Il senso è quello.
Perché questo non si può applicare in maniera sistematica per i cantanti e i musicisti? Mi rendo conto che la realizzazione di un videogioco o di un film richiedano un più articolare apparato di coordinazione, in quanto le parti coinvolte sono davvero tante, tra designer, sviluppatori, disegnatori eccetera per non parlare dell’investimento in risorse tecnologiche ad hoc. Ma un cantante ha spese di incisione e di registrazione. La distribuzione online è quasi gratuita, il marketing non serve se gli investitori sono anche gli utenti finali e la comunicazione in questi casi può essere lasciata ai consumatori che hanno tutto l’interesse ad aumentare la notorietà dell’artista di cui sono mecenati, dato che maggiore il bacino di fan, maggiore la distribuzione delle spese e quindi minore il costo per ciascun contribuente.

Se a me piace un gruppo, non vedo l’ora che producano nuove canzoni. Io ci metto 2 o 5 Euro, tu ce ne metti altrettanti, così come tanti altri. Appena si raggiunge una certa soglia per sostenere le spese di registrazione l’artista produce. E poi via a comunicarlo agli amici, conoscenti, parenti, blog eccetera. “È pronta la nuova canzone di Pincopallino! Tieni è gratis. Se poi ti piace e ne vuoi sentire altre, ci metti anche te 2 euro e quando ci sono abbastanza soldi lui ne fa un’altra. Poi ce la manda via link con una mail quanto è pronta. Se vuoi, manda la canzone ad altri, così magari partecipano anche loro e facciamo prima a raccogliere i fondi!”

E così la canzone e l’artista guadagnano in notorietà, la musica resta gratis (a parte l’offerta, ma te la scarichi quante volte vuoi anche se non hai partecipato) e il pubblico è incentivato a far conoscere a più persone possibili il nuovo brano. Più la musica è bella, più è gratis!

* Per correttezza e completezza riporto anche quanto segue nella frase che ho troncato nel riportare il contenuto della mail di Malaponti, in quanto il senso di quel 4% di azioni non ha tanto un valore finanziario, ma un significato diverso. Dice infatti la mail: «[…] Ma badate bene, non è importante l’investimento ma il messaggio che si trasmette attraverso questo gesto poiché con questa sorta di azionariato pubblico non solo si diventa produttori e proprietari del film insieme a noi, non solo si dividono i profitti, ma si crea per la prima volta nella storia del cinema un movimento artistico ed energetico di proporzioni inimmaginabili per dimostrare fattivamente che esiste un piccolo esercito di anime che vogliono mantenere viva la scintilla divina che è dentro ognuno di noi.»

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Figuraccia di Area Blu

Essendo che la Redazione di Area Blu (uno dei freepress mensile di Desenzano) mi ha detto che la poesia è stata pubblicata su volontà dell’autore e che quindi dovrei chiedere a lui se posso pubblicare il contenuto sul mio blog, ma essendo che l’autore si firma con il soprannome di Fari (chissà perché non con il suo vero nome?), pubblicherò la poesia lo stesso. Avrei voluto farlo già settimana scorsa, ma prima volevo aspettare l’autorizzazione della redazione che è arrivata solo oggi pomeriggio.



Non pubblico la poesia perché ne condivida i contenuti, come a quanto pare ha fatto Area Blu, ma per mostrare a tutti che c’è ancora gente che nel 2010 non sa cosa sia la tolleranza e che non sa riconoscere cos’è il razzismo e che con candida ignoranza osa mettere in rima concetti schifosamente antisemiti.

Il ritaglio è tratto dal numero 190 del 26 marzo 2010 di Area Blu a pagina 62.

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