A cento anni esatti dalla celebre spedizione che, se non consacrò, si aggiunse alla lista di imprese che definiscono oggi la personalità di una delle figure più eclettiche della storia del XX secolo, il Vittoriale degli Italiani festeggia il volo su Vienna con un evento rievocativo di quel gesto audace, rivoluzionario e, si potrebbe forse dire, di “marketing ante litteram” di Gabriele d’Annunzio: il 9 agosto alle ore 12, in Piazzetta Dalmata, degli aerei d’epoca sorvoleranno la residenza del Vate ricoprendola con una pioggia di volantini, quasi come se le centinaia di migliaia lanciati nel 1918 tornassero ora a rendere omaggio al loro coraggioso ideatore.
Giordano Bruno Guerri, Presidente del Vittoriale, ha ricordato che, dopo la Beffa di Buccari del febbraio 1918, Gabriele d’Annunzio sognava l’impresa definitiva, un volo su Vienna:
Il Comando Supremo glielo impedì, nonostante i mille chilometri percorsi in una sorvolata dimostrativa sulle Alpi per esibire la propria resistenza alla fatica. Temevano un fallimento, o addirittura la prigionia o la morte del poeta-soldato. Dopo le sue insistenze, il Comando Supremo e il Governo decisero di autorizzarlo all’impresa, di un’audacia mai tentata prima.
All’alba del 9 agosto 1918 dal campo di San Pelagio, presso Padova, si alzarono undici apparecchi: uno, pilotato da Natale Palli, era stato modificato per accogliere il poeta – che aveva con sé trecentonovantamila volantini – in un volo difficilissimo, senza protezione dal freddo dell’altitudine, senza strumenti di navigazione, senza appoggi a terra, con poco carburante per tornare. D’Annunzio portava un anello con del veleno, nel caso fosse stato catturato: oggi è esposto al Vittoriale. Non ci furono vittime, anche se solo sette degli aerei arrivarono a danzare sopra il cielo di Vienna. Tra questi c’era anche il velivolo (la parola è una sua invenzione) del poeta, che sganciò i testi, scritti in italiano e tedesco. Il messaggio del Vate recitava: “In questo mattino d’agosto, mentre si compie il quarto anno della vostra convulsione disperata e luminosamente incomincia l’anno della nostra piena potenza, l’ala tricolore vi apparisce all’improvviso come indizio del destino che si volge. (…) Sul vento di vittoria che si leva dai fiumi della libertà, non siamo venuti se non per la gioia dell’arditezza, non siamo venuti se non per la prova di quel che potremo osare e fare quando vorremo, nell’ora che sceglieremo.”
Era stata un’incursione irrilevante dal punto di vista militare ma, al pari delle altre azioni dimostrative dannunziane, anche questa ebbe conseguenze morali enormi, per la sua audacia gentile da cavaliere d’altre epoche. D’Annunzio finì sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo, da quelli austriaci (l’“Arbeiter Zeitung” si chiedeva “Dove sono i nostri d’Annunzio?”) a quelli d’oltremanica. Il “Times”, di solito assai moderato, in un articolo dal titolo “Un nuovo Ruggiero” scrisse: “Ciò che Ariosto cantò, d’Annunzio l’ha realizzato.”
Inventore di una tattica di guerra psicologica tuttora usata, dopo la fine della guerra compì l’Impresa di Fiume, conquistando la città all’Italia come un condottiero rinascimentale, ma senza sparare un colpo. Poi si ritirò al Vittoriale, dove il regime fascista volle concedergli in dono, oltre al MAS della Beffa di Buccari e la Nave Puglia, anche l’aereo SVA del Volo su Vienne, che oggi domina l’Auditorium. D’Annunzio chiese a Mussolini anche di spianare una collina prossima alla casa per costruire un piccolo aeroporto, ma stavolta il poeta non venne accontentato, per impedirgli di spiccare chi sa quali voli: il duce ricordava bene che d’Annunzio, nel 1920, aveva fatto lanciare su Montecitorio non volantini, bensì un pitale.
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