Che l’Australia volesse correre ai ripari per gli attacchi di squali ai bagnanti era già noto e nell’aria da tempo.
La rivista on-line Nature, infatti, già ne dava notizia a dicembre dello scorso anno con l’articolo “Australian shark-cull plan draws scientists’ ire” che sottolinea come il raggiungimento di questo obiettivo sia perseguibile ed autorizzato dalle autorità australiane anche con metodi poco ortodossi, ovvero con l’abbattimento dell’animale che trovandosi in prossimità della costa può costituire pericolo per bagnanti e surfisti.
In virtù di questo piano di sicurezza, che ha sollevato l’ira della comunità scientifica, domenica scorsa si è contata la prima vittima davanti alla spiaggia di Meelup Beach nei pressi di Dunsborough dove una femmina di squalo tigre è stata abbattuta.
Le misure adottate dall’Australia prevedono la pesca e l’abbattimento di tutti gli esemplari superiori ai tre metri ed è stata adottata a causa dei numerosi attacchi mortali che si sono succeduti negli ultimi anni (sette vittime in tre anni) che costituiscono probabilmente una frequenza piuttosto alta; frequenza che se messa in confronto con attacchi mortali di altri animali (elefanti, cobra, zanzara, ecc) o vegetali (le noci di cocco) non pone lo squalo al vertice della piramide dei peggiori nemici dell’uomo (nel 2013 nel mondo sono stati 16 gli attacchi mortali – fonte: Shark Attack File Info).
Probabilmente il fatto che lo squalo attacchi bagnanti o serfisti, il fatto che lo squalo sia stato per tanti anni e ancora oggi superstar di un certo cinema spazzatura, lo rende nel nostro immaginario come la creatura da sconfiggere, come il nostro male primordiale, come l’orrore del romanzo di Conrad.
Se è legittimo che un paese si adoperi per la salvaguardia della salute dei suoi cittadini, ci chiediamo se altrettanto legittimo sia il sistema utilizzato, se non sia possibile trovare alternative in difesa di una specie che sempre di più, giorno dopo giorno, rischia seriamente di sparire dal pianeta.
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